Anche gli specchi si rompono

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 Alice: "Un sogno non può essere reale"
Il cappellaio: "Chi può dire cosa lo é o cosa non lo é?"

Lewis Carroll (Alice attraverso lo specchio)  

Chloe non capiva se il freddo della mattina fosse dovuto alla nuvola di piombo che sembrava aver deciso di coprire perennemente il sole di quel paesino dimenticato –a quanto pare letteralmente- da Dio oppure alla consapevolezza di aver vissuto un quarto di quella che sperava sarebbe stata una lunga vita con un demone. E non un demone qualsiasi. Un angelo caduto. Il solo pensarci era assurdo quanto ridicolo. Si strinse nel cardigan grigio, svoltando l'angolo per il semplice fatto di esserselo ritrovato davanti. Quella mattina aveva detto a suo padre che sarebbe andata a fare un giro per Downworld.

"Devo imparare le strade se voglio sopravvivere tre mesi qui." aveva detto. Michael aveva semplicemente scrollato le spalle ed era tornato alle scartoffie per il passaggio di proprietà della casa.

Chloe si era chiesta se quella vita gli stesse troppo stretta, se quelle carte non lo annegassero così come lo annegavano quelle dei suoi libri. Si chiedeva se le volesse veramente bene. Si chiedeva perché non bruciasse tutto con una vampata di fuoco: quelle carte, la casa, lo specchio, e si chiedeva perché non potesse tornare alla sua vita tranquilla in California. Il viso di Maximilian le apparve davanti agli occhi, sovrapponendosi alle strade, ai negozi, e si sentì in colpa per aver pensato di eliminare in quel modo la sua unica finestra sul mondo. Maximilian, che aveva lasciato con la musica del suo carillon accesa e uno sguardo stanco, perché non aveva voluto dormire quella notte, era rimasto sveglio a guardare tutte le trasposizioni cinematografiche possibili di Sherlock Holmes, messe in loop da Chloe stessa. A Maximilian, un bambino nel corpo di uno scherzo della natura.

Devo toglierlo da lì, poi lo porterò al cinema, o magari in biblioteca. Gli piacerebbero.

"Cosa ti manca di più, di casa tua?" gli aveva chiesto mentre si pettinava i capelli. Lui la guardava con fissità, ipnotizzato dal movimento della spazzola in legno nella chioma che l'acqua aveva reso liscia.

"Le botte." Chloe aveva sbarrato gli occhi, lasciando che le gocce le bagnassero la maglietta XL che aveva preso dagli scarti di suo padre. Sopra c'era una scimmia con gli occhiali e una banana che scriveva equazioni matematiche su sfondo verde. Mio padre potrebbe essere il cugino di Lucifero e indossa questa roba. "Sono l'unico contatto che ricordo." Si era spiegato.

"Allora ti manca che qualcuno ti tocchi."

"Pervertita."

"Sei un cretino."

Si fermò a prendere un hot-dog su una bancarella di strada, fermandosi pochi metri più in là quando vide del fermento davanti all'entrata di un condominio, poco più avanti. Diede un morso al suo spuntino e sistemò la borsa con il libro nero sulla spalla, dando sfogo alla sua curiosità e raggiungendo a passi pesanti quella piccola folla. Più si avvicinava più le voci aumentavano, trasformandosi da brusii a frasi sconnesse.

"Povera Donna."

"Che tragedia."

"Era anziana, potevamo aspettarcelo."

"Dite che ha sofferto?"

Chloe distinse bene il retro aperto di un'ambulanza. Le sirene erano accese ma non emettevano alcun suono, un brutto segno. Due paramedici in tuta gialla uscirono dal condominio portandosi dietro una barella con sopra quello che, ad una prima occhiata, si sarebbe detto un sacco della spazzatura. D'istinto a Chloe tornarono in mente le parole che una volta le aveva detto la sua amica Betany mentre guardavano Gray's Anatomy in TV.

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