Prologo

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Notte di Natale, 1943.

Rubiano era un piccolo paese che contava circa quattro mila anime prima della guerra, ora erano rimasti in poco più di tre mila.

Si sa, i giovani erano stati chiamati alle armi, altri invece si erano spostati dal paese per riunirsi con le famiglie, ma alcuni erano rimasti.

A quei tre mila poveri disgraziati era rimasto ben poco, eppure l'atmosfera della notte di Natale faceva sembrare tutto diverso. Riuniti nella chiesa del paese, tutti con i loro abiti della domenica, i più vecchi di cinque o sei anni, ascoltavano le parole di padre Guglielmo, il parroco del paese, un buon uomo che andava ormai verso la settantina.

Erano parole di speranza quelle del parroco, erano le parole che ognuno di loro aveva bisogno di sentire, anche Elisabetta, che aveva compiuto diciotto anni proprio il giorno prima. Sedeva in terza fila col padre Mauro, la madre Giovanna e Marina, sua sorella più piccola di dieci anni. In realtà i figli di Mauro e Giovanna Colli erano tre, ma se le due più giovani erano sedute con loro l'altro, Luciano, era in un campo di prigionia in Germania, ci era finito solo due giorni dopo l'armistizio del generale Badoglio.

Non sapevano tanto di Luciano, prima sapevano che era in Russia a combattere e poi un mese fa, era loro arrivata una sua lettera che diceva che i tedeschi lo avevano arrestato e che ora era in un campo per prigionieri di guerra, diceva anche che era freddo e che c'era cibo, ma che non veniva trattato male.

Avevano paura, avevano paura perché sapevano cosa erano in grado di fare i tedeschi. Erano arrivati i tedeschi a Rubiano, circa una ventina, qualcuno ad Elisabetta aveva detto che erano della Wehrmacht. Tobia, a cui la guerra aveva portato via la gamba sinistra, le aveva raccontato che finché c'erano quelli della Wehrmacht non dovevano aver paura, ma che il problema sarebbe stato se fossero arrivati quelli con i teschi sul cappello, le SS, a Elisabetta facevano già paura quelli lì, non le serviva qualcosa di peggio.

"La messa è finita, andate in pace. Auguro a tutti voi un felice Santo Natale." Così aveva detto padre Guglielmo prima di lasciare che tutti i poveri disgraziati di Rubiano affluissero fuori dalla chiesa. Eppure quell'augurio non portò altro che morte e desolazione in quel paesino.

Mattina di Natale, 1943.

Casa di Elisabetta distava un chilometro e settecento cinquanta metri dal paese, eppure i colpi di fucile si sentirono fino a lì. Circa una ventina, forse una scarica di una mitragliatrice e poi un'esplosione.

Questo si era portato via tre tedeschi e due giovani ragazzi dei partigiani che vivevano nelle campagne attorno a Rubiano, ma di questi non importava poi così tanto, quelli che avrebbero causato problemi erano i tre soldati della Wehrmacht.

Mauro Colli lo aveva saputo solo il pomeriggio dal postino. Tutte le tremila anime di Rubiano si aspettavano che la reazione da parte dei tedeschi sarebbe arrivata da un momento all'altro, eppure non fu così. Sarebbero stati dieci i giorni di attesa.

4 Gennaio 1944

Non era poi così freddo quell'inverno, ma i vestiti non erano dei migliori e l'aria fredda penetrava fin sulla pelle. In un cappottino marrone scuro Elisabetta avanzava per la piazza del paese, le mani pallide tenevano la cesta con il pane che portava dal fornaio a casa sua. Solo ogni tre giorni riuscivano ad avere il pane, ma era meglio che niente e questo Elisabetta lo aveva capito bene in quegli anni di guerra. I capelli castani chiari erano lasciati sciolti, così da cercare di coprire le orecchie da quell'aria fredda. Accanto a lei c'era Marina che senza dire una parola si limitava a seguirla.

E mentre lei era lì in quella piazza arrivò ciò che avrebbe portato così tanto scompiglio a Rubiano.

Una trentina di uomini marciavano davanti a una camionetta verde militare, le loro uniformi erano nere, portavano tutti un elmetto e imbracciavano una mitraglietta, sembravano tutti uguali, inespressivi, come delle macchine. A Elisabetta si gelò il sangue nelle vene, posò la cesta a terra e prese sua sorella per le spalle tenendosela a sé. E in quel momento lo vide.

Una jeep seguiva la camionetta, nei posti davanti sedevano due soldati come quelli che marciavano mentre dietro vi erano quelli che Elisabetta pensò fossero ufficiali: portavano un cappotto grigio scuro sopra la divisa. I loro capelli erano coperti da un cappello e su questo spiccava, argentato, il Totenkopf, il teschio.

E lui era lì, guardava con sguardo freddo ciò che accadeva attorno a lui, dava l'impressione di essere alto anche se era seduto, le mani erano coperte dai guanti di pelle nera. Gli occhi azzurri dell'uomo la congelarono, sentì una strana sensazione dentro di sé, le cose sarebbero cambiate.

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Ho questa storia in testa da un po' ma non riuscivo a riordinare le idee nella mia testa, ora finalmente è arrivato quel poco di ispirazione in più che mi serviva per metterla su un file word. Vi invito calorosamente a farmi sapere che ne pensate, è molto importante per me.

Weg zur Hölle - Una storia di guerra ~ #1 Gli uomini del ReichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora