Prologo

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Quando sentii la porta della mia piccola camera da letto spalancarsi bruscamente lasciai cadere a terra il giornale, sussultando. Mio padre rimase per qualche istante a fissarmi con la maniglia in ottone stretta nella mano. Ero distesa comodamente sul letto, a pancia in giù.

"C'è bisogno di te in cucina" mi ordinò con tono duro. Io deglutii e annuii.

Rimase qualche istante a fissarmi: aveva capito che stavo nascondendo qualcosa ma non indagò ulteriormente. Mi lanciò un'ultima occhiataccia e scomparve dietro la porta. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo, socchiudendo gli occhi.

Raccolsi da terra il giornale e lo riporsi sotto il cuscino, dirigendomi poco dopo in cucina. Mio padre era seduto a tavola e stringeva tra le mani il suo giornale, mia madre invece davanti ai fornelli con addosso io suo creativo grembiule color zucca tempestato di ortaggi. Il più piccolo di famiglia, Marcus, sedeva a terra vicino ai piedi dell'amorevole donna e teneva stretta tra le mani un modellino di macchina da corsa: aveva quasi due anni. I gemelli invece, Matthew e Marie, rispettivamente di sei anni, erano intenti a ricorrersi da un capo all'altro della casa, procurando non poco frastuono. 

Con la coda dell'occhio notai che mio padre mi stava squadrando da capo a piedi: sorvolai sull'accaduto. Indossai il mio grembiule, simile a quello di mia madre eccetto per il colore, -non arancione ma verde- e affiancai la donna. Alzai lo sguardo sull'orologio da cucina alla mia destra e sgranai gli occhi: non mi ero resa conto di essere rimasta tutto quel tempo chiusa in camera. 

Mia madre mi sorrise leggermente e tornò a tagliuzzare le carote per condire l'insalata, io invece decisi di apparecchiare il tavolo. Mi alzai in punta di piedi per raggiungere i bicchieri di vetro sullo scaffale più alto sopra la mia testa e quando mi voltai, andai ad urtare Marie, la più piccola dei due gemelli. Nata cinque minuti dopo circa.

"Attenzione!" esclamai. Lei si voltò e con in mano il suo orsacchiotto rattoppato cacciò in fuori la lingua. Io le feci altrettanto e lei tornò a preoccuparsi di acciuffare suo fratello. 

Prima che me ne potessi rendere conto, Mayson, dodicenne alle prese con la preadolescenza si accomodò a tavola tenendo stretto tra le mani il suo cellulare. Indossava anche un paio di auricolari, io roteai gli occhi al cielo. Glieli sfilai subito dopo aver poggiato i bicchieri sul tavolo.

"Ma che fai?" irritato mi esclamò contro. 

"Non è educato stare a tavola con il cellulare" lo rimproverai afferrando le posate da dentro il cassetto.

"Non sono affari tuoi, non comandi tu!" urlò.  Mio padre alzò per un solo istante lo sguardo su suo figlio, quest'ultimo si ritrasse capendo di non dover più fiatare. 

Una volta finito di apparecchiare andai alla ricerca delle due pesti. Mia madre afferrò in braccio Marcus e lo fece accomodare sul seggiolino blu, di fianco a mio padre. Quest'ultimo piegò su sé stesso il giornale e attese il piatto.

"Dove vi siete cacciati?" domandai. 

Loro saltarono fuori gridando da dietro il divano, nella sala da pranzo. Portai una mano sul petto e feci finta di essere spaventata stando al loro gioco. Quando cercai di acciuffarli, oltrepassarono la mia figura e corsero ad sedersi a tavola. 

"Michael, è pronto!" esclamai diretta verso le scale. 

Sentii il rumore di una porta aprirsi e subito richiudersi, poco dopo vidi la figura di mio fratello scendere frettolosamente le scale. Lui invece aveva quattordici anni. Senza neanche degnarmi si uno sguardo di diresse in cucina dove mia madre era intenta a riempire i piatti. Il primo ad essere servito fu mio padre. 

"No, mamma, non ho fame" le dissi quando fece per poggiare il piatto al mio posto. 

Mio padre si voltò verso di me in silenzio, io feci finta di niente. Lei annuì e si sedette a tavola, vicino al più piccolo, il quale era intento a giocare con il cucchiaino sporco di sugo. L'uomo addentò il mio primo boccone di pasta mentre io abbandonai la cucina sotto lo sguardo assente di mia madre, quello furioso di Mayson che ce l'aveva con me per il rimprovero e quello freddo di mio padre. 

Una volta raggiunta la mia stanza mi chiusi la porta alle spalle, purtroppo non mi era concesso chiuderla a chiave. Sfilai via il grembiule e mi sistemai sul letto, afferrando il giornale da sotto il cuscino.

Tornai a leggere gli annunci. Stavo cercando da mesi qualcuno disposto ad essere il mio insegnate a tempo pieno. Quel giorno, un nome attirò la mia attenzione: Justin Bieber.

Tentar non nuoce, per tanto sfilai da dentro i pantaloncini a jeans il mio cellulare di vecchio stampo e digitai il numero riportato sul foglio di giornale nella speranza che almeno lui, avrebbe accettato le mie condizioni.

Squillò a vuoto qualche secondo, poi una voce roca mi rispose.

"Pronto?" domandò, io saltai dal letto. 

"Pronto parlo con il signor Justin Bieber?" chiesi.

"Sì, sono io, lei è?" 

La paura di aver sbagliato numero mi abbandonò. Dalla voce risultava essere ancor più giovane di venticinque anni. 

"Mi chiamo Madison, ti chiamo perché ho letto il tuo annuncio sul giornale" cominciai. Sentii un sussurro, quasi stesse gioendo e io inarcai un sopracciglio. Tutto ciò era divertente ed emozionante al tempo stesso.

"Mi dica" disse con voce più lieve. 

I miei occhi brillarono dall'entusiasmo: almeno non mi aveva riattacco in faccia come l'ultima persona, chissà per quale strambo motivo.

"Volevo chiederti se sei disposto a stringere un patto" andai subito al dunque. Ci fu silenzio per alcuni secondi, poi lui tossì.

"Come scusi?" 

"Il patto consisterebbe nel diventare il mio professore a tempo indeterminato. Non ho bisogno di semplici ripetizioni ma di qualcuno competente, disposto a sostenere vere e proprie lezioni scolastiche" proseguii iniziando a camminare avanti e indietro. Feci rigirare tra le dita una delle due trecce.

"Non capisco" disse. Roteai gli occhi al cielo.

"Te la faccio breve: per motivi personali sono stata costretta ad abbandonare la scuola, per tanto non mi è stato possibile concludere gli studi. Mi chiedevo se tu fossi disposto ad essere assunto come mio professore persaonale. Ti pagherò bene" cercai in tutti i modi di convincerlo. Incrociai le dita e attesi.

"Ma lei ne è proprio sicura? E come dovrei comportarmi?" domande su domande. 

"Ti spiego tutto in un secondo momento. Ti do il mio indirizzo, domani pomeriggio sei libero?" chiesi. 

"Sì..." poco incerto. 

"Per favore, accetta almeno questo invito. Ti spiegherò meglio domani" 

"Va bene, mi dia le informazioni" 

Io gioii senza farmi sentire e gli dissi il mio indirizzo. Lui mi ringraziò e io feci altrettanto, poi riattaccai per prima. Mi lasciai sprofondare sul letto e socchiusi gli occhi: mi sarei goduta il momento prima di dover tornare alla realtà e adempiere ai miei doveri di figlia maggiore. 

Dear Prof ➳ j.b [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora