uno.

155 8 1
                                    

- 1983 -

"E lasciato solo a dormire in una stanza dalle imposte chiuse, le spesse sbarre di sole dipinte sul pavimento, era percorso da una solitudine e una malinconia insondabili. Vedeva la sua vita, lontana, in fondo alla solenne prospettiva di un sentiero alberato nella foresta, e capiva che sarebbe sempre stato un uomo triste: costretta nel piccolo volume del suo cranio, prigioniera di quel cuore pulsante e segretissimo, la sua vita avrebbe sempre percorso sentieri solitari. Perduto. Capì che gli uomini erano irrimediabilmente estranei l'uno all'altro, che non si arriva mai a conoscere davvero nessuno, che imprigionati nel buio ventre di nostra madre veniamo alla luce senza averne visto il volto, che siamo consegnati stranieri alle sue braccia, e che presi in quella insolubile prigione dell'essere, non possiamo fuggire, indipendentemente dalle braccia che ci stringono, dalla bocca che ci bacia, dal cuore che ci riscalda. Mai, mai, mai, mai, mai."

Questo libro mi capiva, mi descriveva. Avevo passato una vita a nascondermi da tutti perché mi sentivo diversa.
Chiusi il libro e lo riposi nella libreria. Sospirai in quel silenzio inspirando a pieni polmoni l'odore di libri. Passai delicatamente la mano sulle copertine dei molti, soffermandomi su alcuni.
L'inesauribile Amleto di Shakespeare. Guerra e Pace di Tolstoj. Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, uno dei miei preferiti. Lolita di Vladimir Nabokov. Poi Thomas Wolfe.
Look Homeward, Angel
Of Time and River
O Lost.
Gli stessi libri che leggevo quando vissi qui la prima volta. Puzzavano di vecchio, ma a me piaceva.
O Lost era il libro che preferivo leggere. Mi sentivo protagonista della storia, mi illudevo di poter eguagliarmi al grande Wolfe e al suo periodo di smarrimento. Le nostre situazioni erano molto diverse, ma inconsciamente simili. Forse era per questo che mi piaceva così tanto il suo libro.

Uscii dalla mia camera portando gli appunti per la lezione sottobraccio. Chiusi la porta e mi diressi verso lo studio del Professor Xavier. Non c'era nessuno. Mi fermai sulla soglia e pensai. Cambiai direzione e lungo la strada incontrai dei miei studenti.

"Buongiorno signorina Reynolds"

"Buongiorno ragazzi"

Sembrava essere vuota anche quest'aula, ma controllai lo stesso. Aprii la porta e trovai Charles sulla sua sedia a rotelle accuratamente progettata da Hank, che parlava con qualcuno di vagamente familiare che però non riconobbi in quella frazione di secondo prima che si girassero.

"Buongiorno Fel!" Mi disse Charles.
Il mio nome era Felicity, ma lui preferiva chiamarmi Fel. Credeva che il mio nome mi si addicesse, ma Fel era più "carino".

"Alex?" Mi rivolsi al ragazzo biondo che mi guardava.

Lasciai che i libri cadessero delicatamente sul pavimento e mi lanciai verso di lui. Lo abbracciai a lungo.

"Fel, dovresti smetterla di lasciare le tue cose ovunque, anche se puoi spostarle come vuoi" Charles si riferiva alla mia telecinesi, uno dei poteri che avevo.

"Scusami Charles, proprio non riesco a farne a meno" risi.

"Cosa ci fai qui?" Chiesi ad Alex.

Lui si staccò dall'abbraccio e si girò verso l'altro ragazzo in quella stanza.

"Lui è Scott, mio fratello minore"

Aveva una benda sugli occhi, sembrava molto disorientato, come se fosse spaventato da se stesso.

"Ciao Scott, benvenuto alla scuola per giovani dotati" gli rivolsi un tono dolce e affettuoso.

"Non fa l'effetto di un dono"

Utopia [X-Men]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora