0. La caccia

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LA CACCIA

C'erano una volta una bestia e un cacciatore.

Il buio le attanagliava la mente e le membra in un abbraccio crudele. Si era rifugiata lontano, in attesa dell'inevitabile, e i secondi tramontavano uno sull'altro senza sosta. Era nascosta in una spaccatura di roccia, tra le viscere della terra, con la pelle imperlata di sudore e il respiro soffocato dall'eco del tormento che aumentava a ogni battito. Presto sarebbe arrivato alle ossa, le sentiva scivolare tra i muscoli quasi avessero già iniziato a pregustare il supplizio dell'accartocciarsi su loro stesse. La spaventava il momento in cui non sarebbe più stata in grado di percepire il dolore. Conosceva l'ignoto in cui sarebbe piombata e lo temeva. La Luna fu l'unica, silenziosa testimone del suo abbandono.

Iniziava sempre tutto dal petto, che custodiva l'ultimo respiro umano. Poi la carne si torceva e deformava ogni piega del suo corpo, intrappolandola all'interno di una prigione pulsante.

Era uno strazio sordo e lento, che si infiltrava nelle vene fino a lambirle il cuore. Ogni frammento di lei si spezzava per dare vita a forme estranee, tanto brutali da renderla impotente ed eclissarla dietro l'aspetto bestiale che aveva assunto la sua pelle.

Era di nuovo prigioniera di un corpo non suo, soggiogato dal ricordo del sangue che freme sotto l'ennesimo morso letale.

Voleva scappare da ciò che era diventata, ma nient'altro le poteva dare la libertà a cui anelava quando si trovava lì dentro.

Non poteva fuggire da se stessa. Non poteva disobbedire alla Luna.

***

Il buio era così denso che lo avvolgeva in una stretta soffocante. Avanzava nell'oscurità più totale con i sensi all'erta e osservava con minuzia lo spazio circostante. Lasciò vagare lo sguardo sul bosco che si estendeva intorno a lui, assaporando i colori dell'autunno smorzati dal cielo plumbeo e il vento soffocato dalle chiome non ancora spoglie. La luna tingeva l'ambiente di un lugubre blu, simile al colore dei suoi incubi. Con il calare del sole il freddo pungente aveva iniziato a insinuarsi tra i rami; il suo corpo, però, non ne risentiva minimamente, fomentato da una forza interiore che lo spingeva a camminare con passo sicuro. La avvertì nello stomaco, quella furia che non conosceva quiete, e il suo fermento gli colmò la testa, le ossa e le vene.

Impugnò meglio la balestra, le dita strette contro il legno lucido del manico e accarezzate dal gelo del vento. Riusciva a cogliere l'odore di morte che impregnava le radici degli alberi e percepiva il fruscio dei passi che preannunciavano il loro funesto incontro. Quella che stavano ballando era una danza studiata; lui seguiva lei e lei imitava lui. Solo chi si fosse dimostrato più spietato avrebbe potuto vincere, quella notte. Si voltò di scatto quando avvertì la bestia fare un passo falso. Iniziò a correre nella sua direzione senza più temere di essere scoperto: era lui il predatore, già pronto a scagliare una freccia letale.

Inspirò. Nessuna pietà.

Era questione di secondi, il tempo che il suo indice innescasse lo scocco e la punta acuminata del dardo avrebbe colpito in modo fatale la creatura. Il polpastrello entrò a contatto con il materiale liscio della leva di scoccaggio, desideroso di attivare il meccanismo che rilasciava la corda tesa. Cercò con lo sguardo il suo obiettivo, preparandosi a colpirlo.

Espirò. Mai esitare.

Poi, inaspettatamente, si ritrovò ad abbassare l'arma.

Di fronte a lui c'era una ragazza, i cui singhiozzi spezzavano il silenzio notturno. Era nuda, rannicchiata sulle ginocchia, con le foglie tra i capelli e la terra a sporcarle le dita affusolate. Appena lo vide alzò di scatto la testa nella sua direzione, come un animale spaventato. Il suo volto era distorto in una smorfia di sofferenza e il petto si sollevava con rapidi balzi a ogni singulto liberato dalle labbra.

