Capitolo 4

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Non c'è niente di più bello che tornare a casa dopo una lunga giornata. Non fraintendetemi: amo il mio negozio. Ma adoro il momento in cui giro la chiave nella toppa e apro la porta sulla confortante visione del mio appartamento. Ha un odore unico, un misto di cera per il legno, caffè e lavanda. Questo per me ha un significato solo: casa.
La prima cosa che faccio è girare ma manovella della sorella della Vecchia Fidata, Sibilo (battezzata così per  il rumore che fa e gli attacchi che le prendono di tanto in tanto). Leggermente più giovane della collega in negozio, ma con la stessa aria dimessa, la macchinetta si accende gorgogliando felice e diffonde ovunque il suo profumo. Poi, con la tazza in mano, controllo la segreteria telefonica.
Quel giorno di fine estate trovai tre messaggi: i primi due di mia madre, che mi ricordava il compleanno di mio fratello e mi informava che James sarebbe venuto negli Stati Unita la settimana seguente per lavoro. È possibile perfino intrattenere un conversazione con i messaggi di mamma, perché tende a lasciare attimi di silenzio che durante una telefonata vera avresti riempiti con i vari "mmm", "ho capito" o "oh, poverina". "Sarebbe bello se James potesse venire a trovarti, ma dice che sarà bloccato a Washington per tutto il tempo...".
"Che peccato...".
"È un peccato, lo so".
"Mmm".
"Vorrei dirti che ti chiamerà, ma sai com'è fatto, cara".
"Sì, talmente preso dal suo mondo che nessun altro ha importanza...".
"È talmente preso dagli impegni di lavoro che non ha mai tempo per fare ciò che vuole. Comunque, tesoro, devo andare...".
"Immagino che chiamare sia costoso...".
così costoso chiamarti a quest'ora".
Sorrisi. "Ti voglio bene, mi manchi, ciao!".
"Ti voglio bene, mi manchi, ciao!". Il messaggio terminò. Scrollai la testa e sorrisi prima di bere un lungo sorso di caffè. Per un secondo, desiderai di essere di nuovo a casa con mia madre, in Inghilterra.
L'ultimo messaggio era di Celia. Di solito ne lascia diversi, e la lunghezza, il numero e la coerenza dipendono da quanto è distante la sua prossima crisi di nervi.
"Rosie, sono io. Sono le sette meno un quarto. Dove sei? Chiamami immediatamente quando senti il messaggio".
"Ok, ok, aspetta un attimo che mi cambio", mormorai, andando in camera da letto.
Senza smentirsi, Celia non prestò ascolto. Non appena calciai via le scarpe, il telefono squillò.
"Ok, va bene, visto che insisti parlerò prima con te" , sospirai.
"Rosie! Grazie al cielo, tesoro. Pensavo che ti fosse successo qualcosa di terribile".
Mio malgrado sorrisi. "Sono andata in autobus alla gastronomia e poi sono tornata a casa a piedi. Ad agosto a quest'ora è ancora giorno, sai. Cosa poteva essermi successo?"
"Qualsiasi cosa, Rosie! Il mio collega stava scrivendo un pezzo che parla di quante giovani single  dopo il lavoro incontrano ragazzi all'apparenza meravigliosi, che poi finiscono per svaligiare il loro appartamento una volta che ci hanno dormito insieme...".
"Celia, ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Sto bene. Non sono andata a letto con nessun ragazzo all'apparenza meraviglioso oggi, e a casa tutto è esattamente come l'ho lasciato stamattina".
"Be', mi preoccupo solo perché ci tengo a te", disse Celia, con un tono ben più che leggermente risentito.
"Lo so e lo apprezzo, davvero. Cos posso fare per te?"
"Ho bisogno che tu venga in ufficio domani, se puoi".
"Perché?", chiesi con cautela, immaginando l'espressione severa di Ed e Marnie.
"Voglio includerti nella nostra rubrica 'Gente del West Side'. Molte delle persone che hai conosciuto all'incontro con gli autori mi hanno chiesto di te".
Mi accigliai. Quel giorno era la seconda volta che me lo dicevano, e mi suonava strano. Avevo solamente discusso della lavanda e parlato del più e del meno con diverse persone. "Mimi Sutton ha detto la stessa cosa quando le ho telefonato oggi, Celia. Chi ti ha chiesto di me?"
"Tutti, tesoro! Angelika, Henrik, Jane, Brent... anzi, sta sera ho parlato con Brent e mi ha detto che vi siete incontrati da Mimi. È fissato con te, sai. Dice che sei la versione inglese di Sandra Bullock".
"Ma non c'entro niente con Sandra Bullock", commentai.
"Oh, sì invece, Rosie! Lo dicono tutti! Mimi l'ha detto alla festa e ho dire che anche Ed ne è convinto".
"Ed?", ripetei, ripromettendomi di punzecchiarlo sull'argomento il giorno dopo. "Be', ho i capelli e gli occhi scuri, ma la somiglianza finisce lì", risposi. "Cioè, se Sandra Bullock mettesse su sei o sette chili forse ci somiglieremmo di più".
Celia evidentemente iniziava ad annoiarsi. "Va bene, insomma, Rosie, sei ufficialmente un successo! Proprio come avevo previsto. Senti, il mio editor oggi mi ha chiesto di trovare del personaggi del West Side che possano risultare interessanti, persone in ascesa, per la nuova rubrica, e ho pensato che raccontare la tua storia sarebbe una grande oppurtunità! Vieni domani all'una e ne parliamo. Un bacio, devo andare".
Con quelle parole riattaccò e la tanto amata pace fu ristabilita.
Misi lentamente giù la cornetta e presi l'agenda, cominciando a rimuginare sulla questione. Perché alla festa c'era stato tanto interesse nei miei confronti? Non capivo. Quella domanda rimase al centro dei miei pensieri mentre grigliavo il pollo e preparavo un'insalatona. Durante la cena continuai a guardare l'agenda aperta sulla giornata successiva. Sebbene mi sentissi abbastanza elettrizzata, dentro di me una voce impossibile da ignorare mi spingeva alla cautela.
La pubblicità, ho scoperto, può avere due effetti diversi. Può essere incredibilmente efficace, oppure ti si può rivoltare contro in modo spietato. Come quando mia madre mise un annuncio a pagamento sul giornale locale, per informare i lettori che 'le pansé di Eadern' sarebbero state a metà prezzo nella prima settimana di maggio, ma tra i fax che aveva mandato e la stampa del giornale qualcosa era andato storto e le 'pansé di Eadern' era diventate 'le panciere di Eadern'.  Per una settimana era stata sommersa da pensionati infuriati che prendevano busti a prezzi stracciati. O come quando suk giornale era uscito un articolo su mio fratello James, in occasione di una delle sue prime iniziative imprenditoriali. Fu ritratto insieme ad una ragazza con la quale, così affermava l'intervistatore, faceva coppia fissa da tre anni e che in un futuro non troppo lontano sarebbe diventata la signora Duncan. Peccato che altre quattro ragazze con cui stava uscendo contemporaneamente lessero l'articolo. Si presentarono a casa nostra en masse e scatenarono l'inferno. Ma d'altronde James aveva sempre detto che gli sarebbe piaciuto un giorno farsi un viaggio in ambulanza con le sirene spiegate e le luci accese...
Conclusi che sarei andata da Celia come previsto e avrei rifiutato in modo educato ma deciso la sua offerta. Gli affari procedevano bene in negozio: avevamo sempre molti ordini dagli abitanti del quartiere e adesso, grazie a Mimi Sutton e al suo grande ballo d'inverno, le cose andavano a gonfie vele anche per quanto riguardava gli eventi importanti. La pubblicità che potevamo ricavare dalla mia presenza sulla rubrica ci avrebbe solamente sommersi di lavori per cui non eravamo pronti, e l'ultima cosa che volevo era fare il passo piu' grande della gamba. Attualmente, l'equilibrio tra il flusso di lavoro quotidiano e gli eventi speciali era perfetto. Non avevo intenzione di svendermi e rovinare ciò che, secondo me,  differenziava Kowalski's da tanti fiorai più grandi di New York. Decisione presa, andai a letto soddisfatta e mi addormentai quasi subito. Quella notte feci sogni incredibilmente vividi. Le immagini si susseguivano nella mia mente a velocità supersonica: Ed che sorrideva, Mimi Sutton nel suo magnifico ufficio, il sorriso di Brent, lo scontro con Nate Amie e i messaggi in segreteria della mamma a proposito di James. Poi, all'improvviso, sentii il battito del cuore di un uomo, le sue braccia calde intorno a me, il suo respiro fra i capelli. Era meraviglioso. Mi sentivo... al sicuro. Sollevai il capo dal suo petto per guardarlo negli occhi... Sulle prime non riuscii a distinguere i lineamenti. Poi li riconobbi. La sensazione di protezione scomparve e fu sostituita da un'ondata di nausea. Tutt'a un tratto, la scena mutò. Ero in giardino, davanti a un gruppo di facce familiari. Mi sorridevano. Mi sentii dire, con la voce piena di emozione, lottando per trattenere le lacrime: "Mi dispiace, mi dispiace...". Mi sveglia di soprassalto. La luce della luna che entrava dalla finestra della camera creava delle pozze argentate. Con il respiro affannoso e il viso bagnato di lacrime e di sudore, mi alzai a sedere di scatto e mi guardai intorno cercando di riprendermi. Allungai una mano verso il comodino e accesi la luce. Un bagliore caldo e dorato innondò la stanza: la sedia antica sbiancata accanto al letto con la trapunta trovata al mercato delle pulci, il dipinto di Bridgnorth che aveva portato la mamma l'ultima volta che era venuta a trovarmi, il comò di legno scuro che mi aveva regalato Celia quando mi ero trasferita. Gli oggetti familiari mi calmarono il bruciore agli occhi. Mi asciugai la fronte e mi sforzai di respirare a fondo. Piano piano il mio cuore rallentò. Ma la nausea non ne voleva sapere di abbandonarmi.
"Riprenditi, bimba", mi rimproverai. "È solo un sogno. È finito, non era reale".
'Be', non era reale in questo momento', disse una voce nella mia testa. 'Ma un tempo lo è stato'.


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Scusate eventuali errori, ma sto scrivendo dal telefono.

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