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Il taxi si allontanò con una piccola sgommata, perdendosi in pochi secondi nel fiume giallo che scorreva lungo Lexington Avenue. Zayn abbassò lo sguardo sul foglietto
spiegazzato che aveva in mano, e che aveva tenuto più da conto del suo stesso passaporto. L'inchiostro gli si era scolorito sui palmi, e senza pensarci si strofinò gli occhi gonfi con le mani sporche. Appartamento 116, 119 63ª Strada Est, tra Lexington e Park, 10022. Queste parole non gli dicevano niente. Sapeva orientarsi in mezzo a trenta ettari di campi e di brughiere, ma non c'era verso di capire la griglia urbana di Manhattan.

Esaminò gli incroci e alla sua sinistra vide un cartello: 53ª Strada Est. Gli edifici, tutti in pietra chiara e di altezza media, erano piuttosto sporchi a vedersi, ma Zayn gli aveva detto con orgoglio che quello, l'Upper East Side, era il quartiere più prestigioso di Manhattan. E chi era lui per contraddirlo? Aveva passato gli ultimi dieci anni in una palude.

Di fronte a lui, dei tendoni verde scuro, bordeaux e blu si allungavano come braccia tese verso la strada, e dei portieri con il cappello e l'uniforme grigia con lo stemma
stazionavano nei pressi di porte girevoli, spingendosi di tanto in tanto sul marciapiede per aiutare gli ospiti più anziani a uscire da taxi e limousine. Notò che lì i cani più piccoli venivano portati in giro dentro a delle specie di borse, sicuramente per evitare che si scontrassero con i pedoni, lanciati verso la meta come missili, che si incrociavano e si evitavano lungo i marciapiedi, come se ballassero una danza perfettamente sincronizzata.

Gli edifici erano tutti piuttosto imponenti. Con sollievo, notò che nell'isolato di Louis c'era un tendone nuovo di un rosso acceso: sarebbe stato più facile riconoscerlo. Il portiere, magro e con i capelli grigi, sulla cinquantina, lo salutò come se stesse aspettando proprio lui, anche se non gli era sfuggito lo sguardo indagatore con cui lo aveva squadrato mentre si avvicinava al palazzo. Sapeva di avere un aspetto disastroso. Gli stivali di gomma erano ancora sporchi di fango, e il vecchio eskimo grigio e blu di Woolworths, che gli aveva sempre rallegrato le giornate di pioggia in Scozia, ora sembrava volgare e appariscente.

Mentre gli prendeva le borse, il custode gli tenne aperta la porta; entrò in una hall elegante, con pareti rivestite di legno e pavimenti in pietra calcarea. Tutto riluceva e scintillava, tutto era nuovo e pulito: tutto il contrario di lui. Il portiere gli diede una busta che Louis aveva lasciato per lui. Dentro c'erano una chiave e un bigliettino.

«Mi raccomando signore, mi faccia sapere se c'è qualcosa che posso fare per lei», disse sorridendogli, mentre premeva il bottone del suo piano nell'ascensore. «Chieda di Bill».

«Grazie», riuscì a dire Zayn, singhiozzando in modo poco elegante e confermandogli definitivamente di avere il morale sotto i tacchi.

Mentre apriva il bigliettino ripiegato, le porte lucidissime si chiusero sul sorriso educato di lui.

Benvenuto a New York! Fai come se fossi a casa tua. Torno per le sette. L xx.

Magnifico, pensò mentre ripiegava il foglietto e se lo metteva nella tasca dei jeans. Le porte si aprirono su un piccolo atrio. Erano le sei e mezzo. Avrebbe avuto giusto il tempo di farsi una doccia e rimettersi in sesto, tirarsi su e farsi passare la sbornia prima che Louis fosse di ritorno.

Trovò il numero 116 e aprì la porta. Restò a bocca aperta. Il palazzo era così sontuoso e imponente al piano di sotto, ma lassù? L'armadio sotto le scale di casa sua era più grande dell'intero appartamento! Entrò nell'ingresso, quadrato e minuscolo e delimitato solo da un tappetino con su scritto: "Non sono uno zerbino".

«Non mi dire, Louis», borbottò tra sé e sé.

Sulla destra c'era un bagno che faceva molto metropoli, con mattonelle bianche, una tendina per la doccia di plastica e mensole di vetro che soffrivano sotto il peso delle varie boccette. Adiacente al bagno, c'era la camera da letto. Sbirciò dalla porta. C'era appena lo spazio necessario a muoversi intorno a un letto principesco con la base in pelle bianca, ricoperto da un copriletto traforato color visone e così tanti cuscini soffici che arrivavano fino alla testata inferiore. Una piccola sedia bianca e grigia rivestita di percalle era sommersa dai vestiti, più che altro neri, e una parete intera era piena di mensole dedicate esclusivamente alle scarpe. Spalancò la bocca ancor di più mentre osservava quelle file infinite: sembrava di stare nella stanza dei fucili di Gil!

Qualcosa di Tiffany - ZiamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora