Il portone, sbattendo, causa un rumore assordante che rimbomba per tutto l'atrio del palazzo, scendo le scale, per andare verso i sotterranei, sento un urlo, un vocione potente che chiede aiuto, lo ignoro e alla fine delle 8 rampe di scale, finalmente arrivo nel mio corridoio, sudicio come sempre. Infilate le chiavi nella serratura, al quarto scatto, la porta si apre, rivelando il solito, tetro, soggiorno. Accendo la luce e butto tutto ciò che avevo dietro, in un angolino, per terra. Vado verso il soggiorno e mi butto a peso morto sull'enorme puff nero difronte alla televisione, calcio via gli stivali fradici ed estraggo il telefono dalla tasca, collego le cuffie e faccio partire Nothing else matters dei Metallica, da qui si riproducono canzoni di svariati generi, ma comunque calme, seppur non troppo, è da tanto che non ascolto qualcosa di assordante, da quan- Take we down to the paradise city, where the grass is green and- l'arrivo di una chiamata interrompe i miei pensieri e nonostante ami la mia suoneria, dopo pochi secondi, rispondo.
-Ce ne hai messo di tempo- una voce maschile, molto profonda, esordisce con tono calmo. Riconoscerei questo inutile spreco di vita fra mille. Non può avermi trovata, non può. -Non rispondi?- scoppia in una risata, non tetra, non provocatoria, ma malata. Qualcosa di udibile solo in un manicomio ottocentesco. -Non sei minimamente cresciuta, me lo immaginavo- vorrei vomitare, prendere ed andare via, ma per una volta, uso la testa. Anche se l'idea iniziale era di prendere a testate il muro, la uso in un altro modo, più produttivo. -Non aver paura, non ho mai voluto farti del male- mi alzo di scatto e corro verso la porta, è chiusa. Tiro un sospiro di sollievo, ma dura ben poco questa tranquillità -No, piccola. Non sono lì- il mio respiro si fa pesante, sento gli occhi inumidirsi, perché cazzo ho scelto di vivere in un cazzo di bunker? Ah, no. Non l'ho scelto. Una risata isterica da parte della mia coscienza, si fa largo fra i miei pensieri -Allora? Non parli ancora?- ride, ride, e ride ancora. Mi spiaccico contro la porta, da qui l'unico posto da cui potrebbe apparire è il corridoio, e da brava deficiente non ho una cazzo di arma, mi sembra giusto. -Non ti servirebbe a nulla in ogni caso, piccola- porca troia -Allora? Parla, avanti- crollo in ginocchio, scappare, non è servito a nulla..
-Che vuoi?- pronuncio queste due parole con tono apatico, come se tutto questo, non stesse per accadere di nuovo.
-Finalmente, piccola. Allora? Fai la brava e vieni con me, o devo riportarti indietro nel passato?- la sua voce è allegra, la sua convinzione emerge dal tono pacato e allegro che sta usando. Sto zitta, le mie corde vocali non producono un solo suono, poggio la testa sul gelido pavimento, piegandomi su me stessa. È finita. -Hai scelto tu, piccola-
Nemmeno il tempo di realizzare, che la porta che fino a due secondi fa era dietro di me, viene scaraventata dal lato opposto, ferendomi alla schiena. Il mio tentativo di scappare è nullo, vengo subito afferrata da due braccia muscolose che mi stringono con forza, provo a liberarmi scalciando, ma inutilmente, ad ogni mio tentativo di scappare la presa si stringe, tanto che dopo 5 o 6 tentativi posso sentire qualche osso rompersi lentamente.
