Passai nuovamente davano alla "strada dei balocchi". Nessuno ormai ricordava questo nome, da anni non veniva più usato. Si temeva risvegliasse antichi timori a cui nessuno ormai credeva, o meglio a cui nessuno ormai osava pensare. Finzioni. Cosi venivano definiti. Eppure, adesso che per me era giunta la fine sentivo il bisogno di non mentirmi. Di smettere di ripetere fino all'autoconvinzione ciò che mi era stato detto e ridetto dallo pscologo : "É solo un sogno Smith, solo un sogno. La sua mente é stressata, ha lavorato troppo e quindi crea cose che non esistono, vede cose che non ci sono".
Le immagini mi assalirono vorticosamemte, un flutto di ricordi penetrò violentemente nel mio cervello, o in ciò che ne era rimasto. Un capogiro mi costrinse a sedermi nella panchina lì vicina. Un peso mi attanagliava lo stomaco. Sentivo che tutto questo era sbagliato, sentivo che, giungendo la fine, questo peso sarebbe dovuto passare ad un altro, perché era qualcosa di troppo grande, ben oltre la portata di un semplice falegname. Perché qualcosa che non poteva morire con me, qualcosa che non avrei dovuto portarmi sino alla tomba. Sentivo che se non l'avessi fatto io, la forza di questo mistero si sarebbe rivoltata, cercando di ristabilire l'ordine naturale delle cose, e avrebbe irrotto nella testa di qualche ignaro, sconvolgendogli la vita, cosi come era successo a me. E come me sarebbe stato costretto a risalire alla radice della questione, capendo poi che sarebbe stato meglio per lui rimanere fuori, portando su di se consapevolmente un fardello della cui origine era inconsapevole. Ma a chi affidare questa condanna? Chi potevo considere forte ma sacrificabile?

Alzai gli occhi. Il rosso cobalto mi riportò alla realtà. Decisi. Ignorai il senso di nausea e continuai a camminare fino a quando, giunto di fronte casa mia e visto colui che avrebbe preso il mio posto, mi fermai.

"Will, Will"

Lo vidi girarsi lentamente, con il sorriso di chi è lieto di incontrare una persona cara, e vidi immediatamente dopo un mutamento d'espressione. Il sorriso scomparve dalle sue labbra, e un piglio accigliato fece capolino. Mi chiesi per un attimo se non sapesse già ciò che ero venuto a dirgli, ma capii che era impossibile. Allora mi girai per capire se la causa del suo improvviso turbamento si trovasse dietro di me. Ma come sempre Crawley Street risultava una placida via di campagna, silenziosa e deserta, eccetto al tramonto, quando il canto dei grilli allietava i discorsi fatti durante le cene. Solo quando, posato frettolosamente il tubo dell'acqua, si avvicinò a passi svelti verso di me, capii che la causa ero io.

"Papà! Hai il fiatone! Siediti, bevi un bicchier d'acqua"
"Sto bene Will, sto bene"
"Ma..."
"Niente ma Will, niente ma. Berremo dopo, e mangeremo anche. Acqueremo il giardino e raccoglieremo i pomodori maturi. Faremo tutto Will. Ma non ora"

Probabilmente fu la mia espressione, o più probabilmente il mio avergli parlato come non avevo mai fatto prima. Con nostalgia, amore e un certo attaccamento a tutto quello che abitudinariamente facevamo. Comunque, qualunque cosa fosse, lo convinse a rilassarsi, o meglio a porsi in una situazione di calma apparente, consapevole del rischio improvviso di vedersi cadere il mondo addosso. Entrammo in casa, e ci accomodammo di fronte. Lui era teso, lo si notava in ogni suo tratto, in ogni movimento. La posizione stessa (schiena dritta, gomiti poggiati sul tavolo, testa alta) mostrava una sicurezza che voleva ostentare, ma che in realtà non possedeva. Alzai gli occhi verso la finestra. La luce mattutina emanava un leggero bagliore che si rifletteva sul mio orologio. Erano le 06:00. Mi dissi che forse era meglio sbrigarsi. Will tra un'ora sarebbe dovuto andare a lavorare. Mi decisi quindi a parlare:

"Quello che ti andrò a raccontare non è una storiella presa da un libro trovato su in cantina, né tantomeno uno scherzo di pessimo gusto. È la riposta alle tue molteplici domande sul mio passato, alle quali ormai da anni ti sei rassegnato a trovarne risposta. Ma si sa, ogni cosa arriva quando la si smette di cercare.

Questa storia inizia 46 anni fa. All'epoca avevo vent'anni e cercavo lavoro come falegname. Avevo girato tutto il paese ma nessuno ne aveva bisogno. Fino a quando una sera, era il tramonto lo ricordo perfettamente, passò un venditore di giornali. L'orario era insolito e così scesi dalla staccionata sulla quale ero seduto e mi avvicinai per domandare spiegazioni. Il ragazzo, Conan si chiamava, mi disse che no, non era successo nulla che costringesse i produttori a ristampare il giornale due volte nello stesso giorno, e che lui stesso era rimasto colpito dalla strana richiesta. Mi disse anche che secondo lui il suo capo, il direttore del giornale, sarebbe stato male, e per questo avesse deciso di far passare il giornale, nonostante fosse ormai sera. Gli chiesi dunque secondo cosa definiva la malattia la causa scatenante, ma la risposta non arrivò subito. Dapprima Conan mi squadrò, accertandosi probabilmente che fossi la persona giusta a cui confidare un segreto di quella mole. Appurato ciò, o forse per la semplice voglia tipica di tutti i ragazzi di mostrare con orgoglio ciò che si è scoperto, mi disse, non prima di essersi guardato intorno, che al termine del suo orario di lavoro, cioè le 18:00, era passato dall'ufficio del direttore, per chiedere un permesso per il giorno seguente, scordandosi però di bussare. Entrato quindi d'improvviso aveva trovato il direttore ansimante, pallido, con le mani che tremavano alla gola. Preoccupato aveva chiesto cosa fosse successo ma non aveva ricevuto risposta. Si era quindi avvicinato ma non appena lo aveva sfiorato il direttore aveva emesso un singulto e si era tirato fuori dalla portata del tocco. Conan era quindi uscito a prendere un bicchiere d'acqua e chiedere aiuto ma non appena era arrivato insieme ad un suo collega avevano trovato il direttore sistemato e in perfette condizioni, che li attendeva seduto comodamente. Aveva poi congedato il collega e invitato a Conan di sedersi. Conan mi rivelò di essersi aspettato che gli venisse detto di non far parola con nessuno di ciò che aveva visto ma non fu così. E ciò lo meravigliò ancora di più, portandolo ad immaginare di essersi sognato tutto. Comunque mi disse che la strana richiesta arrivò subito dopo, ma che venne detta con una tale naturalezza e tranquillità che all'inizio Conan non notò nulla di strano, capendo solo dopo come risultasse anormale. Ci riflettei sopra un attimo, ma la ritenni più una bambinata, una storia non inventata ma sicuramente esagerata per darle quel tono cupo che tanto intrigava. Così salutai e feci per andarmene ma venni richiamato da Conan il quale mi porgeva una copia del giornale, dicendomi che me lo avrebbe regalato, per festeggiare il suo fidanzamento, che avrebbe appunto festeggiato domani. Ridendo lo ringraziai e rientrai a casa, lasciando il giornale sul comò. Non lo toccai fino a quando, la notte, mi svegliai di soprassalto, agitato e intimorito. Accesi la luce ma nella mente continuavano ad apparire, se pure confuse, le immagini del mio sogno. Decisi quindi di leggere qualcosa e presi in mano il giornale, convinto che avrebbe conciliato il mio sonno. Ma mi sbagliavo. Lo lessi due, tre quattro volte ma alla quinta, vista la scarsezza del risultato, decisi di posarlo. Non appena lo chiusi però, sulla prima pagina vidi un annuncio, "cercasi falegname competente", e un indirizzo, "via dei balocchi 73". L'annuncio sparì subito sotto i miei occhi. Ricontrollai più e più volte il giornale, ma non c'era traccia di ciò che avevo visto. Decisi allora di interpretarlo come un segno della troppa stanchezza e dei rimasugli dell'inquietudine rimasta e tornai a dormire. Fu una notte d'inferno, popolata da strani essere biancheggianti, dall'indirizzo e da una voce, calda e soave, che mi invitava a seguirla, dentro un baratro da cui non si scorgeva il fondo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 23, 2017 ⏰

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