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Parigi, a differenza di quello che i turisti pensano, non è una città molto ospitale, specialmente se coperta da un metro di neve. La tour Eiffel sembrava, in quella noiosissima giornata invernale, un inutile ammasso di ferro che spiava, come sempre dal 1889, le vite di frenetici parigini che ormai non si soffermavano più a darle uno sguardo. Chissà se si sentiva sola come me che camminavo alla maniera di Quasimodo, cercando di creare un varco nella neve e tra la gente. Persone diverse tra loro, ma mai uguali a me, si accalcavano vicino ai negozi esaminando, come un lupo guarda la sua preda, ogni vetrina. Così smaniosi erano di acquistare gli ultimi regali da porre sotto l'albero già addobbato, che il loro fiato si appiccicava sui vetri. Sembravano pronti a tutto, anche a "combattere una guerra", pur di assicurarsi l'ultimo panettone rimasto nel negozio.
Ero l'unica che non si interessava agli acquisti ma che vagava incerta per quelle strade estranee così distanti da quella che ero io e dal mio mondo.
Perché avevo deciso di uscire quando potevo godere del caldo del mio camino in Rue de Rivoli? Potevo rispondere a quella domanda con una sola parola: Vanille.

Proprio mentre pensavo a lei il mio cellulare "cantò", o meglio Jim Morrison intonò "The End" e in quel momento tutti i miei pensieri svanirono, facendomi concentrare solo su quella soave voce che amavo tanto. Avrei potuto ascoltarla per ore senza stancarmi mai, come facevo di solito quando il mondo non offriva nulla di meglio da fare. In quel momento, però, era meglio rispondere perché sapevo già che la mia migliore amica si sarebbe innervosita se avessi ignorato la chiamata.

« Vanille » sussurrai quasi in tono di scuse dopo aver pigiato il tasto verde.

La sua voce irata esplose, in pochi secondi, facendomi sobbalzare. Urlava in una maniera tale che mi costrinse ad allontanare di qualche centimetro il cellulare dall' orecchio.

« Non mi dire che sei ancora a casa, lentona ! Muovi le chiappe e cammina, ti sto aspettando da più di un'ora ! »

Prima che potessi rispondere cominciò con un'altra ondata d'ira.

« Non cercare di scusarti perché se faccio tardi per colpa tua giuro che ti ammazzo, Hélène Edwige Daaé! Ti farò urlare come la gufa che sei! »

« Okay ... arrivo » dissi nel tono più sommesso possibile. Non amavo reagire alle ramanzine di Vanille perché sapevo che, in ogni caso, avrebbe vinto lei ogni discussione.

Chiusi la telefonata riprendendo a camminare, infreddolita, verso casa sua.

Casa di Vanille, o meglio, una residenza di lusso risalente al 1880, era sempre appartenuta alla sua famiglia da generazioni e distava dalla mia, un normale appartamento in Rue de Rivoli, circa una mezz'ora a piedi. Abitava nel quartiere dell'Opéra, uno dei più ricchi e abbienti di Parigi. I Candise, cognome della mia amica, erano una delle famiglie più conosciute, benestanti e temute della Ville Lumière.
Da sempre possedevano diverse banche e anche qualche società che si occupava per lo più di commercio o economia. I genitori erano così tanto fieri dell'agio in cui vivevano che ostentavano la loro ricchezza una volta al mese invitando nella loro dimora altre famiglie del loro stesso calibro.

Ovviamente la mia famiglia non era compresa.
A differenza della madre e il padre, Vanille non amava la sua vita. Si sentiva estranea a quella situazione familiare perché lei era cresciuta con ideali diversi da quelli che i genitori avevano cercato di imporle sin da bambina. Essendo l'unica erede rimasta della casata Candise, era oppressa dalle troppe responsabilità e da un futuro già programmato fin dalla sua nascita e per questo cercava in ogni modo di sfuggire a quel destino comportandosi in un modo non molto adatto per una signorina dell'alta società. Infatti non le importava della sua istruzione, frequentava gente non molto per bene e faceva sempre ciò che voleva. Nonostante ciò, i genitori non riuscivano a punirla ma al contrario la viziavano e le permettevano qualsiasi cosa.

Per il troppo pensare non mi accorsi di essere già arrivata a destinazione.

Mi fermai a scrutare, come ero solita fare, la magione dei Candise dal cancello ad inferriate nere. Alta e minacciosa, con mura in marmo e vetrate impreziosite da ornamenti, questa mi restituiva lo sguardo imponendomi di entrare.
L'unica luce accesa sembrava quella della stanza di Vanille e, se i miei occhi non mi ingannavano, potevo vedere la sua ombra camminare avanti e indietro.

Bussai esitante il citofono del cancello e, probabilmente, una delle cameriere lo aprì e successivamente dissigillò il portone in legno massello.
Percorsi quel viottolo che divideva le due entrate con un moto di angoscia vedendo che la neve aveva coperto il bellissimo giardino perfettamente curato. Ad accogliermi c'era Dora, la cameriera albanese, che mi aveva visto crescere con la sua padroncina.

Erano passati anni da quando entrai per la prima volta in quella casa che già dalla più tenera età mi impauriva. Ricordavo che ero solo una bambina quando incontrai Vanille in un pomeriggio soleggiato nei Jardin des Tuleries mentre passeggiava con Dora.

Mi ero persa ancora una volta nei miei pensieri. Ero rimasta sull'uscio immobile mentre la donna , in modo molto dolce, mi parlava. La salutai in un sussurro per poi dirigermi alla rampa di scale che mi condusse direttamente nella camera di Vanille che mi accolse con un urlo di gioia mista ad impazienza.

«Finalmente! Ti stavo aspettando da un'ora, lumaca!» esclamò mentre era impegnata a passare sul suo viso il gel detergente.

Notai , appena entrata nella stanza, che tutto era in disordine. I vestiti dall'armadio erano stati spostati sul letto a baldacchino , i trucchi avevano occupato tutto il tavolino in vetro, ciondoli e anellini erano sparsi dappertutto e per finire le scarpe erano disseminate qua e là. In quel campo di battaglia si ergeva Vanille , una figura angelica, alta, esile ma formosa, con una lunga chioma ondulata e dorata e un faccino dolce e armonioso che ospitava un radioso sorriso sulle sue belle labbra carnose ed uno sguardo accattivante. Era, fortunatamente, troppo intenta a guardare la sua immagine riflessa nello specchio per accorgersi che, a differenza sua, io non mi ero preparata affatto. Passò qualche minuto prima che si voltasse. Quando mi esaminò con l'accuratezza di un medico, sbatté perplessa le ciglia lunghe e chiare e mi chiese con un accenno di irritazione nella voce dove fosse la mia roba. Allora la guardai con un po' di vergogna e poi mi fissai allo specchio prima di poter dire ,sempre imbarazzata, che non avevo nulla con me e che ero già pronta. Quando sentì tutto ciò i suoi occhi azzurri si chiusero e sospirò per evitare un attacco di collera ma non servì a nulla perché di colpo cominciò ad urlare.

«DIMMI CHE NON STAI SCHERZANDO! TU PENSI VERAMENTE DI USCIRE COSI' CONCIATA!?»

Mi osservai bene. In fondo non stavo poi tanto male. Indossavo la mia maglietta preferita dei Doors, un jeans e un paio di scarpe da ginnastica molto comode. Certo non ero truccata e i miei capelli rosso mogano erano legati alla meno peggio con un mollettone ma sinceramente non mi importava molto di curarmi e vestirmi seguendo la moda.

« Perché non sto bene? » risposi offesa.
« Assolutamente no, sei praticamente inappropriata. Ricorda che è una festa molto importante e... e... ed io non voglio errori di alcun genere e voglio evitare le brutte figure quindi ti aiuterò IO a prepararti!»

Aveva un tono piuttosto diverso, era molto impaziente e ansiosa. L'agitazione , molto esagerata, era dovuta all'evento di quella sera, una delle feste che Vanille aspettava da più tempo. Lei stessa aveva contribuito alla preparazione. Si trattava di un compleanno ... non uno qualunque, veramente. A compiere gli anni era il suo fidanzato, Louis Morel. Non lo avevo mai visto se non nelle foto ma ,dai vari racconti ascoltati, non sembrava un tipo molto affidabile.

Armata di forza di volontà e di tanta pazienza cercai di non provocare una nuova discussione nonostante odiassi quando la mia amica cercava di impormi le cose. Mi limitavo solamente a scartare gli odiosi abitini provocanti che mi proponeva con un misto di disgusto ed orrore in volto. Ogni tanto si soffermava a guardarmi con uno sguardo di fuoco che voleva dire "come ti permetti di rifiutare i miei vestiti". Stava quasi per arrendersi dopo aver svuotato un armadio ed io ero già pronta ad esultare quando trovò, nel più recondito dei cassetti, una gonna di jeans che arrivava al ginocchio firmata 'Prada'.

« Hélène, guarda cosa ho trovato » disse sventolando il capo d'abbigliamento come una bandiera.
«Su , coraggio, provala»

Ubbidii con amarezza. Non calzava molto bene e non stavo per niente comoda ma secondo Vanille era perfetta per me. Successivamente prese una canotta bianca con scollo a V e me la infilò, mi porse un giacchetto in jeans, mi diede uno dei suoi ciondoli Fendi e per finire l'opera mi obbligò ad infilare le sue odiosissime Dr.Martens nere. Ero orrenda ma non potevo dire ad un'artista così fiera del lavoro compiuto che non amavo quel tipo di abbigliamento. Ringraziai e mi sedetti sull'unico spazio del letto che non era occupato da cianfrusaglie.

«Gufa , quale vestito è più provocante? Il tubino azzurro cielo con scollatura dietro o quello rosso con corpetto a strass e scollo a cuore? »
«Ti ho detto mille volte che non amo questo soprannome Candy! Smettila di chiamarmi così!»
«Okay! Okay! Non ti scaldare »

Era da quando ci conoscevamo che ci eravamo date questi nomignoli bizzarri. Lei mi chiamava 'gufa' per via del mio carattere piuttosto chiuso ed introverso e di quell'odioso secondo nome , Edwige, che ricordava a tutti la civetta di Harry Potter. Io invece l'avevo soprannominata Candy ma di certo non era per la sua dolcezza o affabilità. Assomigliava molto ad una caramella perché all'esterno sembrava dolce e colorata ma, una volta assaggiata, diventava aspra, dura e difficile da digerire. Nonostante questo io restavo la sua migliore amica. Ero così affezionata a lei che quella sera avevo accettato, dopo continue richieste di Candy, di andare alla festa. Me lo aveva domandato una settimana prima, sfoggiando uno dei suoi sorrisi smielati e il suo sguardo zuccheroso ed implorandomi con la voce candida e musicale. Quella stessa voce che mi risvegliò dai miei pensieri e mi chiese di nuovo il mio parere.

Le suggerii il vestito rosso e lei con una delicata mossa , fluttuò vicino allo specchio e prudentemente mise quell'abito vistoso che spiccava ancor di più per il colore rosa della pelle. Rimirò la sua figura con lo sguardo più felice del modo e mi sentii contenta per lei. Ma quel momento durò poco perché con un balzo felino arrivò dov'ero seduta e mi prese la mano. Poi con uno strattone mi tirò su e mi porto vicino al tavolino dei trucchi. Ero riluttante all'idea di stendere quelle poltiglie sul mio viso per cui implorai sempre a mezza voce.

« Se devi prorpio truccarmi , fa che sia un trucco leggero. Per piacere ...»
«Lascia fare a me !» mi interruppe con fare inflessibile.

Dopo una mezz'ora di supplizi, Candy finì di "dipingere" il mio volto e mi ritrovai con un orribile mascherone carnevalesco che copriva la faccia. L'ombretto blu elettrico faceva sembrare i miei occhi ancora più piccoli e brutti, il rossetto rosso era veramente poco fine e la cipria era troppa. Per finire, Vanille mi tolse il mollettone e cominciò a pettinare con la forza di un gladiatore il mio cespuglio, brandendo il pettine contro i nodi e le doppie punte. Mi sentivo completamente a disagio, come se il mio corpo non fosse stato più di mia proprietà. Vedevo solo una ragazza di diciotto anni che sembrava una quattordicenne malamente truccata e con vestiti strambi pronta per andare ad una discoteca sgangherata. Ero quasi decisa ad urlare contro la mia amica che ero stufa di sopportare queste sue pressioni ma ,vedendo che lei sorrideva come un bambino che scruta un bel giocattolo in vetrina, decisi che era meglio tacere ancora.

Dopo un'ora di attesa,finalmente, Vanille era pronta. Sotto il vestitino calzava un paio di tacchi neri molto alti, il suo trucco accentuava gli occhi azzurri e , per cambiare la sua pettinatura, aveva arricciato i capelli. Uscimmo e ci dirigemmo verso il garage dove la macchina ci attendeva. La vettura era il regalo che i Candise avevano fatto alla figlia per i suoi diciott'anni. Non avevano badato a spese , infatti l'automobile era dotata di qualsiasi comodità.
Candy era molto contenta di poter guidare in piena libertà ed era molto gelosa della sua auto tanto che raramente lasciava che altri la usassero.

Balzammo all'interno prima che il freddo ci paralizzasse. Fuori il buio aveva inglobato la città che , per difendersi, come ogni sera, si era illuminata di colpo , animandosi con tinte e colori gioiosi. Il tragitto sarebbe stato molto lungo visto che la festa era stata organizzata a casa di Louis che viveva fuori città.

Decisi di sfruttare la mezz' ora di viaggio osservando il paesaggio dal finestrino. Gradualmente le luci e lo sfarzo parigino si allontanavano , lasciando posto alla campagna brulla , alla foresta e alle stelle. C'era un tale gradevole silenzio in quel luogo che avrei voluto fermarmi ed aspirare l'aria fresca e alzare le mani in cielo per poter toccare gli astri che non si potevano vedere a Parigi. La quiete era ancor più accentuata dal fatto che Vanille non parlò molto. Era la prima volta che la vedevo così pensierosa. Sembrava piuttosto strana: la fronte era corrugata, l'espressione era stranamente seria e ogni tanto sospirava in modo molto rumoroso , come per far uscire un pensiero sgradevole dalle labbra. Quella sera aveva perso quel suo naturale brio che la caratterizzava e quella sua dote nel conversare che io amavo.

Finalmente arrivammo e la pace fu squarciata dalla musica da discoteca e dalle grida entusiaste di ragazzi e ragazze. La villa che avevo davanti era l'unica nei paraggi. Emergeva nella campagna come un gigante e sovrastava le modeste fattorie e casette dei dintorni. Il rumore che proveniva da quelle vetrate d'epoca spalancate e che usciva dalla porta aperta sul vialetto, infrangeva quella che era la tranquillità del luogo. Immaginavo i poveri contadini , stanchi e distrutti nei loro letti, incapaci di dormire per il fracasso provocato dagli schiamazzi, dai suoni stereofonici, dalle risa.
Non avevo intenzione di entrare. Sarei volentieri rimasta nella macchina aspettando la fine del party e poi sarei tornata a casa intatta. Magari avrei potuto passare il tempo ascoltando un cd. Ricordai però che quella non era la mia auto e che la musica della mia amica erano piuttosto simile a quella che c'era all'interno della casa. Mi feci forza , uscii e mi incamminai verso il portone cercando di non dare troppo nell'occhio, poi entrai.

La puzza d'alcool e di fumo saturava le mie narici. La sola idea che in quel momento sarei sicuramente stata a casa a leggere "Grandi Speranze" di Charles Dickens non contribuiva affatto a farmi sentire meglio.
Sarei voluta essere dovunque, ma non lì.

« Aspettami qui » disse Vanille con tono entusiasta per poi lasciarmi, da sola, in mezzo a tanti sconosciuti.

Quella casa doveva essere molto grande ma non riuscivo ad inquadrarne perfettamente l'ampiezza a causa delle troppe persone che ballavano l'una appiccicata all'altra.

Un balcone costituito con una grande vetrata trasparente e spessa catturò subito la mia attenzione: riempiva uno dei quattro muri di quella stanza e pensai che quel grande spazio, ora coperto dalla candida neve, dovesse essere un enorme giardino.
Il mio sguardo attento scorreva da destra verso sinistra ogni minimo dettaglio di quella stanza. Sul sofà, posto all'angolo del muro, non vi era seduto nessuno ma c'erano dei bicchieri, rossi e vuoti, lasciati orfani da qualcuno che, probabilmente, era ora impegnato a ballare o a intrattenersi chissà come.
Una rampa di scale si trovava esattamente di fronte a me. Scalini doppi e in legno accoglievano quelle persone che si stavano scambiando baci focosi e c'era chi si spingeva contro il muro, chi contro il corrimano.
A quella visione rabbrividii.
Il solo immaginare che la lingua di un qualsiasi ragazzo avrebbe potuto farsi spazio nella mia bocca, come stava facendo quella di un marmocchio quindicenne che palpeggiava impetuosamente una biondina su quella lunga rampa di scale, mi faceva venire il voltastomaco.
Non ero esattamente la tipa che si faceva toccare. Non ero la tipa da fidanzati, anche perché avevo dato l'unico bacio della mia vita in terza media, a Vanille.
Com'era successo esattamente non lo ricordo ma rammento che George, uno dei buffoni della mia classe, propose quel comune gioco che tutti amano fare. Il "gioco della bottiglia" lo avevo sempre odiato, forse perché quando quell'odiosissimo pezzo di vetro indicava me tutti decidevano di bere, in alternativa, o magari si ritiravano dal gioco.
Quella volta non fu così. La bottiglia indicò Vanille che, entusiasta, riprese a farla girare, vogliosa di scoprire chi avrebbe dovuto baciare.
Non mi sarei mai aspettata che, quando puntò me, lei, invece di sottrarsi come ormai facevano tutti, si sarebbe avvicinata, poggiando le sue labbra carnose e rosee sulle mie.
Non ebbi il tempo di realizzarlo che era già tutto finito. Strani pensieri invasero la mia testa, strane sensazioni riempirono il mio corpo e le ricordo ancora come se fosse ieri. Pensai che di solito una tredicenne immagina il suo primo bacio al ragazzo che le piace, invece io lo avevo appena dato alla mia migliore amica, e in tutto quello non c'era nulla di normale.

Ripresi a osservare. Alla mia sinistra, scorsi un enorme tavolo, disordinato e sporco dove una normale caraffa da punch era stata rovesciata, invece le bottiglie di quella che era palesemente una vodka, erano circa cinque delle quali tre oramai già finite.
Vedevo birra ovunque e mi rendevo conto sempre di più che quella festa era il delirio totale.

Mi accorsi di aver passato del tempo a scorgere ogni singolo angolo di quella casa seguendo l'ordine di Vanille: non mi ero mossa di un millimetro.
Cercai di rimuovere tutti i pensieri che la mia mente stava elaborando e di raggiungere la mia amica che si era allontanata da me per dirigersi dal suo gruppo di compagni di cui parlava tanto.

« Candy » mormorai arrivata al suo fianco.

La vidi voltarsi con fare scocciato, sbuffando come se le avessi chiesto di farmi i compiti di matematica.

« Cosa vuoi, gufa? » mi rispose, finalmente, dopo essersi aggiustata il ciuffo dorato che le era appena caduto sulla fronte.

Mi aveva chiesto lei di accompagnarla a quella festa, ma a quale scopo se la sua intenzione era quella di portarmi lì per poi lasciarmi sola?
Litigare con Vanille era l'ultima cosa che avrei voluto fare ma desideravo che capisse quanto mi sentivo a disagio in situazioni del genere, specialmente se lei scompariva ad inizio serata per poi ripresentarsi quando si era fatta l'ora di andare via.
Notai che indossava un cerchietto con delle orecchie da coniglio di un rosa intenso ed in mano aveva un bicchiere con dentro una qualche strana bevanda alcolica.

« M..mi hai lasciato all'entrata, pensavo ti fossi dimenticata di me » esordii io, parlando con un filo di voce per paura di una sua comune reazione esagerata.
« Io?! Dimenticarmi di te!? » urlò facendomi sobbalzare « Come puoi solo minimamente pensarlo !? » strillò ancora, come se si fosse offesa per quel mio pensiero azzardato.
« Beh, scusa ...» replicai allora io, come sempre sottomessa alla mia amica.
« Non importa » disse seria e voltandosi verso i ragazzi che, sorridenti, la osservavano in ogni suo piccolo movimento.

Perché sì, anche se era insopportabile a volte, Vanille era una bellissima ragazza. Per prepararsi, quella sera, mi aveva fatto passare le peggiori tre ore della mia vita – costringendomi a vestirmi come io non avrei mai osato fare – ma il solo vederla così felice e solare colmava ogni mio piccolo sconforto.

« Loro sono i miei amici, quelli di cui ti ho parlato tanto » sorrise, indicando un gruppetto di tre ragazzi che mi guardavano curiosi di scoprire chi fossi.
« E ragazzi, lei è Hélène » mi presentò Vanille, sicura che se non l'avesse fatto lei, non l'avrei fatto nemmeno io.

Mi chiedevo sempre perché le piacesse così tanto mettermi in situazioni che ritenevo imbarazzanti e fuori luogo. Sapeva che odiavo conoscere persone nuove e detestavo altrettanto trovarmi tra tanti sconosciuti, soprattutto "particolari" come gli amici di Vanille.

« Io sono Louis, il suo ragazzo » si avvicinò il primo, quello che fissava Vanille con più insistenza, come se avesse voluto metterla sotto una campana di vetro e tenerla solo per lui.

Era davvero un bel ragazzo. Alto e palestrato, con uno sguardo che mi penetrava l'anima, aveva due smeraldi al posto degli occhi. Un accento di lentiggini chiare si faceva spazio sui suoi zigomi e la sua mascella serrata evidenziava ancora di più quanto fosse magro. Il naso era piccolo ed eretto con un dorso poco pronunciato e narici piccole. In più i suoi capelli castani rasati ai lati lasciavano che l'occhio di chi lo guardava cadesse sul suo ciuffo precisamente pettinato e che il gel perfettamente steso non rilasciasse nessuna imperfezione.
Indossava una maglietta bianca che mi permetteva di intravedere la sua tartaruga scolpita ed un paio di jeans grigi attillati, segno che anche lui come Vanille, era più che interessato a seguire la moda in ogni suo piccolo dettaglio.

« Io sono Maxime » proseguì il secondo.

Questa volta ammettere che fosse un bel ragazzo non mi riuscì facile.
Lo esaminai con cura: capelli castani, spettinati e all'insù, da quello che evidentemente era un asciugacapelli più che potente. La sua carnagione era molto chiara e le sue sopracciglia doppie oscuravano i suoi occhi minuscoli e marroni. Il naso "greco" tendeva a formare una linea eretta con la fronte; il dorso molto sottile e con una punta abbastanza appuntita mi permettevano di riconoscere delle narici strette e piccole. Le labbra sottili, forse, erano l'unica cosa che mi colpirono perché erano stranamente rosee e perfettamente delineate.
Il suo abbigliamento, però, mi saltò all'occhio. Io non amavo "agghindarmi" per occasioni del genere e forse avevo trovato qualcuno che la pensava come me perché la sua maglietta grigia ed il suo pantalone largo verde scuro non erano esattamente sinonimo di "stare al passo con la moda".

« Ed io Joseph »

Esordì un altro ragazzo. Avevo notato che durante la presentazione di Maxime lui non aveva esitato a staccargli gli occhi di dosso, il che era davvero strano.
Joseph era un ragazzo alto e la sua corporatura era un snella ma formosa dati i muscoli delle braccia e gli addominali che riuscivo a vedere da sotto la maglietta azzurra che indossava.
La sua carnagione era più scura rispetto a quella di Louis e di Maxime e mi chiedevo se fosse l'effetto dell'estate precedente o se fosse così scura naturalmente.
I suoi capelli corvini erano corti ed il taglio era molto simile a quello di Louis, anche se i suoi erano pettinati in modo tale che il ciuffo cadesse in avanti. Le sopracciglia a forma di "v" introducevano i suoi occhi piccoli e scuri,. Il dorso del suo naso era dritto ma breve e lasciava spazio a una punta schiacciata ed abbastanza infossata, facendo notare le narici semi grandi che si allargavano e si stringevano quando respirava. Notai un accenno di barba e baffi e poi mi soffermai sulle sue labbra, rosee e gonfie ed infine un pizzetto scuro poco curato.

« Piacere di conoscervi » sorrisi infine io, domandandomi se fossero solo loro tre gli amici di cui Vanille parlava tanto.

« Non scordatevi di me! » esordì una voce maschile alle mie spalle.

Mi voltai e mi trovai davanti un ragazzo alto, magro e moro.
Non sapevo esattamente se sorridere o essere infastidita dalla sua schiettezza visto il modo con cui salutò Vanille. L'aveva abbracciata e nel contempo le aveva sfiorato il sedere con il dorso della mano. E fui sorpresa che sia lei, sia il suo ragazzo non avessero detto niente.

« Chi abbiamo qui? » chiese con un pizzico di divertimento il ragazzo rivolto a Vanille, mentre indicava me.

« Lei è Hélène, una mia amica » rispose, ridacchiando come fa un'ochetta. Mi sorprendeva quanto potesse essere diversa in compagnia dei suoi amici; si trasformava completamente e non avrei mai immaginato che potesse fare la millantatrice, lei stessa detestava tutte quelle sbruffoncelle che a scuola si appiccicavano ai ragazzi.

Il ragazzo si voltò verso di me, mi squadrò da capo a piedi, cosa che gli altri non avevano fatto. Mi mise in soggezione e pregai tutti i santi del Paradiso di farlo smettere.

Lui era molto bello e i suoi capelli, lunghi rispetto a quelli degli altri, erano pettinati in modo che il lungo ciuffo stesse diritto, sembrava sospeso in aria. Anche se le sopracciglia erano folte e rettangolari, mi permettevano di vedere quello spettacolo in verde che erano i suoi occhi. Il naso, diritto e magro, si adattava perfettamente all'armonia del suo viso colorito e le sue labbra carnose si facevano spazio tra due gote che sembravano lisce come la pelle di un bambino. La mascella era serrata e ben delineata, con un piccolo neo sulla guancia sinistra.
Indossava una collana della quale non riuscivo a vedere il ciondolo visto che era nascosta dalla sua canotta bianca. Dei jeans blu, poi, coprivano le sue gambe snelle e dimostravano quanto anche lui amasse stare al passo con la moda.

« Sono Alan » si decise, finalmente a parlare, porgendomi la mano.

Nessuno degli altri ragazzi lo aveva fatto, si erano limitati semplicemente a sorridere e a pronunciare il loro nome.
Così, timida ed insicura, gli porsi la mano e la strinsi, mentre lui faceva spostare entrambe le nostre dall'alto verso il basso.

Sorrideva maliziosamente ed i suoi occhi consumavano i miei.

« E dov'è Camille? » urlò Maxime, interrompendo finalmente quel contatto visivo che stavo avendo con Alan.

Ma chi era Camille?
Una figura non molto alta ma sufficientemente snella sbucò alle spalle di Vanille, sorridente e radiosa. Riuscivo a vedere i suoi denti bianchi splendere e il suo sorriso, unico nel suo genere, contagiare tutti.
Lei era Camille. Una fronte spaziosa e perfettamente coperta da fondotinta e cipria introduceva quelle sopracciglia castane e sottili. Gli occhi erano marroni e le palpebre tracciate da una linea di matita nera che superava anche il confine dell'occhio, arrivando poco prima delle sue tempie. Il naso, piccolino, aveva una punta schiacciata, come quella di Joseph. I suoi zigomi erano segnati da un phard color terra e due piccole fossette si facevano spazio ai lati della sua bocca sottile e colorata con un rosso acceso.
Il fisico di quella ragazza era da invidiare. Portava un pantaloncino rosso a vita alta che lasciava l'ombelico scoperto. Notai subito che aveva un piercing e mi domandai quanto potesse averle fatto male farlo. E infine aveva una maglietta corta bianca con su una stampa della bandiera inglese che le copriva fin sopra la pancia piatta.

« Eccomi » affermò lei dirigendosi nella direzione di Alan.

Lui poggiò le sue mani sui suoi fianchi scoperti e fu allora che le loro labbra emisero un sonoro schiocco. Li guardai mentre si scambiarono quell' impetuoso bacio che non dimenticherò mai. Abbassai poi lo sguardo, imbarazzata da quella situazione.

Notai che Vanille e Louis stavano scherzando tra di loro e che Joseph e Maxime erano impegnati a chiacchierare mentre Alan e Camille continuavano a scambiarsi baci. Mi sentivo di troppo.

« Ehi, sono stanca ... non è che possiamo tornare a casa? » domandai a Vanille, interrompendo la sua lotta di "Ti amo più io" con Louis.
« Andare via? Ora? » chiese lei, sorpresa da quella mia richiesta.
Rivolse uno sguardo di aiuto ad Alan che si avvicinò a me.

Sentii le guance andare a fuoco perché non avevo mai avuto un approccio fisico con un ragazzo, neanche minimo come quello. Non era esattamente all'ordine del giorno per me essere abbracciata da un individuo di sesso maschile e mi sentivo completamente a disagio. Il suo braccio avvolgeva il mio collo mentre mi conduceva dall'altro lato della stanza affollata.

« Che ne dici se prima di andare ti offro un drink? » sorrise lui mentre giocherellava con la collana di Vanille che avevo al collo.

Annuii, incapace di replicare o di rifiutare quella proposta anche perché ciò stava a significare che a breve sarei andata via da quella casa, finalmente.

Alan si diresse verso il tavolo dove erano poste un sacco di varie bottiglie alcoliche ed in quel momento mi chiesi che ore fossero.
Tirai fuori il mio cellulare dalla tasca del giacchetto e vidi che erano le undici e mezza.
Alan, poi, tornò da me, camminando con l'aria trionfale che lo aveva accompagnato anche prima porgendomi un bicchiere rosso.

« Che cos'è? » mi limitai a chiedere sussurrando.

Non avevo mai bevuto niente di alcolico e non sapevo fino a che punto avrei retto se fosse stato potente. E di certo non mi andava di ubriacarmi perché, dato l'ambiente in cui ero, mi sarei ritrovata a imitare goffamente una di quelle poco di buono che ballavano e si strusciavano contro un qualsiasi essere del sesso opposto.

« Ti farà impazzire, è davvero buono » rispose lui, arricciando il naso mentre sussurrò quelle sei parole al mio orecchio.

