Capitolo 1

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Questa città non è mia per diritto di nascita: sono venuta al mondo a quasi cinquemila chilometri di distanza, in una cittadina sonnolenta nel cuore dell'Inghilterra. Ma dal giorno in cui sono approdata su questi marciapiedi, ho sentito che ogni strada, ogni negozio, ogni viale alberato mi stringeva in un abbraccio grandissimo e accogliente. Non so se una città possa avere un cuore e prendere decisioni, ma se è possibile, direi che New York scelse di farmi sentire a casa. E sebbene vi abbia vissuto alcuni dei giorni più difficile dolorosi della mia esistenza, in un certo senso lei ha sempre attutito il colpo, come una cara amica che ti fa sedere con una tazza di tè e ti dice di avere pazienza perché alla fine tutto andrà per il meglio. E tu sai che sarà così. Alla fine.
La mia amica Celia dice che sono una "frustrante ma adorabile ottimista, a dispetto delle prove schiaccianti a sostegno del contrario". Se vi sembra un drammatico titolo di giornale, allora siete sulla strada giusta: Celia ha la rubrica sul "New York Times" e vive qui da quando è nata. È stata una dei primi veri amici che mi sono fatta in città e mi tiene d'occhio come una sorella maggiore leggermente nevrotica. Non se la prenderebbe per questa descrizione: a pensarci bene, probabilmente è sua. L'appartamento di Celia si trova al secondo piano di un elegante palazzo di arenaria dell'Upper West Side, sulla Novantunesima Ovest vicino all'incrocio con Riverside Drive, e ogni sabato mattina ci incontriamo da lei per risolvere i problemi del mondo davanti a una tazza di caffè. Dal tavolo di legno d'acero accanto alla grande finestra riesco a vedere la strada di sotto. "A New York, rimani seduta quanto basta e vedrai passare la città intera", diceva sempre il signor Kowalski. Era il proprietario del mio attuale negozio di fiori, prima di ritirarsi con la figlia Lenka e la sua amata Varsavia, dove è vissuto fino alla morte, poco più di cinque anni fa. Il signor Kowalski è stato un altro dei primi veri amici che mi sono fatta nel mio paese di adozione. "Rosie, in Inghilterra non avete idea di quanto siate fortunati a possedere la storia", esclamò Celia un sabato mattina spuntando dalla cucina con il caffè e un cestino di muffin caldi. Come al solito, non avevamo iniziato il discorso proprio dal principio e continuammo come se nulla fosse. Non potei trattenere un sorriso quando si lasciò cadere di peso sulla sedia accanto. "Ah, la storia...", risposi in tono solenne.

"Cioè, voi inglesi non apprezzate l'immenso privilegio di avere re e regine, e di averli da secoli. Io non posso dire che nell'anno Mille i mie antenati andassero a spasso per New York. Non posso dire che la mia famiglia sia nata e cresciuta in America. Cioè, chissà da dove caspita viene. Con tutta probabilità sono per quattro sedicesimi ucraina, con un pizzico di Mongolia Esterna qua e là".

Stavo per dire che in realtà neppure l'inglese autentico esiste, precisando che probabilmente la mia famiglia in origine veniva dalla Moravia o da chissà quale paese, ma capii che l'argomento era una autentica fonte di disperazione per lei. Quindi rimasi in silenzio e versai il caffè.

"Perché questa cosa ti assilla tanto, amica mia?", chiesi. La sua preoccupazione si attenuò e Celia prese un muffin.

"E' l'articolo della prossima settimana per il 'Times'. Sto riflettendo su quanto è importante la storia perché gli esseri umani trovino il proprio posto nel mondo. Più ci penso, più capisco che non vado da nessuna parte. Noi, per la maggior parte, non conosciamo la storia del nostro paese, fatta eccezione per quello che impariamo a scuola. Siamo un miscuglio di immigrati, carcerati e sognatori. Vogliamo sentirci parte di qualcosa, ma non sappiamo di cosa".

Non so perché, ma sospettavo che quelle stesse frasi sarebbero presto comparse nelle rubrica. E' un fenomeno ricorrente; anzi, credo che le nostre chiacchierate del sabato mattina siano le più discusse del secolo. Se, fra un migliaio di anni, gli storici vorranno saper di cosa si discuteva fra amiche nel secolo millennio, non dovranno far altro che passare in rassegna gli archivi della rubrica di Celia sul 'New York Times' (che, a quel punto, sarà trasmesso telepaticamente ai lettori, suppongo).

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