Capitolo 2

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"A-Astrid, abbiamo un problema per la tua competizione." Non fiatai per qualche secondo, milioni di idee mi invadessero  la mente, azzardai le più svariate ipotesi, forse avevano detto che non c'era più bisogno che io partecipassi o che la competizione non si sarebbe più svolta. Clotilde prosegui, con la voce spezzata da un singhiozzo.
"I nostri biglietti per Los Angeles a quanto pare non sono stati prenotati, e l'agenzia non ha più posti liberi!"
"Ma scusa li avevi prenotati ieri com'è possibile?" Lei annuì soltanto, per poi scoppiare in lacrime. Clotilde era una donna sensibilissima, qualunque cosa la feriva a morte o la faceva piangere senza sosta.  Come quando all'età di sette anni avevo suonato alla perfezione Johann Sebastian Bach - Suite n.1 per violoncello e mentre finivo l'ultima nota comincio a a gridare "Bravaa!!" Applaudendo e asciugandosi le lacrime. A differenza sua io non piangevo da dieci anni, quando capi che disperarsi non serviva a nulla e piangere era solo tempo sprecato. Lo capì un normalissimo giorno come tanti, ero tornata da scuola e Derik non smetteva di chiamarmi con quel soprannome che io tanto detestavo, piansi tutto il pomeriggio e la stessa sera mio padre partì, lo pregai in tutti i modi possibili di non lasciarmi, ma lui mi sorrise soltanto e mi disse. "Mio piccolo tesoro non piangere, sei più bella quando sorridi. E poi di certo le tue lacrime non fermeranno il mio volo o risolverai qualche problema facendo così." Fu grazie a quelle parole che capi che aveva pienamente ragione. Il giorno dopo quando Derik mi chiamo per l'ennesima volta "capelli carota" mi alzai e lo colpì in pieno volto, forse è per questo che ora non può vedermi, del mio gancio destro ne hanno parlato per mesi e lui decise di iscriversi in diversi sport, diventando com'è ora , un palestrato abbronzato che vorrebbe farsi qualsiasi cosa abbia delle tette, anzi mi correggo, che respiri. Sospirai e cercai di calmarla.
"Dai, non è la fine del mondo, troveremo un altra compagnia a poco prezzo, e se propio non possiamo andare volando possiamo sempre usare la tua auto."
"Il problema è questo! Compagnie a poco prezzo per Los Angeles o comunque vicino lì o sono state prenotate oppure.. oppure costano troppo! E in auto non possiamo, ricorda che sono incinta non posso fare grandi distanze in auto. Dovrai andare s-sola, trova un modo." Alzai gli occhi verso le stelle e mi ripetei mentalmente "esistono problemi molto più grandi di questi." E poi aveva ragione non potevo pretendere che una donna incinta che per giunta a fine agosto sarebbe diventata del nono mese avrebbe viaggiato in auto.
"O-oppure potresti chiedere a quella persona." Prosegui lei. Io deglutii,capi all'istante di chi stava parlando.
"Non lo farò mai." Risposi con così tanta freddezza che io stessa credevo di non esserne capace.
"Ma è la tua unica alternativa! Che altro possiamo fare?"
"Clotilde, basta, per adesso non preoccuparti, pensa solo a tuo figlio non puoi prenderti troppe responsabilità, l'ha detto anche il medico. Tranquilla troverò senz'altro una soluzione. Buonanotte." La senti dall'altra parte del telefono soffiarsi il naso.
"D'accordo, ma se le cose non si dovessero risolvere entro questo sabato chiederemo a quella persona." Stavo per replicare ma mi stacco con un veloce "Buonanotte, Piccola."
Guardai il display che segnava le tre di giovedì. Perfetto, avevo solo due giorni e mezzo. Respirai a fondo, in un modo o nell'altro sarei andata a Los Angeles e avrei vinto la borsa di studio. Mi alzai dal portico, sapevo che quella notte prendere sonno era fuori questione, avevo i nervi i tirati come i fili del mio violoncello. Ma mi misi comunque a letto.
***
La bambina appoggio la sua piccola mano sul vetro appannato lasciando la sua impronta.
"Giselle, perché mi odia?" La donna le si avvicinò accarezzandole delicatamente la testa.
"Non ti odia mio tesoro,e solo che le ricordi molto la tua mamma." Rispose continuando a guardare la figura avvolta nell'impermeabile nero che si allontanava. La piccola continuava a tenere la mano fissa sul vetro, come se grazie a quel gesto riuscisse a sentire quella persona più vicina a lei.
"La mamma era una brutta persona?" Chiese infine, quando ormai quell'impermeabile nero si era disperso nel buio della notte.
"No, lei era la persona più buona che io conoscessi. Però delle volte la gente ha altri motivi per odiare una persona." Per la prima volta durante quel discorso la bambina di girò verso la donna, rivelando i suoi due occhioni cristallini, pure avendo solo dieci anni le parole che susseguirono quello sguardo di ghiaccio sembrarono dette da un anima vissuta, una di quelle anime che aveva visto così tante cose che oramai non c'era più nulla che potesse ferirla.
"Allora vorrà dire che d'ora in avanti sarà come se per me non esistesse. Una persona simile nella mia vita non ne ho assolutamente di bisogno." Detto ciò tolse la mano dal vetro, lasciando che goccioline silenziose d'acqua scendessero lungo tutta la finestra, disfacendo l'immagine della sua minuscola mano e ritornando a suonare il suo amato violoncello.
"Oh piccola Astrid." Senti prima di ricominciare a suonare.
"No!" Strillo Blanka riportandomi alla realtà. Vidi che aveva fatto bruciare un altro uovo. Quella mattina dopo essersi svegliata si era messa in testa di voler cucinare lei per una volta la colazione, ma ovviamente niente stava andando secondo i suoi piani.
"Che hai? Oggi sei nel tuo mondo più del solito. Cos'è successo?" Mi chiese avvicinandosi con quella povera padella che ormai non ne poteva più di lei.
"Niente, tranqui..." mi taglio bruscamente il discorso, cominciando a fare su e giù con la padella mentre l'uovo rimaneva saldamente attaccato.
"Ti conosco troppo bene. A parte che non mi hai raccontano di ieri sera chi era quel tipo carino che hai liquidato. Però per un ragazzo tu non staresti mai così, quindi mi chiedo se ha a che fare con la competizione." Mi meravigliai di quanto mi conoscesse bene e le raccontai di ciò che mi aveva detto la notte prima Clotilde.
"Non ti preoccupare! Troveremo senza ombra di dubbio un modo prima di sabato, così non dovrai chiedere a quella persona." Annuì, ringraziandola con lo sguardo, dopodiché mi alzai le tolsi la padella dalle mani e la gettai nel lavandino.
"Ora siediti, le uova saranno pronte in un attimo." Le dissi sfinita di assistere a quella scena pietosa di lei che tra non molto mi avrebbe rovinato tutte le padelle.
"Guarda che ci posso ancora pro..."
"Non ti azzardare a toccare un altra padella sta mattina, o la prossima cosa a essere carbonizzata diventerai tu." Detto ciò lei si sedette sulla sedia della cucina a fissarmi senza fiatare, fin quando la colazione non fu servita. Il suo silenzio venne sostituito dal suo trangugiare rumoroso e dai colpi di forchetta sul piatto seguiti da un "dannazione" quando non riusciva a prendere un pezzo di uovo.
"Ma se non sai fare neppure un uovo fritto come potrai mai pensare di occuparti del piccolo Derik?" La presi un po' in giro rompendo quel silenzio.
"Vorrà dire che si dovrà occupare lui di se stesso oppure si accontenterà  di un uovo bruciacchiato. Di certo io non starò tutto il santo giorno a pulire la casa,stirare, fargli il bucato o peggio ancora a badare a dei... bambini." Scoppiammo entrambe a ridere pensando a una ipotetica lei che provava a badare a una casa o a delle povere creaturine.
"Si, però non mi hai ancora detto chi era il tipo di ieri!" Sbuffai alzando gli occhi al cielo.
"Solo un seccatore, sai gli stereotipi di ragazzi che piacciono a te." Lei mi sorride maliziosamente. Per poi riprendere con aria cupa.
"Sai, credo che dovresti essere un tantino più... socievole, ecco. Sopratutto con i ragazzi, non ti sei neppure mai fidanzata."
"Sinceramente io preferisco pensare al mio futuro anziché a dei ragazzi. E poi sono socievole con i ragazzi! Mat è un mio amico."
Mat era come se fosse un fratello maggiore per me, aveva due anni in più ed eravamo amici dalle elementari dopo aver dato quel cazzotto a Derik ero diventata piuttosto "famosa" e logicamente oltre ad essere acclamata ero anche odiata da alcuni. Così quando Derik si riprese psicologicamente dal mio pugno, un normalissimo venerdì  all'uscita da scuola mi circondò con i suoi tirapiedi e quando mi auto convinsi di essere ormai spacciata, una voce dietro di me mi fece girare, attirando l'attenzione anche di quei bulletti.
"Prendetevela con quelli della vostra taglia!"Era un bambino molto alto per la sua età, i capelli marroni erano nascosti da un capellino verde militare e gli occhi scuri fissavano in modo torvo il loro nemico.
"A-amico, parliamone stavamo solo scherzando..." rispose Derik con la voce tremolante per la paura.
"Anch'io voglio solo scherzare." Disse avanzando verso di lui. Lo prese per il colletto della camicia sollevandolo da terra.
"Se proverete a toccarla un altra volta, giuro che pregerete le vostre mammine di non uscire mai più di casa. Sono stato chiaro?" L'aveva detto in un tono così clamo e pacato che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Derik fece solo un segno di si con la testa acconsentendo a non provare a toccarmi mai più, Mat poi lo lascio cadere a terra e quando si rialzò corse a perdifiato insieme ai suoi amici verso casa gridando. "Forza andiamo via!" Mi voltai verso il mio salvatore che mi stava sorridendo orgoglioso.
"Perché l'hai fatto?" Gli chiesi un po' frustata del fatto di essere stata salvata da un maschio.
"Perché tu sei gentile." Rispose senza neanche pensarci.
"Come fai a sapere se sono gentile?"
"Questa estate non so se te lo ricordi, ma i miei amici mi avevano rubato la palla e dopo un'ora sei venuta tu e me l'hai riportata." Non ricordavo quel giorno e molto probabilmente si era confuso con un altra bambina, abbassai lo sguardo fissandomi le punte delle scarpe.
"E poi mi hai detto:Non fartela fartela rubare più! E mi hai sorriso. Sei stata davvero gentile, anche perché loro non te l'avranno data tanto facilmente!" Li rialzai di botto e ricordai quel giorno. Avevo assistito a tutta la scena, i suoi "amici" gli avevano preso la palla e lui era rimasto lì, solo a piangere, così presa dalla rabbia ero andata da loro a riprenderla e anche se avevo corso come un'ossessa dentro il bosco per seminarli ne era valsa la pena, perché lui aveva smesso di piangere. Gli sorrisi nel modo più dolce possibile e gli sussurrai un grazie. La nostra amicizia non fu rapida come quella di Blanka, si costruì giorno, dopo giorno e quando non ci facemmo più caso eravamo diventanti come fratello e sorella.
"Ma Mat è un caso a parte è come se fosse tuo fratello!" Ripose lei sfinita, sbuffai per l'ennesima volta e mi alzai dal tavolo.
"Voglio solo trovare quello giusto per me, cosa c'è di sbagliato nel voler provare a vivere una favola?" Le si formò un sorriso sul volto e mi prese la mia mano destra che era ancora poggiata sul tavolo.
"Allora spero che troverai presto la tua favola." Annuì, poi il mio sguardo si fermò sul tavolino dove c'era ancora un biglietto aereo che mio padre aveva comprato qualche mese prima, in un'agenzia vicino la nostra città. Se eravamo in un cartone animato in quel preciso istante mi sarebbe spuntata una lampadina sulla testa.
"Blanka ho un idea! E tu verrai con me!" Corsi verso le scale e le sali a tutta velocità mentre preparavo uno zainetto per il viaggio.
"E mi vuoi rendere partecipe, oppure no di questa tua idea?"
Chiese lei spuntando dalla porta della mia camera.
"Ti avverto, dovremo mentire e se ci riusciremo ci potranno essere delle conseguenze."
"Sono tutta orecchi." La velocità con cui mi rispose mi fece comprendere che avrebbe accettato qualsiasi cosa fosse, come sempre del resto, ogni cosa che ci passava per la testa l'altra l'assecondava; come quella volta in cui Blanka voleva andare a Phoenix per seguire il suo ragazzo che stava per fare un concerto rock li. Peccato che arrivate neppure a Metà strada sua madre ci aveva fatto fermare da tipo una ventina di poliziotti, perché credevano che avendo ancora quindici anni e quindi minori eravamo state rapite da quei ragazzi il quale il più piccolo aveva diciotto anni. Possiamo dire che la madre di Blanka, la signora Paula Griffin è sempre stata abbastanza protettiva nei confronti della figlia, molto scatenata e essendo anche una donna molto devota a dio, dopo la morte di suo marito, non ha mai approvato i comportamenti di Blanka, sopratutto la sua "amicizia" con i ragazzi.
"Dobbiamo andare a Wilhbert. Là ci dovremo fare dei documenti falsi e poi andare in un' agenzia dove fanno sconti sulle famiglie. Prima che me lo chiedi tu sarai quella incinta." Avevo finito lo zainetto, dove avevo messo l'essenziale per un giorno, mi girai verso di lei che a giudicare dalla sua faccia era sconvolta.
"Quindi mi stai dicendo che dovremo fare documenti falsi per essere maggiorenni, da qualche probabile criminale, poi andare in un agenzia dove fingeremo di essere una coppia lesbica che aspetta un bambino?" Presi una bottiglietta d'acqua vuota e gli e lanciai.
"Brava hai capito. Ora riempiti la bottiglietta, tra venti minuti fatti trovare alla fermata del bus e portati il cambio per un giorno."
"Okay, a dopo allora!" Disse lei uscendo di corsa da casa mia. Ora mancavano solo i soldi, uscì dalla mia camera e andai nello studio di mio padre mi diressi nella piccola cassaforte che si trovava dentro il secondo cassetto della sua scrivania. La presi e cominciai ad armeggiare, provai tutte le sue password e poi cominciai con le date, le avevo provate tutte.
"Merda." Dissi sedendomi a terra, e ora cosa avrei dovuto fare? Poi mi venne in mente una data, era l'ultima alternativa. Mi rialzai e misi 12/12/84
"Ti prego." Pregai con un filo di voce, poi sentì un click esultai mentalmente, aprendosi rivelo più denaro di quanto mi aspettassi. Presi circa mille dollari è una carta di credito, quando stavo per posare la cassaforte nel cassetto sussultai dal vibrare del mio cellulare.
"Dove sei?" Era Blanka, era passata una mezz'ora piena e io ero ancora a casa.
"Sono per strada." Mentì chiudendo il cassetto e scendendo di corsa le scale.
"Okay, sbrigati non mi piace la stazione degli autobus." La verità era che a nessuno piaceva la stazione degli autobus. Una leggenda narrava che propio in quella via era morta una giovane donna con suo figlio appena nato e alcuni sostengono che si possa ancora sentire il pianto del pargolo e le grida della madre, mentre veniva pugnalata dallo psicopatico di suo marito.
"Si, arrivo!" Le risposi staccandole e cominciando a correre, se avrei tardato per altri cinque minuti era probabile che avrebbe tenuto il muso finché non gli avessi offerto del cibo, Blanka era fatta così, potevi litigare per qualsiasi cosa ma se gli davi anche un semplice pezzettino di cioccolato le passava tutto. Mi meravigliai quando in meno di due minuti vidi lei è la stazione degli autobus, era lì che digitava nervosamente i tasti del cellulare, propio in quell'istante mi arrivò un messaggio che al 99% era suo. Quando alzò lo sguardo e lo puntò su di me, i suoi occhi scuri dicevano tutto, mi avrebbe uccisa se avesse potuto.
"Eccomi qua, ho avuto un problemino con i soldi ma ora è tutto apposto. Quando passa il prossimo bus?" Lei mi squadrò a lungo, e quando ormai avevo rinunciato a una sua risposta e stavo andando a vedere gli orari sul tabellone lei mi rispose, ma a differenza di quanto credevo non sembrava arrabbiata.
"Tra due minuti... Non sono arrabbiata Astrid..." mi aveva chiamata per nome, brutto segno. Poi riprese con voce cupa.
"Solo che se il tuo piano non dovesse funzionare? Io credo che dovresti prendere in considerazione il fatto di dover chiedere a quella persona."Buttai gli occhi al cielo, ecco che riguardava, non le andava di fare la parte della donna incinta.
"So dove vuoi andare a parare, non sarò io quella incinta." Mise il broncio e capi che alla mia ipotesi era corretta.
"Ma perché io?"
"Hai la faccia da futura mamma." Le risposi poggiandole una mano sulla spalla, lei sbuffo e io scoppiai a ridere, seguita subito dopo da lei.
"Tieni questo sarà tuo figlio." Continuai, le porsi un oggetto che mesi prima avevamo acquistato online per fare uno scherzo a sua madre e farle credere che la sua povera bambina era stata messa incinta. Lei se lo mise sotto la canotta arancione e solo allora mi resi conto che i pantaloncini che indossava erano i miei, l'avrei voluti mettere quel giorno, ma avevo perso le speranze dopo averli cercati quasi tutta la mattinata e aver ridotto la mia stanza un ammasso di vestiti. Così alla fine optai per un paio di pantaloncini con i girasoli neri disegnati e una canotta sempre nera con su scritto "me sarcastic? Never."
"Come mi sta?" Mi riporto alla realtà muovendo la pancia avanti e indietro.
"Sembri un elefante che balla, quindi bene. Comunque quelli erano i pantaloncini che cercavo sta mattina." Dissi indicandoli, lei si guardò e poi fece spallucce, i nostri discorsi vennero interrotti dal rumore delle ruote che strisciavano sull'asfalto.
Salimmo nel mezzo e la nostra visuale venne catturata dal volto del nostro conducente, era inquietante e non lo dicevo solo perché aveva tutti i denti storti, la faccia piena di cicatrici e ci guardava in modo truce, era propio la sua sola presenza a metterci a disagio.
"Ehm... salve, vorremmo due biglietti per Wilhbert." Il tipo annui soltanto e si girò per prendere i biglietti, mi girai verso Blanka e ci scambiammo un occhiata, poi mi voltai verso gli altri sedili e vidi che erano vuoti.
"Ecco a voi, ragazzine." Rispose lui attirando la mia attenzione, aveva un sorriso tirato che rivelava tutti i suoi denti storti e giallognoli.
"G-grazie." Disse Blanka prendendo i biglietti e toccando la mano di quel tipo, che assunse un ghigno divertito. Sarebbe stato davvero un lungo viaggio.



Angolo autrice:
Ciao a tutti lettori, forse avrei dovuto fare la presentazione prima, ma io sono strana quindi va bene comunque. Allora questa è la prima volta che pubblico una mia storia, e bho spero vi piaccia e non dimenticate di commentare e lasciare una stellina per farmi sapere se vi piace.🦄🌈
-Pandaunicornochevomitacaramelle🌈🦄🍭🐼

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