Erba

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Un breve silenzio e poi riprese a ronzare nuovamente. Il tagliaerba scivolava sul prato con leggerezza e senza esitazione.

Appariva come un pallino nero in lontananza che ingigantiva e ingigantiva rombando e tossendo catrame oleoso.

Non avevo mai tagliato un prato in vita mia, non ne avevo mai avuto l'esigenza pratica.

Tuttavia nei primi giorni del mese di maggio e negli ultimi di quello di aprile, rimanevo sempre come ipnotizzato di fronte ai prepotenti tagliaerba.

Il giardiniere sudava copiosamente sopra la trappola a più lame, io fissavo il suo torso nudo e ripensavo ad una ragazza grassa che avevo visto una volta in tv. Non che lui fosse grasso, ma c'era qualcosa che non so perché, riportava la mia mente a quella ragazza grassa.

Poi sterzó il volante e mi diede le spalle sudate.

Doveva essere magnifico tagliare l'erba in quella maniera...

Molti sono convinti che l'aggressività sia alla base di innumerevoli bisogni e comportamenti, anche apparentemente non violenti.
Io non posso esserne certo, ma credo che il mio desiderio di tagliare l'erba derivi da un bisogno del genere.

Di tanto in tanto osservandoli cado in uno stato di profonda riflessione e mi accorgo che quello che desidero é solo poter tagliare tutto, potermi voltare e vedere il vuoto dietro di me.

É una sensazione magnifica.

In pratica però, svolgevo uno stressante e banale lavoro da impiegato, in un ufficio che sorgeva in un alto palazzo, dal quale non si scorgeva a chilometri nemmeno un piccolo prato.

Solo distese di grigio, antracite, nero opaco, lucido, strisce di alluminio o di cromo scintillante, tutte tristemente uguali, tutte tristemente fredde.

Nessuno in ufficio badava a questo genere di cose.
Le scrivanie erano ricolme ogni giorno di documenti che andavano archiviati, di pratiche che necessitavano di essere spedite, di appunti, di buste, tanta carta bianca e anonima con qualche scarabocchio nero sopra. Poi vi erano i pesanti computer che riproducevano la stessa cosa.

Di tanto in tanto mi capitava di immaginarmi sopra un enorme tagliaerba che inghiottiva con le sue lame ogni centimetro del grigio ufficio, volevo vedere la moquette a brandelli, le scrivanie ridotte a trucioli e schegge, i fogli a carta straccia e i computer a inutili pezzi di ferraglia.

E anche in quel momento, mentre l'immagine della ragazza grassa svaniva e l'odore d'erba tagliata diventava sempre più intenso, mi ritrovavo a fantasticare alla stessa maniera preso da una irrefrenabile voglia di realizzare quella fantasia.

Fu allora che accadde una cosa che ancora oggi stento a ritenere vera.

Il giardiniere, che nel frattempo si era allontanato fino a tornare ad apparire piccolo, abbandonava il tagliaerba con uno slancio verso terra. Spegneva il motore e si precipitava correndo lontano stringendosi l'addome con le mani e rimanendo piegato tutto il tempo a formare un angolo acuto e sofferente.

Scomparve dietro ad un cespuglio e per un minuto ci fu silenzio. Non ero sicuro di quello che stava accadendo, ma al momento una forza misteriosa mi spinse a fare qualcosa che un noioso impiegato normalmente non avrebbe fatto.

Corsi trafelato sopra il prato appena tagliato. L'odore di erba era sempre più forte, ogni metro che percorrevo mi sembrava di percorrerlo in discesa in un abisso verde e dall'aria pesante e densa al gusto erba.

Il sole mi luccicava sopra il capo e baluginante era anche l'enorme tagliaerba che mi era ormai vicinissimo. Quando fui giunto al fianco della bestia ero senza fiato. I nervi di tutto il corpo mi formicolavano dall'eccitazione e i polmoni buttavano fuori litri d'aria densa per accoglierne altrettanta ad un ritmo serrato.

Mi appogiai al tagliaerba e osservai tutt'intorno il parco. Era vuoto, come se lo avessero spostato su Marte durante la mia corsa, la luce del sole era anch'essa mutata, come se volesse nascondere un segreto.

Assicuratomi che nessuno fosse nei paraggi, controllai che le chiavi fossero ancora al loro posto: nulla era stato spostato.
Fissai la fessura dove la chiave riposava e per un minutissimo istante stentai a credervi, poi ritornai in me come un'anima incarnata e con uno slancio mi issai sulle braccia e appoggiai il fondoschiena sul sedile della macchina.

Una volta sopra mi sentii diverso, scattò come un ingranaggio sopito dentro di me. Era il tagliaerba a decidere, io dovevo solo lasciarmi andare, anzi non avevo scelta, potevo solo lasciarmi andare.

Girai la chiave stringendola con tutta la forza nel palmo della mia mano. Il motore rombó come fosse un tuono e il tagliaerba prese a sobbalzare e a vibrare forte, a tossire catrame denso e a ribollire di una rabbia inumana.

"Che cosa sta succedendo? " fece a malapena in tempo a chiedersi il giardiniere chino dietro il cespuglio, impegnato a far fronte alle ondate di crampi che gli percuotevano l'intestino.

Il tagliaerba era già lontano, aveva superato i confini del prato e sferragliava per la città, sfilando in mezzo alla gente attonita, bloccando il traffico, lasciando a bocca aperta le persone alle finestre.

Nota:
Si tratta di un vecchio racconto che, molto probabilmente, ho scritto più di tre anni fa. Non l'ho quasi toccato, a parte delle minime correzioni e ho deciso di mantenerlo com'era per una questione di prospettiva.

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