Terzo Capitolo

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Mi ricompongo e scendo dal letto. Mi rendo conto di essere nuda e così, velocemente, prendo una coperta e la avvolgo attorno al mio corpo.

"Devi andartene." ordino a Andrew. Mi dispiace cacciarlo così, ma mia sorella non avrebbe dovuto vedermi con lui.
Continuo a farle discorsi su quanto sia importante fare sesso con la persona giusta e poi sono la prima a non farlo.
Non le ho dato il buon esempio e, probabilmente, mi ripeterà questa storia tutte le volte che le negherò di stare sola in casa con un ragazzo.

Lei ormai ha quindici anni e io devo ancora abituarmi all'idea che tra pochi mesi sarà abbastanza grande per guidare.
Ricordo quando gironzolava per casa con indosso solo il pannolino e ora gironzolando con quei vestitini aderenti e provocanti.

Esco dalla camera, lasciando Andrew a vestirsi.
Per fortuna, la trovo in camera sua. Pensavo fosse uscita.

"Avete già finito?" chiede stupita.

"Me lo dici?" cambio discorso. So che ha capito a cosa mi riferisco.

Annuisce e sono davvero sorpresa di ciò. Anche se gliel'ho chiesto, pensavo avrebbe rifiutato. Meglio così.
Aspetto trovi le parole per iniziare il suo discorso.

"Settimana scorsa, come sai, sono andata a scuola." faccio un cenno con il capo, incitandola ad andare avanti.

"Ho preso il bus, sono arrivata davanti a scuola e c'era un sacco di gente, davvero tanta e-" viene interrotta da un bussare alla porta.
Proprio quando si era decisa a parlare, devono venire a rompere.

"Volevo dirti che me ne vado" il volto di Andrew appare vicino alla soglia della porta.

"Sì, okay" spero abbia capito, dal tono della mia risposta, che non mi importava saperlo.

Capisco che esce quando sento una porta aprirsi e chiudersi.

Megan guarda la sveglia sul comodino che indica le 7:45.
Ora che ci penso sono decisamente in ritardo, ma aspetterò che mia sorella finisca di raccontarmi cosa è successo e poi andrò.

"Io devo andare, tra cinque minuti passa il bus" mormora.

Bene, per colpa di Andrew non ho ancora scoperto cosa diamine è successo.

"A dopo" mia sorella mi sorpassa e se ne esce dalla sua stanza.

Mi butto sul suo letto e sbatto la testa ripetutamente sul cuscino.

-

"Rose, finiscila" dico esausta dalle sue continue domande su Andrew. L'ultima cosa che voglio è parlare di lui. Improvvisamente lo odio, anche se in realtà non ha fatto nulla.

"Aspetta, aspetta, aspetta" mi punta un indice contro esaltata. Da cosa poi?

"Mi hai chiamato Rose" grida felice, facendo voltare tutti i  presenti della mensa.

"Abbassa la voce" riesco a dire tra la mia risata irrefrenabile.

"Ti sto simpatica" ovviamente non mi dà ascolto, anzi parla ancora più forte.

"Convinta tu" non la contraddico, ma non le dò nemmeno ragione. Perché sinceramente non lo so neanche io se mi sta simpatica o meno.

"Finiscila di saltare e torna a mangiare" sembro sua mamma in questo momento, e infatti mi risponde dicendo che sembro sua madre. Questa cosa, che pensiamo la stessa cosa, inquieta.
Per fortuna, fa come dico e torniamo a mangiare tranquillamente.

"Tua sorella?" alzo il capo dal vassoio quasi vuoto. "Come sta?" completa la frase.

Vorrei raccontarle di stamattina, di Andrew che ci ha interrotte quando stava per arrivare alla parte importante del racconto, ma mi limito a rispondere con un "bene", facendole capire -dal mio tono- di voler chiudere la conversazione.

"Ho conosciuto un ragazzo" se ne esce dopo lunghi minuti di silenzio. Anche se è poco che la conosco, ho capito che le piace parlare. Non adora il silenzio, soprattutto se è un silenzio imbarazzante. Mentre io lo adoro, lo trovo pieno di suoni.
Perché d'altronde quando c'è silenzio, non c'è un verso silenzio. Intendo, si sentono ronzii, fruscii, cinguettii e molti altri suoni impercettibili solitamente.

"E..?" la incito a continuare.

