X parte II

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Zayn stava fumando una sigaretta in religioso silenzio, teneva lo sguardo assente puntato all’orizzonte e le labbra incurvate in un leggero ghigno naturale, ormai, di chi non aveva paura di niente.
Era un po’ la sua nozione di vita, il suo imparare ad affrontare qualsiasi dilemma, qualsiasi avventura, uscendone vittorioso e illeso.
Avrebbe vinto anche questa, si ripeteva ormai da giorni, eppure c’era quel fastidioso pizzicore all’altezza dello stomaco che lo faceva sentire stranamente a disagio, nervoso.
Gettò il mozzicone sul erba bagnata, e lo pestò con la punta dell’anfibio, si mordicchiò il labbro e decise che non aveva importanza, ormai c’era troppo dentro per uscirne.
Liam dall’altro lato, fissava insistentemente le tre postazioni diverse da cui sarebbero dovuti partire.
Era irritabile al massimo, sbatteva insistentemente a ritmo regolare il piede sul terriccio, gli occhi socchiusi e le labbra martoriate dai propri denti, come martelli pneumatici.
Sarebbe anche andato avanti così, stretto nella sua tuta rosso-oro, se un paio di mani non si fossero posate sui suoi fianchi e una voce calda gli avesse sussurrato un “smettila di rovinarti quel tempio divino, Payne”.
Liam sogghignò, crogiolandosi un po’ nel suo imbarazzo, riaprendo gli occhi e poggiando il naso contro la sua guancia, mordendola successivamente, «spero tanto funzioni» Zayn socchiuse gli occhi e annuì un po’ a Liam e un po’ a se stesso, «funzionerà, dolcezza. Vedrai».
Come uno dei più belli clichè, le loro labbra si unirono, un bacio rapido, indolore e senza schiocco, ignorarono entrambi il sapore d’addio posto sulla punta della lingua, che raspava e bruciava; quando il vociare sugli spalti terminò, sapevano che era giunto il momento.
E mai in tutta la vita, desiderarono di scomparire, di prendersi per mano e chiudere gli occhi, vivere le emozioni altrove, senza pericoli, pregiudizi.
Zayn guardò Liam e prese con dita tremanti la catenina d’argento che mai si era tolto in tutta la sua vita, Liam non porse domande quando Zayn gliela agganciò al collo, baciandola.
«Che ti porti fortuna» sussurrò il moro, facendo per andarsene.
Più rimaneva accanto a Liam più si sentiva a disagio, gli voltò le spalle e chiuse gli occhi per qualche passo, fin quando la mano calda di Liam non si avvolse attorno al suo polso, per fermarlo.
Non ci volle nessuna spiegazione quando le dita delicate di Liam inserirono quell’anello al suo anulare, Zayn non ne chiese, né tanto meno le pensò.
Ricacciò solamente dentro il sapore amaro e si morse gli interni delle guance, gettando un ultimo sguardo di accesa intesa a Liam, comunicandogli tutto ciò che doveva dirgli.
Liam abbassò semplicemente la testa e strinse la collana che portava al collo.
Le loro strade si dividevano, ora.
Magari per sempre, magari no, ma questo nessuno dei due lo sapeva. Ciò che Zayn sapeva, era che stava provando paura, per la prima volta nella sua vita, e ciò che non sapeva invece, era che Liam stava provando lo stesso.
Il centro di fronte a cui si prospettava un enorme labirinto di rovi e siepi, non era esattamente ciò che Liam aveva sempre pensato che fosse.
Era spettrale, disse a sé stesso, tenendo le labbra socchiuse, guardando dal basso quei muri alti una decina di metri in cui era impossibile arrampicarsi, poiché era sicuro che fossero mobili.
Strinse le mani intorno alla propria bacchetta, e si voltò verso i presenti, che applaudivano e fischiavano in direzione del concorrente preferito.
Cercò tra la folla gli unici occhi che avrebbero potuto per lo meno rassicurarlo, e quando li trovò trasse un sospiro di sollievo, tirando le labbra in un leggero sorriso.
Quando il preside terminò di fare il suo lungo discorso su ciò che avrebbero dovuto fare, mandò un’occhiata intrisa d’odio a Zayn, il quale secondo copione – si fa per dire – avanzò con fare teatrale e si pose di fronte a Liam, spintonandolo all’indietro.
Liam sgranò gli occhi e li ridusse a due fessure, prendendo Zayn per le spalle e cercando di farlo cadere.
Nessuno dei due seppe perché incominciarono a picchiarsi davvero, pugni assestati davvero, dolore atroce e gemiti.
