1- secondo capitolo.

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Al tavolo numero quattro c'era una ragazza strana. Non l'avevo mai vista prima, ma aveva qualche tratto familiare, che mi ispirava fiducia. Mi avvicinai, facendomi strada tra la gente accalcata contro il bancone, esemplari di maschi che chiedevano da bere alle nove del mattino o che facevano commenti inopportuni sul mio fondoschiena.
Ad un certo punto me ne era giunto uno alle orecchie che mi aveva particolarmente innervosita, un porcellina sussurrato con una tale sfrontatezza che avevo dovuto frenare l'impulso di rifilargli un pugno dritto in faccia.
-Chiamami ancora così e ti taglio le palle, idiota- sibilai a denti stretti. Sperai che fosse sufficiente a farlo stare al suo posto e immaginai che fosse così, perché il tipo mi voltò le spalle, continuando a bere il suo drink.
Scossi la testa e raggiunsi la ragazza, al tavolo numero quattro. Mi dava le spalle, perciò vedevo solo i suoi capelli ricci e scuri. La parte superiore della testa era coperta da un berretto bianco di lana. Aggrottai la fronte quando lo notai. Eravamo agli inizi della stagione autunnale, ma non faceva così freddo.

-Tu sei Katherine, non è vero?-
Impiegai alcuni istanti per rendermi conto che era stata lei a parlare. Aveva una voce calda, quasi sensuale, assomigliava a quella che avevo sempre attribuito alle femme fatales che vedevo in televisione. Mi schiarii la gola e mi sedetti di fronte a lei, osservandola con attenzione. -Sono io- risposi a bassa voce, scrutandola con aria guardinga. Come conosceva il mio nome se non mi aveva mai vista prima? Non mi stava guardando. Fissava un punto fuori dalla finestra, oltre le decine di auto parcheggiate davanti al locale. Inarcando un sopracciglio, ne approfittai per osservarla meglio: aveva delle labbra piene e rosee, lunghi capelli castani incorniciavano un volto ovale talmente pallido da sembrare diafano, un volto che, probabilmente, la luce del sole non aveva mai raggiunto. L'unica cosa che non vedevo erano gli occhi. Non si staccarono mai dalla finestra per rivolgermi lo sguardo, nemmeno negli istanti che seguirono.

-Come conosce il mio nome?-
Cercavo di essere calma, ma dentro avvertivo una costante agitazione di cui non riuscivo a liberarmi. Per un attimo credetti che non avrebbe risposto, perché non mosse ciglio.
Poi, però, la vidi inspirare ed espirare, e intrecciare le dita le une alle altre.
C'era un lieve brusio intorno a me, ma la mia attenzione era concentrata su di lei e nessun altro.
-Ti sorprenderebbe sapere quante cose conosco, Katherine Avalon- fu la risposta che ricevetti, nello stesso tono insolito di prima.
-La prego- cercai di essere più cortese possibile, -mi dica che cosa vuole da me.-
La vidi incurvare le labbra in un sorriso appena accennato, che si trasformò subito in quella che etichettai come una smorfia. -Non voglio niente da te, Katherine. Sono stata inviata qui per metterti in guardia, nulla di più.
- In guardia?- ripetei, fissandola confusa. -In guardia da chi, esattamente?
-Credo che la parola corretta sia da cosa- replicò, torturandosi le dita con le unghie. Sembrava nervosa, adesso. Era come se qualcosa avesse abbattuto la sua corazza da ragazza schiva e burbera. Non riuscivo a capire chi fosse e che cosa volesse realmente da me. -Chi l'ha mandata da me?-
Quella domanda venne degnamente ignorata.
-Mi dispiace, non capisco.-
-Non mi aspettavo di certo il contrario.-
Si sistemò sulla sedia e solo allora notai l'abbigliamento che sfoggiava: un mantello nero, all'apparenza di pelle, si univa tramite un piccolo bottone sotto il suo mento appuntito.
-Posso sapere il suo nome?- provai con un'altra domanda ancora, dal momento che non aveva aggiunto altro.
-Il mio nome è ininfluente, Katherine Avalon. Devi stare attenta. Il pericolo è dietro l'angolo. Devi stare attenta.- ripeté una seconda volta, respirando affannosamente. Ero più confusa che mai. Era come se parlasse un linguaggio a me incomprensibile, al quale stentavo a credere. Soppesai con attenzione le sue parole e annuii, con lentezza, in segno di assenso.
-Starò attenta- la rassicurai, con un sorriso forzato. -Ma può... può dirmi come si chiama?-
La donna scosse la testa, abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia.
-Non basterebbe una vita per elencarti i miei nomi- disse, sospirando. Avevo tante domande che mi frullavano in testa. Ma quella a cui ardivo dare una risposta più delle altre era una soltanto.
-Mi spiace insistere- attaccai in un sussurro, cercando di controllare l'agitazione, - ma ho bisogno di sapere come mi ha trovata e come conosce il mio nome.-
Tentavo di mantenere un tono determinato, tenendo fede all'armatura che mi ero costruita in tutti quegli anni di dolore e rimpianti, ma in quel momento quello scambio di parole bastò a mandarla in frantumi. Mi abbassai a supplicarla, ad implorarla. Aveva scosso le mie percezioni mentali con un'intensità e e una forza che mi spaventavano.
-I tuoi capelli- rispose, dopo quelli che sembrarono istanti interminabili.
-Sono rossi, come il fuoco dell'inferno.-
Sgranai gli occhi, ancora più confusa di prima. -I miei capelli non sono rossi.- ribattei alzandomi dalla sedia e appoggiando le mani contro il bordo del tavolo. -Almeno, non più.-
Come aveva fatto a vedere i miei capelli se la tinta nera li aveva coperti completamente?
-Come ho già detto- ripeté lei, senza guardarmi, -ti sorprenderebbe sapere quante cose conosco.
Poi si alzò. La sedia produsse uno stridio quasi insopportabile, quando venne trascinata indietro. La fissai, ma lei non fece lo stesso. Continuò a tenere lo sguardo puntato verso il basso, mentre tutto intorno il locale si svuotava. Mi resi conto che alcuni clienti non avevano pagato il conto, ma li lasciai andare, incapace di muovere un passo. -Non risponderà a nessuna delle mie domande, non è vero?-
Lei annuì, stringendosi il mantello intorno alle spalle con aria protettiva. -Ripeti con me, Katherine- disse a voce più alta, stavolta. -Che cosa devi fare?-
Strinsi le labbra e chiusi gli occhi, prima di rispondere. -Devo stare attenta.-
-Devi promettermelo, Kathie.-
Aguzzai lo sguardo. Kathie. Mi aveva chiamata con l'unico appellativo che avevo imparato a detestare, per evitare che i ricordi mi sommergessero, nel corso degli anni.
Cominciai a respirare affannosamente, ma prima che potessi chiedere altre spiegazioni lei me lo impose, ancora. -Promettimelo.-
-Lo farò- decretai di getto, senza controllare le parole. -Glielo prometto.-
Ma lei non mi sentì.
Un istante prima che pronunciassi le ultime parole, la donna scomparve, dileguandosi in strada. Rimasi ferma, con i piedi ancorati al pavimento, seguendo con lo sguardo la traiettoria dei suoi passi. La vidi infilarsi in una macchina e sparire, improvvisamente, così com'era giunta.

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