"È un paramedico" dice subito, come fosse la cosa più importante, d'altronde -per noi medici- lo è.

"Moro, occhi verdi, fisico scolpito.." i suoi occhi vagano e capisco che si è persa a far pensieri su di lui. Scuoto la testa divertita e aspetto si riprenda da quello stato di trans.

"Oddio" oh si è ripresa finalmente. Guarda l'orologio e poi guarda me. Si alza di scatto e se ne corre via, senza dirmi nulla. Non mi stupisco più della sua stranezza. In otto giorni ha fatto cose così strambe che questo scappare, sembra nulla in confronto.
A volte penso mi nasconda qualcosa, ma poi penso che anche se fosse così, è plausibile. Non è costretta a dirmi tutto, d'altronde io non le dico quasi nulla.

Qualcosa vibra nella tasca del camice e in un primo momento non riesco a capire cosa sia, poi mi ricordo dell'esistenza del mio telefono e velocemente lo estraggo dalla tasca.

"Dobbiamo parlare" questo è il messaggio che mi ritrovo, ma non so di chi sia. Quindi, premo il tasto della chiamata e avvicino il telefono al mio orecchio.

"Pronto" finalmente dopo vari squilli qualcuno risponde.
Riconosco dalla voce che è Andrew e così chiudo la chiamata. Non mi va di parlarci. Anzi, non ho voglia di parlare con nessuno.

                      -

Per oggi ho finito di lavorare, che poi in realtà sono le quattro di mattino e tra due ore dovrei essere sveglia. Le persone potrebbero pensare che questa sia follia, eppure a me fa così bene lavorare. Stare in sala operatoria è come esternarsi dal mondo. Mi succede spesso di fare lunghi monologhi mentali, mentre opero. Mi rilassa vedere cuori, ma soprattutto mi elettrizza vedere cuori riprendere a battere.

Decido di andare a fare un giro per New York anche se alle quattro di mattina, non è molto affidabile. Una ventata di aria fresca invernale mi viene incontro, non appena esco dall'ospedale. Le strade non sono affollate come di giorno, ma ci sono comunque molte auto, mentre i marciapiedi sono quasi completamente vuoti.

Continuo a camminare, senza timore degli ubriachi che mi passano accanto osservandomi accuratamente.

"Aiuto, vi prego aiutatemi" la voce di una donna echeggia nell'aria e io essendo dottoressa, ho l'impulso di seguire quella voce.

Mi ritrovo davanti a me una donna che piange sul corpo di un uomo steso a terra.
Mi avvicino velocemente e getto a terra la mia borsa.

"Sono un medico" mi piego all'altezza dell'uomo e vedo la donna calmarsi sapendo che è nelle mani di un medico.

Senza pensarci molto inizio il massaggio cardiaco e continuo per vari minuti. La donna sembra aver capito che ormai non c'è più niente da fare, ma io sono convinta del contrario, per questo continuo.
Infatti avevo ragione, l'uomo inizia ad ansimare, così smetto subito con il mio lavoro e aspetto si riprenda del tutto.
Gli occhi si aprono lentamente e il respiro si fa più regolare.

Aggrotta le sopracciglia guardandomi, io mimo un "va tutto bene". La donna mi scansa da lui con uno spintone e appoggia la sua testa sul petto dell'altro. Lui, in risposta, produce un lamento di dolore.

Chiamo l'ambulanza, potrebbe essere qualcosa di grave, ho bisogno di portarlo in ospedale.

"Se hai chiamato l'ambulanza, sappi che non ci salgo" mi avverte non appena chiudo la chiamata.

"Sono il tuo medico ora e decido io cosa è meglio per te" ribatto decisa.

"Ce l'ho già un medico" la sua voce è debole e fatica ad alzarsi, figuriamoci se lo lascio andare a casa in queste condizioni.

"Peccato che io non lo veda" incrocio le braccia al petto.

"È difronte a te" risponde.
Aggrotto la fronte, non capendo. "Sono un medico" aggiunge e tutto si fa più chiaro.

"Oh" dico semplicemente. "Questo a me non importa, però" aggiungo dopo.

Non risponde e torna a concentrarsi sulla donna che suppongo sia la sua ragazza.

Aspettiamo l'ambulanza per almeno un quarto d'ora, dovrò far presente di migliore la velocità di quel mezzo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 11, 2016 ⏰

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