«Ti prego, aiutala» sussurrò con voce spezzata.

Lui si avvicinò, facendo un passo per volta sul terreno umido. Il chiarore della luna piena baciò il profilo della ragazza, rivelando il liquido scuro e vischioso che le macchiava la pelle. Sangue.

«Aiutala, lei... L'hanno uccisa...»

Si inginocchiò al suo fianco, posò la balestra a terra e le tolse le mani dal volto. Osservò con attenzione il suo sguardo straziato, liberandole i capelli che erano rimasti impigliati alle guance umide di lacrime e sangue.

Prima che lei potesse articolare un'ultima supplica, afferrò il coltello riposto nello stivale e le accarezzò la pelle sottile del collo con la lama. Il sangue della bestia iniziò a scorrere lento dalla ferita, mischiandosi con quello che già le tingeva la pelle di un colore carminio. L'esile corpo gli ricadde tra le braccia e gli occhi chiari continuarono a fissarlo anche dopo che la vita li ebbe abbandonati. Sentì dei passi alle sue spalle, un ritmo amico e familiare, e un ragazzo lo raggiunse con il fiato spezzato dalla corsa. Appena vide la scena dipinta davanti a lui chiuse gli occhi con forza per esorcizzare i propri timori.

«Sei impazzito? È solo una ragazza!» esclamò con voce impastata dal panico, raggiungendolo con passo incerto e osservando in modo nervoso gli alberi.

Il corpo della bestia venne abbandonato al suolo e il coltello che le aveva sottratto il futuro ripulito con un unico gesto preciso.

«Uno è meglio che molti» gli ricordò. «Se osservassi i suoi denti, Steve, capiresti anche tu che non è solo una ragazza.»

«E tutto questo sangue?» chiese, avvicinandosi come gli era stato suggerito. La bocca era ancora distorta in un urlo mai nato che lasciava intravedere i denti affilati. «Poteva essere lei la vittima. Un giorno o l'altro ti ritroverai a uccidere qualcuno di innocente.»

«Il sangue da cui è coperta non è certo suo: non ha nessun'altra ferita, a parte quella con cui l'ho uccisa. Nella caccia i dettagli sono essenziali, cugino.»

Ripose il coltello nello stivale, poi prese un braccio della ragazza e la trascinò fino all'albero più vicino.

«Sorridi, bestiolina» sussurrò, alzando con due dita gli angoli della sua bocca. «Nessuno riesce a ingannarmi, nemmeno un bel visino.»

«Forse... forse sarebbe meglio andare.»

Si voltò verso Steve. Tra le mani tremanti stingeva la balestra, mentre dalla schiena spuntava la faretra con le frecce in argento lucido. I capelli, ormai intrisi di umidità, gli ricadevano in ciuffi scuri sulla fronte. Continuava a scrutare il bosco in modo frenetico, spostando gli occhi da un albero all'altro, ed evitava con scrupolo di posare lo sguardo sul cadavere. Si sentiva responsabile per la morte della bestia, anche se non era stato lui a sottrarle la vita. La sua prudenza, però, non era altro che una maschera malamente usata per celare il timore che lo percuoteva.

Timore. Se voleva essere un Cacciatore, quello era un concetto che avrebbe dovuto censurare. Steve era solo alla sua prima uscita, aveva tempo per imparare a mettere in pratica tutti gli insegnamenti ricevuti. Aveva tempo per apprendere come reprimere ogni emozione.

«Andiamo, l'odore del sangue potrebbe attirarli qui. Un branco è troppo per noi, accontentiamoci di questa.»

Prima di alzarsi per raggiungere Steve, colpì il viso della ragazza con un gomito, centrando con precisione la bocca. Infilò due dita tra le sue labbra, fino a che non entrano a contatto con la dentatura, e senza troppo sforzo staccò un canino dalla gengiva. Il dente era appuntito e bianco, più simile alla zanna di una belva che a qualcosa di umano. Lo lasciò scivolare nella tasca dei pantaloni e abbandonò l'animale ai suoi simili.

C'erano una volta una bestia e un cacciatore, ma non è certo chi dei due fosse il vero mostro.

La ballata delle zanneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora