Capitolo 2

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Mi ritrovo in un bosco che è come quello che ho sognato.
No dai, è impossibile che si sia avverato.
Ed è altrettanto impossibile che io stia sognando, insomma, ero in un garage due secondi fa.
Ma è tutto vero.

Mi guardo in giro, e ogni cosa è completamente uguale, gli alberi alti e scuri, il profumo di muschio e l'atmosfera misteriosa.
Insomma, ma stiamo girando Twilight?

Un'altra presenza sembra stia attraversando la fittizia foresta.
"È arrivato il mio Edward Cullen?" commento tra me e me.
No, non so essere seria nemmeno quando non ho la minima idea di dove mi trovi.
Finalmente chiunque stia camminando in giro svela il suo volto.

Oh mio Dio.
È Luca.
Gli sorrido e gli vado in contro.
«Cate» lui mi sorride.
È davvero felice di vedermi? È davvero qui?
«Sei reale?» gli stringo gli avambracci, sono freddi, e i suoi occhi scorrono subito sulle mie unghie smaltate.
«Tu lo sei?» mi sorride ancora, questa volta quasi preoccupato.
È così tremendamente bello.
«Io penso di si» non so se la mia faccia è simile a quella di un ebete o se ho una paralisi da quando l'ho visto.
Qualunque cosa sia, è sicuro: voglio abbracciarlo ora.
Le sue braccia mi farebbero sentire al sicuro intorno a tutte queste incertezze.

«Come sei finito qui?» chiedo.
«Nemmeno io lo so, ero a calcio. Però penso che questo mondo sia più reale di qualsiasi sogno.» tira il braccio destro verso di sé e mi mostra un graffio.
È parecchio rosso rispetto alla sua pelle, e profondo.
«Chi ti ha fatto questo?» sento piangermi dentro.
Per tutte quelle volte in cui non stava bene, io non avevo modo di fare nulla, e in fondo chi ero? C'era sempre qualcun'altro per lui.
Ora sono impotente di fronte a questo.
Ma se lo voglio, devo farlo ora.

Lo fisso negli occhi azzurri, lui fa lo stesso, siamo due timidi che stanno combattendo.
«La mia entrata non è stata proprio facile.»
«Ti fa male?»
«Non è niente, non ti preoccupare.»

Lui si avvicina, io non indietreggio.
Le sue braccia si aprono e le avvolge attorno a me.
«Ho avuto paura, sai? Ne ho sempre avuta» lo sento parlare nella mia spalla.
È tutto così strano, così assurdo.
Non l'ho mai sentito così debole.
«Pensa che brutto non provarne neanche il brivido.
Solo calma fuori, ma dentro io sono un vulcano, le emozioni corrono via prima che me ne accorga.»
Ci sciogliamo l'uno dall'altro.
«E ora cosa hai provato?» accenna un suo sguardo, il mio preferito.
«Sono felice»
Mi mostra ancora i suoi bianchissimi denti, io sento di star arrossendo.

Le foglie della siepe di fronte a noi si agitano, ma non è il vento.
«Ma dove cazzo sono?» dice una voce.
È incredibile.
Francesca avanza verso me e Luca correndo per quei pochi metri che ci dividono, poi si ferma e si mette le mani sulle guance.
«E tu cosa ci fai qui?!» le chiedo sbalordita.
«Cosa ci fate voi qui!» ride.
Io e Luca ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
«Non ne abbiamo la minima idea»

Sento di vivere finalmente tutto quello che non ho mai potuto fare con lui; sorridersi, ridere l'uno negli occhi dell'altro, abbracciarsi.
Nonostante ci conosciamo dall'asilo, da parte di nessuno dei due c'è stato il coraggio di definirsi 'amici'.
Ora non c'è stato neanche il bisogno di dirlo.

«Chiariamoci un'attimo...dove minchia siamo?» esordisce lui.
Entrambe ridiamo per la sua spontaneità, poi io propongo di andare a guardarci in giro.
Stranamente Francesca non ha ipotesi sul posto in cui ci troviamo, tipo "Staremo sognando" oppure "È tutta colpa della Lasio, è sempre colpa delle prof", ma questa volta sta proprio zitta e appare alquanto disorientata.

Percorriamo verso nord la foresta, Dio solo sa quanto mi sto trattenendo dal prendere la mano di Luca.
Scorgo qualcosa in lontananza, sembra una casa.
«Guardate là!» indico ciò che ho appena visto agli altri.
Loro volgono lo sguardo sull'abitazione con gli occhi stupiti.
«Che dite, andiamo?» chiede Fra preoccupata.
«Chi arriva per ultimo è una capra!» esclama Luca e tutti e tre ci mettiamo a correre verso la meta.
La temperatura è parecchio bassa e il mio Parka non mi permette di andare troppo veloce, ovviamente arrivo ultima.
«Capra!» mi urla contro Fra, io le faccio la linguaccia.
Appena entrambe alziamo lo sguardo veniamo colpite da un castello, proprio di fronte a noi.
Ha le mura giallo spento, alcuni mattoni scuri diroccati appartenenti a piccole torri in cima, posizionate due ai lati e una al centro.
«Manca solo qualche nuvoletta grigina e dei condor che ci girano intorno e poi siamo sul set di Edward Mani Di Forbice» ironizzo.
«Io ci voglio entrare ora.» afferma Luca sicuro.
«Anche io.» concorda Francesca, ed entrambi si mettono sull'attenti, pronti a farsi avanti.
Ma dove lo trovano il coraggio?

Li guardo stranita e faccio un passo indietro.
«No» dico.
«Sì!» mi prende per un polso Fra e mi tira verso il castello.
Io ruoto gli occhi e avanzo strattonando.
Dopo qualche metro ci troviamo davanti alla facciata principale, ma che non ha porte.
«E adesso?» urla Francesca contro il muro sbiadito.
«Giriamogli intorno, qualcosa ci dovrà pur essere» penso.
Lei guarda ancora un po' quello che si è trovata davanti, poi annuisce e mi segue verso destra.

Nulla.
Ad un certo punto decidiamo di fermarci dove siamo arrivati.
«Che fregatura, chi l'ha messo qui 'sto castello?» sbuffa lei, mentre tira calci ad alcuni mattoni che forse un tempo appartenevano alla costruzione del muro, ora crepato.
Andando avanti così rovinerà le sue Vans blu.
Mi accorgo di un dettaglio, che si svela essere imprescindibile.
«Franci stai ferma un secondo.
Quel mattone non è al suo posto.»
Lei mi guarda inizialmente incuriosita, poi lascia stare e torna a strisciare i piedi per terra infastidita dalla noia.

Sposto il mattone fuori posto.
I miei occhi corrono subito su ciò che accade alla mia sinistra.
Il muro, proprio lì all'origine della crepa, si dissolve nel nulla, lasciando solo una nebbiolina bianca.
Nella fessura che si è creata appaiono delle scale.
«Oh porco dinci...» sibilia Fra alla mia destra, poi inizia a mordicchiarsi le unghie.
Io rimango ferma.
Luca si avvicina, non deve aver fatto molta attenzione a come è successo, anche se non posso saperlo, poiché era dietro di me.
«Scendile tu per primo.» gli dico.
Lui annuisce e si avvicina.
Tutta la sicurezza che mi reggeva in piedi con tanta fierezza ora sta svanendo, e se stesse facendo la cosa sbagliata?
Mi convinco.
La nostra vita è già stata scritta nel destino, non c'è motivo di sbagliare.
Un po' come la Divina Provvidenza di Manzoni.
Se deve accadere, accade.
E Luca cade da quelle scale, mai realmente esistite.
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Suspance! Hahahah, alla prozzimaa💪

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