Capitolo 7

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«Sei… bellissimo vestito così,» mi complimentai con Aaron, davanti a un paio di birre in un piccolo pub, fortunatamente, poco affollato.

Lui arrossì e giocherellò con il suo bicchiere, facendolo girare su se stesso sul tavolo.

Era il mio giorno libero, la sera successiva alla visita inaspettata di Myron. Il mio telefono, che era in condizioni pietose dopo il lancio in aria, mi aveva impedito di ricevere e inviare chiamate e messaggi, ma ero riuscito a recuperare la rubrica e il mattino mi ero fiondato a comprarmi un cellulare nuovo di zecca. Era stato un bene, infatti Aaron mi aveva chiamato per propormi un incontro e avevo accettato senza nemmeno pensarci. Ero contento che si trattasse del mio giorno libero, perché non avrei retto l’ansia di aspettare.
Aaron aveva proposto di passare a prendermi in auto però avevo rifiutato, visto che il luogo di incontro era parecchio distante da dove vivevo. Avevo preso la metro e al ritorno avrei fatto lo stesso. Non volevo fargli percorrere della strada in più, soprattutto ora che mi ricordavo di lui. Era il mio fratellino e mi preoccupava saperlo in giro per le strade, quindi meno distanza percorreva, più stavo tranquillo.
Eravamo seduti uno di fronte all’altro e averlo lì, davanti a me, faceva battere forte il mio cuore, davvero, pompava nella mia cassa toracica a più non posso, senza dare alcun segno di cedimento, e ne ero felice, perché mi sentivo normale. Non ero un mostro in quel momento, non ero uno scherzo della natura o un essere maledetto, ma un essere umano come gli altri.
Lo stomaco prese a gorgogliarmi e portai una mano sopra la mia pancia, totalmente stupito. Spalancai la bocca nel rendermi conto di essere affamato, cosa che non avevo mai provato dal mio risveglio… sì, perché questa volta avevo fame di cibo.

«Cosa c’è? Ti senti male?» si preoccupò Aaron, muovendo gli occhi sul mio corpo in cerca di una spiegazione.

«È solo che… ho fame!» esclamai con un sorriso che rischiava di slogarmi la mascella.

Mio fratello si incupì, occhieggiando gli unici sei tavoli occupati oltre al nostro, soffermandosi su quello occupato da quattro ragazze decisamente carine. "Ma non è gay?", rimuginai adombrandomi. Era stato lui a dirmelo, inoltre il suo modo di guardarmi era inequivocabile… o no?

«Qui la scelta non manca. Dimmi… la preferisci mora, bionda o rossa?» mi interrogò, alzando la voce man mano che parlava, i denti stretti.

Un punto di domanda grande come una casa si fece largo nella mia testa e fissai Aaron per un tempo indefinito, incerto sulla sua strana reazione.

«Perché stiamo parlando di birre, adesso?»

«Birre?!» sbottò lui, afferrando il tovagliolo e sprimacciandolo con le dita con la tempesta negli occhi.

Uhm, cazzo se era carino in preda alla rabbia. Eccitante da morire. Mi mossi un po’ sulla sedia per tenere a bada il mio “amico” sotto la cintura e ringraziai mentalmente il cameriere per il suo arrivo improvviso, che mi permise di concentrarmi su qualcosa che non fosse il corpo di Aaron e le posizioni in cui mi sarebbe piaciuto vederlo, nudo ovviamente.
Ordinammo del pollo in salsa curry e una bottiglia di vino rosso, non appena il cameriere si allontanò un silenzio carico di frasi non dette calò sul nostro tavolo. Il fatto, poi, che Aaron non la smettesse di scrutare tutte le donne presenti nella sala, mi fece raggiungere il limite.

«Allora? Quale di queste è il tuo tipo?» mi chiese Aaron, riportando, evviva, gli occhi su di me e lasciandomi perplesso.

«Mhm?» mugugnai a corto di parole, grattandomi il mento.

Le sue dita strinsero più fortemente il tovagliolo e sbiancarono.

«Quale. Ragazza. Qui. Dentro. Ti . Vuoi. Scopare.»

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