Nel giro di qualche minuto, sono all'aperto, ovviamente nell'atrio del palazzo non è intervenuto nessuno, è questa la regola qua. L'uomo, senza il minimo sforzo, mi scaraventa nel bagagliaio di un'auto. Sbatto violentemente contro qualcosa di duro e gelido, una scatola, penso, fatto sta che dal mio braccio sento aprirsi la pelle al conficcarsi di uno degli spigoli, da lì a poco, del sangue caldo inizia ad uscire senza sosta.Mi tirano su prendendomi dalle braccia, nel frattempo alcuni aprono le catene e vengo trascinata di nuovo in quella stanza, non mi lavo e non mi cambio da giorni, sembrano secoli. Dall'ultima volta che ho respirato aria pulita, sarà passato qualche mese. Dopo aver percorso quello che suppongo sia un corridoio, aprono la porta, produce un cigolio assordante, una volta appoggiata alla sedia, sento la porta sbattere producendo un rumore metallico che rimbomba fra le quattro mura.
«Ti trovo in forma, piccola» un conato di vomito sale dal mio stomaco alla gola, lo trattengo per sbaglio, quasi. «Tutti questi mesi, e ancora non parli.. Mi sto annoiando, sai cosa succede quando mi annoio?» sto zitta. Respiro lentamente per mantenere la rabbia a bada, ma la sua sembra esplodere «Non farmi arrabbiare, piccola. Non mi piace essere cattivo con te » una piccola risata isterica scappa dalle mie labbra «fra poco non riderai più, piccola» scoppia nella sua solita risata maniacale, rivoltante «i miei amici sono stanchi di aiutarmi, parteciperanno anche loro alle nostre riunioni, contenta?» nel preciso istante in cui pronuncia quelle parole, un dolore lancinante nel petto si fa strada in me, sembra star crollandomi tutto addosso, non può essere, non può permetterlo «e chissà che a loro non venga voglia di conoscerti meglio» scoppia di nuovo nella sua orrida risata, come può ridere? Come?
«Non erano questi i patti!» cerco di urlare, qualcosa di caldo inizia a scorrere giù dai miei occhi, dapprima lentamente, poi sempre più copiosamente.
«No, piccola. Non piangere. Non sono un mostro, ma non sei nelle condizioni di proporre patti» ride, ride, ride. Pezzo di merda.
«Ma l'avevi detto tu» il mio tono, diventa una supplica patetica, che schifo.
«Pensi davvero io possa scendere a patti con te? Piccola, sei incatenata, perché dovrei rispettare dei patti?» il dolore nel petto si fa sempre più forte fino a lasciare spazio al vuoto. Le lacrime cessano la loro corsa, e il mio corpo smette di tremare. Per un attimo, l'udito smette di 'funzionare'. Non sento una parola, non sento nulla.
Vengo sollevata da due uomini, mi legano al soffitto tramite le solite catene e rimango lì a penzolare, fino a quando un leggero scossone dal soffitto, mi fa ondeggiare attirando l'attenzione dei presenti.
«Cos'è stato?» è la sua voce, non sembra più divertito come prima, figlio di puttana, qualunque cosa sia ti sta bene.
«Sembrava il portone d'emergenza» qualche altra testa di cazzo nella stanza, esordisce, che mente brillante, Sherlock.
Dei pesanti passi in corsa, sulle scale, sembrano farsi sempre più vicini, fino a quando anche la porta metallica della stanza viene buttata giù in un colpo solo.
«Cazzo, ti avevo detto di controllare se ci fosse qualcuno» una voce nuova, mai sentita, sembra più divertita che spaventata.
«E che problema c'è? Li facciamo fuori!» un'altra voce mai sentita, questa volta l'uomo ha un accento russo, inconfondibile.
«Calma, calma. Ce ne andiamo noi, non c'è bisogno di usare le armi» è lui a parlare questa volta, e sembra parecchio teso.
«Perfetto» l'uomo con l'accento russo riprende la parola «avete dieci secondi per uscire da qui, vedete di non fare troppo casino, vorremo rubare con calma» il tono è intimidatorio e provocatorio allo stesso tempo.
«Giusto il tempo di prend-» cerca di parlare ma il russo lo interrompe nel giro di pochi secondi.
«Eh no, lei la prendiamo noi» cerca di intervenire ma il russo lo precede di nuovo «dovrete pur pagare la vostra libertà, no?»