Spin-off: Riguardo Roma.

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Roma, San Valentino, 2022.
[La specializzanda/Sasha Kowaski]

[La specializzanda/Sasha Kowaski]

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Il ragazzo al primo piano era passato inosservato, perché il suo era un viso simile a mille altri: con capelli castani e occhi altrettanto color corteccia. Era arrivato da poche ore, con una ferita lungo la guancia che ben si sposava con una vecchia cicatrice che gli tagliava il sopracciglio e lo faceva sembrare il cattivo di un film per bambini.

La specializzanda era arrivata da poco, la mattina era inaspettatamente calda nella capitale. Sembrava annoiata, ma dal volto inespressivo era difficile dirlo. Arrivò con gli occhi azzurri già incastrati tra una riga e l'altra del foglio che teneva tra le mani «Quindi lei è...» Sfogliò dei documenti con tono piatto. «Il signor Covasci?»

«Kowaski» la corresse lui e, nonostante la voce gioviale, qualcosa portò la specializzanda ad alzare gli occhi dai fogli. In un paese come Roma nessuno avrebbe potuto cogliere l'incongruenza fra un cognome polacco e una parlata dalla cadenza russa. E lui lo sa bene, era rimasto sempre il solito perfezionista che vagliava tutte le variabili.

La specializzanda non mosse un muscolo e lo stesso fece il signor Kowaski. «Sasha Kowaski.»

«È il diminutivo di qualcosa o si chiama davvero Sasha?» Lei, al contrario di lui, aveva sempre finto di essere qualcos'altro e, nonostante avesse detto di venire dalla Russia, da tempo il suo accento si era sciolto e la cadenza si era avvicinata molto a quella degli abitanti della città.

«Di Aleksandr, ma solo mia madre mi chiama così.» Sasha Kowaski strinse i pugni, nascosti dentro le tasche dei pantaloni, parlare di sua madre faceva sempre uno strano effetto. Anche pensare che era da una vita che non sentiva sua madre chiamarlo lo faceva sentire strano.

«Voi Russi usate sempre dei diminutivi così bizzarri.» La specializzanda si finse occupata a scrivere qualcosa sul foglio di raccolta dati.

Maschio.

Ventidue anni.

Ferite multiple – rissa tra ubriachi.

«Sono polacco» si affrettò a correggerla Sasha e la specializzanda annuì, ma poi alzò le spalle.

«Non è un po' la stessa cosa?»

«Lo è?» domandò di rimando lui, e il tono usato riportò la giovane studentessa di medicina lontano nel tempo. Non provò nulla mentre alzava gli occhi su quel giovane dal viso sfigurato. Aveva cambiato taglio di capelli e portava ora degli occhiali da vista, molto probabilmente finti, ma dal taglio elegante.

No, non lo è, si rispose. Continuarono a parlare, mentre lui la studiava apertamente: con quegli occhi scuri sembrava prendere le misure di una gabbia per una bestia feroce. La specializzanda domandava, lui rispondeva. Era una partita a tennis piena di cose non dette.

«E come mai è finito in una rissa la sera di San Valentino?»

L'uomo che arrivava dalla Polonia ma parlava con accento russo emanò una risata gutturale. «La risposta è la più ovvia possibile...»

«Una donna?»

Degli uomini cercavano di uccidermi, pensò ma a voce alta disse invece: «Siamo diventati romantici?»

E così il palco cadde, cadde il gobbo e tutto lo spettacolo così fluidamente costruito. Lei strinse la presa sul blocco, ma non voleva dire nulla. Spostò lo sguardo verso un angolo della stanza, ecco: questo era importante.

«Non essere ridicolo.»

Lui sorrise, lei no.

Passò un lungo momento prima che lui parlasse di nuovo «Il camice ti sta bene.»

«Anche la tua nuova cicatrice.»

Sasha Kowaski si sfiorò il taglio fresco di disinfettate e dei due punti che erano stati necessari a chiuderlo. «Dici che rimarrà il segno?»

La specializzanda avrebbe potuto rispondere semplicemente che un segno in più, per lui, non avrebbe fatto differenza. Avrebbe potuto continuare il suo giro, ma... non poteva. Quando il passato bussa in questo modo una persona può solo lasciarsi travolgere. Motivo per cui la specializzanda dopo aver osservato ancora per un attimo qualcosa di indefinito, fece qualche passo verso il signor Kowaski. Appoggiò appena la punta delle dita accanto alla ferita, e trovò la sua pelle calda mentre lei studiava con fare professionale quello squarcio rattoppato. «Io avrei fatto di meglio.»

«Non è quello che ho domandato.» E forse non era nemmeno quello che voleva sapere. Lei era lì, di fronte a lui. Il che era assurdo solo a pensarci. Indossava un camice e a Sasha Kowaski non era certo sfuggita la sicurezza con cui si muoveva in quel luogo di morte. Si era chiesto a lungo che ne fosse stato della ragazza dallo sguardo perso che aveva baciato quando era poco più che un ragazzo, quando l'intero universo aveva prima smesso di girare e poi ripreso, con regole completamente nuove.

La risposta a quel quesito ora era di fronte a lui, ma forse lo era stata sempre: persone come Lei sopravvivono, a ogni costo.

E forse questa era la peggiore delle maledizioni.

«Siamo diventati superficiali?»

«Sempre stati.» La specializzanda spostò lo sguardo da Kowaski, ma poi lo appoggiò nuovamente su quegli occhi, e li trovò diversi. Per la prima volta sentì la pesantezza degli anni passati. E del tempo passato assieme. «Quindi? Dovrò comprare una maschera e nascondermi sotto un affollato teatro come nel Fantasma dell'Opera?»

Lei si prese ancora un attimo per valutare la situazione poi scosse piano la testa, proprio quando lui si domandava se avesse percepito la forzatura nella sua voce, nel tentare di essere leggero e divertente. Chissà se lei notava la difficoltà nel vivere con le emozioni. «No, ma ti consiglierei di tentare con ragazze con fidanzati meno possessivi.»

Sasha Kowaski non poté fare a meno di sorridere: la sua serata non avrebbe potuto essere stata più diversa di così. Si alzò dal lettino dove era rimasto nelle ultime ore. Per quanto quell'incontro fosse piacevole, lui non poteva proprio rimanere. Era un miracolo che non fossero ancora arrivati per finire il lavoro. Forse lo stavano aspettando all'uscita... sarebbe stato più saggio optare per quella di sicurezza. «Tra tutti i posti, non avrei mai pensato di incontrarti qui.» le disse, perché tanto... che importava?

«Non credevo che ci saremmo incontrati mai, in nessun luogo.»

È il destino, sussurrò una voce viscida dentro la testa di Kowaski, ma aveva imparato a ignorarla molti anni prima. Sorrise come se nulla fosse, mentre afferrava la sua giacca. «Tranquilla, tutto questo resterà a Roma. Nessuno saprà mai chi sei.» E quella frase andava così oltre quel momento, quella giornata; quella frase toccava un nervo inesistente nell'anima della specializzanda perché lei sapeva che quel giovane uomo stava parlando della sua intera vita da ragazza insussistente.

Lei strinse le labbra, ma alla fine stese i muscoli delle spalle. Piccoli, microscopici movimenti che Kowaski raccolse, ma che da tempo aveva smesso di tentare di capire. Con difficoltà se li lasciò scorrere attorno.

«Stammi bene, Adela.»

«Non farti più vedere, Evan.»

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