Forse la voglia di un contatto fisico, forse la voglia di provare dolore, di sentire qualcosa al di fuori dell’adrenalina che stordiva i sensi, forse la voglia di trovarsi l’ennesima volta, un pensiero sbagliato, un “ehi, stiamo davvero facendo la cazzata del secolo”.
Quando Liam e Zayn vennero separati, ansanti, si guardarono negli occhi, in un dolce ritorno al loro primo incontro, quello scrutarsi come due leoni pronti ad aggiudicarsi la preda, a difendere il loro territorio.
Solo che in quel caso erano loro, l’uno la preda dell’altro, si guardarono, ma questa volta in modo diverso, si guardarono davvero, si amarono.
«Che cosa diavolo vi salta in mente?!» sbottò la vicepreside, guardando entrambi in cagnesco; nessuno dei due ruppe quella tensione fatta solo di sguardi.
Liam era sempre stata una persona intelligente e razionale, in qualsiasi cosa facesse, lo era a scuola, lo era fuori da scuola e lo era anche con gli altri, i quali ascoltava e cercava sempre di dare una mano.
Ma quel giorno, per la prima volta, smise di ascoltare, smise di porsi domande e di cercare risposte, rimase solamente al suo posto e attese l’unico rumore che voleva sentire, quel rumore tanto simile a uno sparo che avrebbe dato il via alla prova decisiva.
E quando arrivò, il cuore riprese a martellargli forte nel petto.
Liam teneva un ginocchio premuto contro il terreno, gli occhi chiusi e il respiro regolare, il cuore batteva intensamente, come il rumore di una porta che sbatte, come il rumore della compressione del proiettile che viene sparato, come adrenalina che scorre endovena fino al cervello.
E Liam Payne stava pensando a quando per la prima volta, al lunapark era entrato in una struttura in miniatura di un labirinto, con muri scuri e bui, sentendosi così piccolo e indifeso.
Ma ora, ora era solo, non c’era la mano del padre che lo guidava fuori dal labirinto, non c’era un nastro rosso come nel labirinto del Minotauro, non c’era assolutamente nessuno.
Ma ora, di nuovo, ora che aveva aperto gli occhi, c’era qualcosa di diverso, sentiva qualcosa di diverso, come se fosse diventato impassibile, impossibile da scalfire.
Dimenticò qualsiasi cosa, dimenticò il suo nome, la sua età, ciò che doveva fare, lasciando fuori qualsiasi suono eccetto il suo respiro.
Si sentiva nuovo, diverso e invincibile.
Sentiva quel formicolio alle dita dovuto alla produzione a fiotti di adrenalina, e fu come se tutto potesse fermarsi per istanti.
Scattò esattamente quando il suono dello sparo diede lo start alla sua carneficina, spingendo il suo corpo al limite.
Si gettò per istinto nella via principale del labirinto, tenendo la mascella serrata, guardando a destra e a sinistra, chiudendo fuori persino l’aggettivo spettrale, e il rivolo di paura che aveva tentato di avvilupparsi alle sue viscere.
Muri alti e immensi, costituivano una delle prove più difficili del Torneo, edera verde speranza – che di speranza non ne dava neanche un po’ – cresceva in alto, dove la luce era presente.
Liam teneva lo sguardo dritto davanti a sé, dove i nuvoloni grigi erano ben visibili, la bacchetta stretta nella mano sinistra, mentre il vociare sugli spalti, andava ad affievolirsi man mano che correva in avanti.
E Liam corse, corse senza neanche accorgersene, spinto da una forza disumana che permetteva alle sue gambe di pompare senza mai smettere, fin quando, non si fermò di fronte a una biforcazione.
Non aveva neanche il fiatone, e ringraziò mentalmente di aver fatto atletica da bambino , quando rallentò e cercò di velocizzare la propria sinapsi.
Gli sembrava tanto la rappresentazione della sua vita, fare o non fare? Quale strada prendere? Giusta o sbagliata? Chi può dircelo, alla fine.
Liam aveva imparato, che bisognava buttarsi, qualunque cosa ci sia dietro, buona o brutta che importanza fa? Rimanendo in stasi, la risposta, è solo un’utopia.
Segui il cuore, uno sbaglio è sempre rimediabile, pensò, ridendo tra sé, dandosi del pazzo, quando prese la seconda strada, esitando quando si accorse che alle sue spalle, il rumore spettrale e graffiato delle radici, che infinite si diramavano da un estremo all’altro per chiudere il suo passaggio. I suoi sospetti furono confermati con un impatto brutale: i muri si muovevano, e ciò significava solo una cosa.
Non poteva più tornare indietro. Gli si gelò il sangue nelle vene.

MUDBLOOD SACRIFICEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora