BIP.BIP.BIP. Le sette e mezzo. Il giorno dopo mi svegliai come tutte le mattine, stessa ora, stessa sveglia, stessa voglia di dormire ancora trent'anni. C'era lo strillo della mia sorellina che rimbombava nella mia testa. No, non era possibile che fosse sparita nel nulla, era solo un incubo. Eppure io l'avevo sentita, l'avevo toccata, non poteva essere un sogno. "Magari era la sbronza". Si, mi ero convinto che lo stato di ebrezza mi avesse portato ad immaginare tutto, non riuscivo a concepire questo mistero.
Mi alzai, tutto sudato, ancora per l'effetto dell'alcool di ieri notte. Scesi in cucina e, stranamente, trovai mio padre e Jess seduti sul tavolo a parlare sottovoce, cosa molto improbabile, perché entrambi amano dormire fino a tardi. Appena mi videro, si interruppero e si scambiarono uno sguardo severo.
-Allora, che sono quei musi lunghi? – chiesi ai miei, portando il mio sdrammatizzare californiano.
Loro si guardarono nuovamente e Jess fece cenno a mio padre di parlare.
-Siediti, Jonhatan, siediti-, iniziò lui.
Mi accomodai, un po' in imbarazzo, perché non ero abituato a tutta questa serietà con mio padre.
-Allora, ragazzo, vedi...insomma...ogni tanto capita che... - continuò mio padre.
-Va' al punto, babbo- tagliai corto.
-Tua sorella...- parlava con voce spezzata –...è scomparsa! – Scoppiò in un grosso pianto, le sue lacrime scorrevano come l'acqua della sorgente più triste. Io rimasi senza parole: era vero. Ieri. Sera. Era. Tutto. Vero. Come poteva essere? No, no, non era lei, la sua faccia era spettrale, innaturale, grigia e non era per niente simile al suo visino da dolce bimba che la ritraeva. Dovevo dirlo ai miei, ma qualcosa mi fermava. "No, non riguarda loro, non devono sapere della sbronza" pensai. Mio padre continuò a parlare e mi spiegò che la madre di Lucy Robinson aveva informato loro dell'accaduto verso le sei e che ne era desolata.
-Avete intenzione di sporgere denuncia? – chiesi io.
Si guardarono e Jess iniziò: -Noi... -
-Voi la farete, punto e basta! Io tengo a mia sorella e se quella se la lascia rapire in casa, merita solo la prigione, o anche peggio! – Avevo le lacrime agli occhi dalla rabbia. La madre di Lucy doveva fare di guardia a Daisy, aveva solo cinque anni e non poteva essere scappata di sua volontà. Di sicuro, qualcuno doveva essere entrato nella casa dei Robinson e doveva averla rapita. Già, oppure era la madre che aveva un istinto omicida e che aveva rinchiuso in cantina la mia sorellina.
Comunque, salutai i miei e mi stesi sul letto. Presi l'IPhone per distrarmi un po' da questo mondo ingiusto. C'era un messaggio da Whatsapp: era Sara. "Come minimo mi avrà scritto che mi odia, dopo ieri sera", pensai.
E invece, mi aveva solo chiesto una spiegazione, ma senza insultarmi o scrivermi qualcosa contro. In quel momento non avevo proprio voglia di aver contatti con nessuno, perciò non le diedi risposta. Mi rigirai nel letto per un po' e poi mi addormentai.
BIP.BIP.BIP. Di nuovo la sveglia. Erano passate tre ore da quando mio padre mi aveva dato la terribile notizia. In quel momento entrò Jessica in camera mia a dirmi di uscire a fare due passi, non voleva che mi rovinassi la giornata. Ascoltai il suo consiglio e mi incamminai verso il bar di ieri sera. Faceva fresco, iniziava a farsi sentire l'autunno. Gli alberi spogli sembravano implorarmi, avevano freddo e volevano la mia giacca di pelle, per ricordare almeno in parte il tepore estivo. Le foglie per terra davano l'idea di allegria in quella giornata di noia. Il sole era pallido, nascosto dietro le nubi, come se fosse stanco e non volesse farsi sentire.
Neanche il tempo di accorgermene e mi ritrovai davanti all'ONYX Rooftop. Entrai e Sebastian mi salutò e mi fece cenno di sedermi al bancone.
Mi guardò e capì subito che c'era qualcosa che non andava. Ecco cosa mi piaceva di lui: lo conoscevo soltanto da un giorno e già riusciva ad intravedere il mio stato d'animo.
-Allora, ragazzo, cos'è che ti affligge? -. Intanto, stappò una bottiglia di Martini.
-Mia sorella è scomparsa-, dissi tutt'un fiato, come se volessi togliermi quel pensiero dalla testa, dalla vita.
-Oh, no. Mi dispiace molto. Aspetta... ma è Daisy Reese? – mi domandò.
-Sì...come fai a saperlo? –
-Ne hanno parlato al Tg della California, stamani, ragazzo. Tieni-. Mi porse un bicchiere di Martini. –Offre la casa-
Bevvi. Di colpo mi sentii meglio, provai la stessa sensazione del giorno prima. Il pensiero dalla scomparsa di Daisy era solo più un lontano eco, che diventava sempre meno percepibile.
Di colpo guardai Sebastian: lui mi capiva, a lui potevo raccontare cosa era successo la scorsa sera.
-Senti, Seb, io vorrei parlarti. Ieri notte, quando sono tornato a casa, erano le tre. I miei dormivano e Daisy, Daisy avrebbe dovuto essere da una sua amichetta a dormire, ma io l'ho vista, l'ho vista, era fredda, grigia, non poteva essere lei. Era... era morta! -. A quel punto nulla mi tratteneva, infatti piangendo gli raccontai del suo urlo e del fatto che lei non era presente in casa.
-Va' via, ragazzo. – mi disse freddo lui. La sua reazione mi spaventò, non me l'aspettavo. Insomma, gli avevo lasciato il mio cuore nelle sue mani e lui niente, lui mi incitò ad uscire.
-Non mi hai sentito? Ti ho detto di andartene. Questo posto non è fatto per i bugiardi. -. Lo guardai: i suoi occhi avevano un nonsoché di spaventoso, guizzavano a destra e sinistra in modo troppo inquietante. La lingua usciva dalla bocca per leccare il Martini che era rimasto sulle sue labbra. Dopodiché, pensai che si fosse accorto che lo stavo fissando, quindi andai via dall'ONYX Rooftop.
Mi ritrovai, non so il perché, a percorrere una strada alternativa. Ad un certo punto, qualcosa mi assalii da dietro, mi girai e vidi Sara che mi abbracciava. Lei funzionava meglio degli alcolici, mi faceva dimenticare anche come mi chiamavo.
-Ciao, Jonhatan- mi salutò.
Ehi, ma cos'era tutta questa confidenza? Insomma, ieri mi chiamava Jacopo e oggi mi abbracciava. No, c'era qualcosa di strano.
-Come mai sei qui? – le chiesi.
-Oh, sono andata a trovare una mia amica, qui vicino. Tu? –
Non potevo dirle che ero andato ad ubriacarmi, perciò le dissi che ero andato a farmi un giro e stavo tornando a casa. Lei si unii a me e ne fui felice, perché parlammo di tutto, ma non sfiorammo mai l'argomento "Daisy". Ad un tratto, passammo davanti alla vecchia ferrovia di Santa Monica. Come al solito, all'ingesso, c'era il cartello "vietato l'accesso". Adesso non prendetemi per femminuccia, ma trovai il tutto alquanto inquietante: il cielo cupo dava un aria tetra alla stazione, che era completamente scrostata dall'intonaco, come se anche lui avesse paura di un qualcosa legato alla ferrovia. Anche Sara doveva avere trovato il tutto spaventoso, perché rabbrividì ed iniziò a battere i denti. Si fermò un attimo e mi chiese la domanda che temevo avrebbe fatto saltare in aria la mia reputazione.
-Hai paura, J? –
-Io? No, no no... - azzardai.
-Allora ci veniamo qui domani sera, ad Halloween, come prova di coraggio. Ci stai? –
Non sapevo cosa rispondere. Da un lato volevo stare con Sara la notte del trentuno ottobre, dall'altro non volevo prendere un infarto la notte del trentuno ottobre.
-Se vuoi possiamo vedere un film a casa mia? Sai, Santa Monica, di notte, non è proprio il massimo... -
-Quindi hai fifa? – mi incitò.
-In verità, anche Call of Duty e PES e...-
Mi interruppe ridendo: -Non hai capito. Ti ho chiesto se hai paura, non che giochi avevi per l'Xbox! –
-Ah, ok... no, non ho paura. A domani, direi. –
-Diresti bene. – rispose lei –A domani. -.
Salve ragazzi! Questo è il nostro nuovo capitolo. Se la storia vi piace, fatecelo sapere nei commenti e diteci anche su cosa dobbiamo migliorare. Buona giornata a tutti!

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Piacere, Joker
HorrorSentimmo un cigolio: la porta si era aperta. Non c'era traccia di nessuno sulla soglia. Era tutto apparentemente troppo calmo. Di colpo, si alzò un'ombra dietro di noi e lo sentimmo di nuovo, di nuovo quello schricchiolio si mescolò al silenzio: -Pi...