19 Novembre. La sveglia suonò fastidiosa. Mattia aprì gli con difficoltà, il post sbornia era sempre distruttivo. Gli lasciava un gusto disgustoso in bocca, come quando si va a letto dopo aver fumato una sigaretta. Un gusto acre, pungente e perfino tagliente. Si alzò in piedi e piano piano si avvicinò al bagno. Un bagno piccolo, grigio, vuoto. Un bagno che gli ricordava le sue emozioni negli ultimi mesi. Uno spazio angusto, buio, monotono, che dava spazio alle emozioni più tristi che si sprigionavano come una cascata durante una piena. Si lavò il viso e restò a fissare lo specchio. Restava a fissare i lividi in faccia, a fissare la barba che cresceva in modo disordinato. Restava a fissare le rughe che si scavano sul suo viso, le occhiaie che diventavano sempre più nere e la psoriasi da stress sulle sopracciglia. Restava per provare a capire il proprio sguardo, attraverso quel vetro riflettente, cercando di nascondersi la depressione che provava, l'amore che era andato via, il cancro che cresceva sempre più. Cercava di trovare la voglia di vivere nei propri occhi, cercava quel motivo che un tempo gli faceva battere il cuore, che lo faceva correre a piedi nudi nei campi o a respirare aria pura su di una vetta di una montagna. Cercava di trovare quel sorriso che lo contraddistingueva dagli altri, quel sorriso vero, senza maschere, senza veli, quel sorriso che potrebbe spaccare in due il mondo e far finire le guerre. Cercava quella voglia di vivere che aveva sempre avuto. Ma trovava solo la sua destinazione finale. Vedeva solo una misera persona che non riusciva a fare altro che ad arrancare nella vita per avere una speranza che non esisteva. Si chinò sulla tazza e vomitò. Non sopportava quello che era diventato. Detestava non poter finire l'università, detestava non riuscire ad andare a vedere una partita allo stadio od un concerto su di un prato. Detestava l'idea di non poter vivere una vita frenetica come aveva sognato. Detestava non poter più suonare il pianoforte.
Guardò l'ora, erano le 07:13. Rischiava di far tardi. Si avviò in cucina per il suo rito mattiniero. Prese qualcosa con cui far colazione dai bianchi scaffali, che chiudendosi crearono un effetto simile ad un fruscio. La sua decisione era caduta su una manciata di biscotti integrali. Gli piacevano molto i biscotti integrali, non tanto per il loro gusto, ma perché, essendo integrali, gli attribuiva quasi un significato di purezza, una cosa che avevano sempre attribuito a lui, ma che adesso non se la sentiva più sua. ci sorseggiò insieme un poco di caffè freddo avanzato dal giorno prima. Il gusto era deciso e forte, come piaceva a lui, e gli faceva venire in mente ricordi che, volente o meno, lo facevo sorridere. Lo rilassava, e in quei momenti gli faceva passare dalla mente il dolore. Un dolore che un ragazzo di 23 anni non dovrebbe sopportare. Un dolore al cui, purtroppo, si era abituato a convivere.
Lentamente scese le scale del condomino, usci e prese la macchina. Una piccola utilitaria scassata con cui aveva vissuto le sue esperienze più incredibili, che per molti potrebbero essere banali. Ormai aveva imparato a sue spere che nella vita nessuna cosa è banale, ed era contento di avere ancora quel vecchio rottame. Si avviò, sparando la musica a palla, del jazz anni '50. Odiava pensare mentre era in macchina , ricordarsi di tutte le cose che lo assillavano, di tutte le paranoie che aveva e di tutti quei sentimenti che lo tentavano di andare dritto in curva. La musica lo aiutava. Qualsiasi genere, qualsiasi artista, qualsiasi ritmo: bastava che entrasse dentro le sue orecchie e i problemi, come per magia, sparivano nel dimenticatoio per tutta la durata del viaggio, sia che fossero svariate ore che una manciata di minuti. Piano passava il tempo quel giorno, ma la strada finì rapidamente lo stesso, come quando passi del tempo insieme ad una persona cara. Purtoppo non era così.
Parcheggiò e si accendette una sigaretta. L'unica cosa che potesse fare per calmarsi in quel momento. Vedere la sigaretta che piano piano si consumava gli ricordava la sua vita. Si sentiva in sintonia con lei, quel lieve bruciarsi del mozzicone, che lentamente si affievolisce in una piccola fiaccola di fumo grigio e denso come un filo d'olio. Finì la sigaretta e si recò dentro, alla hall. Si presentò e chiese informazioni. "Buongiorno signore. Terzo piano, il primario sarà li ad accoglierla", questo gli venne detto. Piano salì le scale, ed arrivato al terzo piano trovò il primario. Si trovava a suo agio con lui, stranamente. E riescì a farsi strappare pure una battuta.
Si accomodarono in uno stanzino piccolo, triste. Tutto cominciò a riprende subito la sua cupa nitidezza. L'ansia cominciò a salirgli, il dolore si fece più persistente. Il suo umore diventò di nuovo grigio, come il cielo fuori dalla finestra, in quella giornata piovosa. Un cielo che pareva gonfio di lacrime, pronto ad urlare il suo dolore al mondo con una pioggia di fulmini. Un cielo che raramente si vede così. Un cielo che non dava, o non aveva, più speranza. Forse il cielo lo capiva. Capiva quella sua angoscia al solo respirare, perché ormai non aveva più la forza di continuare. Non aveva più la forza di alzarsi la mattina per vomitare, per piangere, per morire lentamente, ogni giorno di più, ogni singolo attimo sentire le cellule del suo corpo impazzire per poi esaurirsi. Non aveva più la forza per aggrapparsi alla vita. Ma il suo pensiero venne interrotto dalla voce del primario "Stia tranquillo, signore. Attenda pure qui, finisco di preparare la seduta di chemioterapia, e la vengo a chiamare".
Buio.

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Storia di vite non vissute
Short StoryIn questa raccolta racconterò storie, puramente di fantasia, in cui le persone potranno (spero) prova forti emozioni contrastanti. Buona lettura.