Deglutii per scacciare via il nervosismo che avevo, mentre lui mi guardava aspettando che assaggiassi quella miscela. Sembrava che la considerasse una delle sue composizioni migliori, come un musicista che scrive una sinfonia e non vede l'ora di farla ascoltare a qualcuno.
E mi incitava, con le sue sopracciglia scure alzandole di tanto in tanto, prima che potessi portare quel bicchiere alle mie labbra e poi impaurita, sorseggiai nell'attesa di scoprire cosa fosse.
Realizzai che aveva ragione. Quella miscela per niente forte era gradevole alle mie papille gustative e, continuando a berla, sorridevo perché pensai che Vanille lo avesse avvertito del fatto che non avevo mai bevuto e che lui, responsabilmente, ci fosse andato giù leggero.

Quando finii di bere lo guardai, era soddisfatto del suo lavoro e mi sorrise, incitandomi a sedermi su un divanetto rosso che non avevo notato. E così feci, mettendomi ad ascoltare placidamente le conversazioni di Camille, Alan e Louis che parlottavano di come avrebbero voluto trascorrere le vacanze natalizie mentre Vanille, Maxime e Joseph ballavano spensieratamente.

Dopo un po' di tempo, stanca di ascoltare, domandai a Vanille le chiavi della sua auto.
Lei, dopo averle tirate fuori dalla borsetta abbinata al suo tubino, me le porse, raccomandandomi di fare attenzione a non sporcarla.

« Tra quanto tempo mi raggiungerai? » chiesi, sbadigliando rumorosamente.
« Dieci minuti al massimo » rispose lei, saltellando verso Louis che l'aspettava nella pista da ballo.

Dopo aver annuito alla sua richiesta, mi diressi fuori dalla casa e con un click aprii la macchina per poi entrarvi e sedermi al posto anteriore, vicino al guidatore.
Era strano che mi sentissi così stanca visto che andavo a dormire molto tardi la sera. Iniziai a sentire le palpebre pesanti, che imploravano di chiudersi. Avevo sonno e non avrei resistito ancora. La vista si appannò e per quanto cercassi di tenere gli occhi aperti non ci riuscivo.
Mi addormentai in un sonno profondo.

Non so quante ore passarono ma so che ad un certo punto, a causa di sogni inquieti, mi svegliai di soprassalto, ansimando rumorosamente. Mi guardai intorno. La casa e i suoi rumori erano svaniti, sostituiti da un'autostrada alle prime ore del mattino.
Vanille, accanto a me, guidava in uno stato molto confusionale. Quando vide che i miei occhi erano aperti sobbalzò.

« Ah, ti sei svegliata finalmente, dormigliona! » disse in modo molto brillo.

Potevo sentire la puzza di alcool provenire dalla sua cavità orale e, stropicciandomi gli occhi, notai che il sedile posteriore era cosparso di sostanze appiccicose che avevano tutta l'aria di essere alcolici.

« Cos'è successo? Perché puzzi d'alcool? E che ore sono? Ma soprattutto perché stai guidando? Sei ubriaca! » balzai sul sedile, domandando a raffica ogni mia curiosità.

Lei si toccò la testa, dolorante, e mi guardò con uno sguardo innocente, come per convincermi che lei stesse bene.

« Uh, che palle. Sei sempre la solita, gufa » sbuffò lei, agitando una mano, infastidita « Avrei tanto voluto che il sonnifero fosse durato di più, almeno non avresti iniziato con le tue solite, inutili domande »

Ma di cosa stava parlando?

« Sonnifero?! Che sonnifero?! » urlai, quasi, presa dall'ira.

La mia migliore amica mi aveva davvero addormentato perché le ero d'intralcio?

« Sì, un sonniferuccio insignificante che ti ha fatto dormire per cinque ore di fila! » ridacchiò Vanille, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Cominciai ad urlare dicendole le cose più assurde e le calunnie più cattive; lei allora cominciò a difendersi urlando e gesticolando.
Le volevo imporre di lasciarmi guidare perché, nel suo stato, stavamo rischiando grosso.

Un po' per la confusione che stavamo creando, un po' per il suo stato e per quanto fosse presa dalla discussione perse di vista la strada. Tutto accadde in pochi secondi: il veicolo in cui ci trovavamo perse il controllo e sbatté contro uno dei camion che ci fiancheggiava. La macchina sbandò come se fosse stata di carta, scaraventata dall'altro lato della carreggiata. Si capovolse bruscamente su un lato, proprio quello dove si trovava Vanille. E il ricordo del susseguirsi dei colpi mi fa ancora venire le lacrime. Il dolore cominciò a salire e a colpire insistente le tempie.
Prima che potessi perdere conoscenza urlai il nome di Vanille ma non ebbi alcuna risposta.
Bastò uno sguardo per capire che Vanille era morta.   

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 13, 2022 ⏰

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