Robert Downie era un giovane povero che viveva in una piccola casetta nei sobborghi di Parigi in un quartiere mal ridotto in cui giravano donne di malaffare, alcol e risse all'ordine del giorno.
Robby, come lo chiamava sua zia, aveva solo 12 anni quando decise di scappare di casa perché voleva girare il mondo.
Portò con se nient'altro che la sua giacca con un coltellino svizzero e pochi soldi racimolati di nascosto dalla sacca del padre.
Uscì di casa senza guardarsi le spalle, senza nemmeno dare un ultimo saluto a chi non avrebbe rivisto mai più. Iniziò con un passo indeciso, quasi fosse attratto dal tornare indietro o andarsene davvero. Poi però si fece coraggio e cominciò a correre, immaginando lui a Londra, Scozia, Spagna, Italia, ovunque.
La prima notte si sistemò in un campo di grano di una fattoria. Lì non lo avrebbe visto nessuno.
Riuscì a sopportare la fame, anche perché in casa sua c'era l'abitudine di mangiare si e no una volta al giorno; due se gli andava di lusso. Saltare la cena non era una cosa nuova.
Si stese sotto un albero con le braccia dietro al collo a sorreggere la testa.
"Non diventerò mai come quelli là" pensava riferendosi alla gente del suo quartiere. "Sporcizia umana. Io sarò migliore, viaggerò il mondo e quelle fogne vedranno il mio nome ovunque". Ogni sera se lo ripeteva nella testa.
Osservava le stelle, pensando a cosa potesse accadere nel resto del mondo in quel momento, se da qualche altra parte c'era qualcun altro che come lui era scappato di casa perché i suoi sogni erano troppo grandi.
Poi il sonno cominciò a salire. Quella sera non faceva nemmeno particolarmente freddo e c'era un leggero vento che gli accarezzava i capelli lunghi e ricci.
Quei ricci lunghi che gli cadevano sulla fronte erano l'unica cosa che aveva ereditato dalla nonna, morta due anni prima. Sua nonna Dominique... così dolce e bella glie l'avevano descritta gli anziani della zona.
A un certo punto però gli occhi si chiusero e la mente cominciò a viaggiare, come presa da una tempesta di vento.
Era sul tetto di una baracca in una valle. Aveva tutt'intorno una sorta di foschia che impediva di vedere cosa ci fosse oltre un raggio di venti metri intorno a lui.
Si alzò e cominciò a sentire come un grido, poi dei passi pesanti e bagnati che rimbombavano tutt'intorno a lui.
Vide avvicinarsi un uomo tutto bagnato e stremato, con dei tagli profondi sulle braccia e gambe che ansimava per continuare a camminare.
- Scappa!- gridava al ragazzo. – Vai via da qua! Corri!-
Sentì uno strano rumore e poi dei gabbiani. Li vide volare tutt'intorno a lui come degli avvoltoi e il rumore diventò sempre più assordante, fino a diventare il rumore delle ruote di un carro e delle catene che sbattevano sul legno.
Non era più un sogno, era stato catturato e ora era su un carro a sbattacchiare di qua e di là, legato e stordito com'era che non riusciva nemmeno a muoversi. Cercò in qualche modo di concentrarsi su qualcosa a lui familiare che gli facesse capire più o meno dove fosse e poi gli tornò in mente il verso dei gabbiano quando aveva aperto gli occhi.
Sentiva un profumo strano, un sacco di rumori e c'era molta gente al lato della strada. Si voltò verso destra e vide un enorme spazio azzurro e piatto su cui era riflessa la luce del sole; era il mare.
Il padre gli raccontava sempre delle leggende di mare che ogni volta lo affascinavano e spaventavano. Ricordava quando il padre parlava di una certa brezza marina che si sentiva quando ci si avvicinava a questa tavola blu che affascinava così tanto il ragazzo.
Nonostante fosse legato, stanco e stordito, finalmente l'aveva visto. Aveva visto il mare.

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Il fantasma del faro
ParanormalUna leggenda sul faro di Tevennec e del fantasma che abita al suo interno.