Terzo capitolo: Domani
La luce penetra nel sogno di Kyungsoo, riflettendosi in qualcosa di freddo e salato, e forse compaiono anche dei talloni che scavano nel morbido avvallamento tra l'oceano e la spiaggia. Si volta, e la sabbia umida muta in freddo lino.
Quando apre gli occhi, il cocktail di ali di gabbiano e sfumature di blu viene rimpiazzato da un soffitto, troppo basso, da una piccola finestra in fondo a una stanza angusta e da un parquet nascosto da tappetini consumati. È la sua stanza, ma non identica a come era ieri: in ogni centimetro di muro sono stati attaccati dei post-it verdi e gialli che lui non ricorda di aver mai messo. Come una seconda pelle di testi colorati e diagrammi, numeri e date. Un leggero venticello alza le tende e smuove quelle note, suonando una melodia simile ad un vivace applauso di carta.
Sebbene Kyungsoo non sia troppo sorpreso dallo stato della propria camera, in qualche modo tutto torna apposto grazie al ridondante numero di note gialle. La confusione, però, scompare automaticamente in un sorriso nel momento in cui si affaccia al balcone e nota una figura poggiata alla ringhiera adiacente.
"Hai letto quelle gialle?" lo sconosciuto chiede di colpo, e un barlume perfido gli illumina le pupille nel momento in cui nota lo sguardo vacuo dell'altro, "Torna dentro e leggile. E apri la porta quando busso."
Quindi Kyungsoo torna dentro, le legge, e apre la porta quando Jong-in bussa. Dieci minuti dopo sono piegati sui fornelli in cucina per preparare la colazione mentre Jong-in gli punzecchia lo stomaco, contando le sporgenze delle costole, rovinando tutto nel modo più perfetto. Il disagio svanisce e lascia il posto alla disinvoltura, avanzando insieme alle braccia attorno ai fianchi e ai menti infossati nelle spalle.
Forse questo può ripetersi per sempre, pensa Kyungsoo. Forse un giorno si sveglierà vecchio e Jong-in gli punzecchierà lo stomaco, sospirando incoerenti frasi provocatorie al proprio orecchio e buttando tutto all'aria proprio come oggi. Mangeranno la colazione sul bancone, con i piedi fasciati da soffici pantofole e i capelli grigi troppo sottili per poter nascondere i loro sorrisi luminosi. Gli piacerebbe.
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L'amore tra Kyungsoo e Jong-in può essere riassunto in ordinari solchi sulla carta consumata, costruiti secondo una piccola lista che Jong-in ha titolato 'Cose che fanno eccitare Kyungsoo'. Nei giorni più strani, succedono combustioni spontanee al posto della scrittura, e, in altri giorni, Jong-in plasma le mani sulla texture della sua pelle d'oca.
Di solito, sono fatti di notti regolari al locale, quando tutti gli altri si sono abbandonati ad un bicchiere di Scotch puro che gli fa da guida. Kyungsoo si ritrova a fissare stupidamente la faccia di Jong-in mentre canta, meditando su come una persona così perfetta possa allo stesso tempo sembrare così frantumata. Bellissima come un disegno di china, con una felicità che sgorga dai bordi come tè invecchiato, Jong-in sembra un artefatto di remota perfezione - sebbene la perfezione muoia appena alza lo sguardo e incrocia gli occhi spalancati di Kyungsoo: gli strizza l'occhio.
C'è qualcosa nell'occhiolino di Jong-in che gli fa quasi cadere il microfono dalle mani, e ovviamente gli fa perdere il ritmo della canzone. Non passa troppo tempo prima che Kyungsoo smetta del tutto di cantare, e questo accade quando Jong-in accorcia la distanza tra di loro e le sue belle labbra respirano il blues lucente del sudore. Il cuore di Kyungsoo gli batte nel petto ad ogni pulsazione semi-intenzionale e sussurra, "Non rifarlo mai più, davvero."
Il gioco delle sfide diventa letale quando la porta del soggiorno si chiude e lascia che Jong-in sbatta Kyungsoo al muro, "Dillo di nuovo? Mi sfidi a non rifarlo?"
I palmi delle mani e le ginocchia sollevano ansimi, mormorii incoerenti che puntualizzano ogni gemito e guaito. L'urgenza accelera tutto mentre la frustrazione guida le dita nello slacciare la cerniera. O forse non è la frustrazione.
Forse è solo l'urgenza. Perché sono sempre di fretta e i granelli di sabbia scompaiono dalle crepe dei loro palmi. Perché mentre l'inverno muta in primavera, fare l'amore implica sempre di meno spinte definite e sguardi passionali, e sempre di più silenzi umidi intrappolati tra le coperte dell'appartamento di Jong-in. Perché mentre la primavera è alle porte, i picchi di felicità scompaiono e lasciano il posto ad una costante stringa di pensieri.
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Kyungsoo si stiracchia sul materasso di Jong-in, guardando le tende che gonfiano di vita centinaia di post-it gialli alle pareti, mentre Jong-in si preme la gola con entrambi i pollici. Un sussurro distratto rompe la calma, "Mi dispiace."
L'aria risuona non della piccola scusa di Jong-in, ma degli ansimi che fischiano nei suoi polmoni. Infilando una mano sotto la camicia inamidata di Jong-in, Kyungsoo gli conta il numero delle costole con l'indice. Lascia lungo il percorso piccole impronte di sudore appiccicoso e inizia, con calma, "Uno, due, tre..."
Jong-in sobbalza, trasalendo, mentre Kyungsoo gli bacia la sorpresa sulle labbra, "Shhh. Non essere dispiaciuto."
A Jong-in serve parecchio tempo prima di abituarsi ai tocchi di Kyungsoo, e alle sue mani che gli lisciano i fianchi con i palmi e lo avvolgono di calore e conforto, "È solo che io non riesco nemmeno ad amarti come si deve."
Kyungsoo sbuffa, premendo di più le dita tra le coste, e Jong-in scoppia a ridere. Kyungsoo allora gli afferra abilmente il viso con entrambe le mani e lo bacia in profondità, per un lungo lasso di tempo. C'è una vaga ombra violetta sotto i loro corpi mentre Kyungsoo si allontana, lasciando che le tinte dei suoi sospiri si accumulino fiacche.
"Jong-in, ascolta, non mi importa di fare l'amore. Va più che bene così. Stiamo già facendo l'amore."
Jong-in sotterra il viso nel cuscino. Kyungsoo lo implora. Jong-in svia lo sguardo. Kyungsoo lo costringe a guardarlo. Alla fine, Jong-in si arrende con una risata timida, "Mi stai uccidendo, hyung. Mi stai davvero uccidendo."
"Perché?"
Ma non viene alcuna risposta, così Kyungsoo pensa che forse è solo un'altra di quelle cose che Jong-in dice senza motivo. Una di quelle cose che viene e se ne va. Mentre il cielo imbrunisce, la domanda si dissolve insieme alla luce, e non ritorna più.
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"Dove se ne va un pensiero quando te ne dimentichi?"
"Non lo so. Scompare?"
"È troppo vago."
"Non sono uno scrittore."
"Non essere vago."
"Beh, muore. Il pensiero muore."
"E se io non volessi?" Jong-in abbassa e rialza il coperchio metallico dell'accendino, guardando la fiamma che scoppietta in cima al tappo di metallo. "Non lasciare che io muoia, hyung. Promettimi che ti ricorderai di me."
"Okay. Te lo prometto. Mi ricorderò di te."
"Per sempre."
"Per sempre."
Ci sono volte in cui la verità fa più male delle menzogne, e volte in cui la menzogna stessa è talmente dolorosa da squarciare il corpo di Kyungsoo.
"Mi amerai anche domani?"
"Certo."
"Promettimelo."
"Ti amerò anche domani e mi ricorderò di te per sempre. Ma ora dammi l'accendino prima che tu possa darmi fuoco all'appartamento."
Jong-in gli scrive una nota per sigillare quella promessa, "Il mio nome è Jong-in. Sono lo scrittore che vive nell'appartamento accanto. Ci vediamo domani, hyung. Non dimenticartelo!"
Kyungsoo ride per il punto esclamativo e Jong-in gli dà un pugno sulla spalla prima di rotolare insieme a lui nel letto, sotto le coperte, sotto un piccolo velo di speranza. Kyungsoo capisce che le menzogne sono tutto ciò che tiene insieme Jong-in, quindi immagina che può permettersi di mentire un po'.
La speranza finisce, alla fine, e la menzogna cade. La voce di Jong-in è fioca e isolata mentre farfuglia nei suoi capelli, "Ho solo due cose che mi rimangono su questo mondo, hyung. Solo te e la danza. È tutto quello che mi rimane e presto mi strapperanno via la danza dalle ossa, e, alla fine, mi porteranno via anche te..."
Kyungsoo lascia che Jong-in gli passi le braccia attorno al collo e lo abbracci. La fiammella si spegne e l'oscurità invade la camera. Fuori piove. Un tic-tac sul davanzale.
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Ci sono momenti in cui Kyungsoo nota come Jong-in, durante la danza, lasci una scia dietro di sé, non troppo evidente ma abbastanza visibile. Fardelli d'esitazione delle giunture, paura e desiderio. Come se i suoi muscoli si stiano allungando per raggiungere qualcosa che i tendini non vogliono toccare, come se stesse costantemente rincorrendo una qualche melodia che batte il ritmo più velocemente di lui. Jong-in probabilmente ne è a conoscenza: il barlume di frustrazione e il dolore che si dilata nelle pupille non sono fraintendibili.
Ma alla fine, anche quei brevi momenti scompaiono. Non c'è più frustrazione o dolore, nessun movimento, nessuna fatica, non davvero. Solo un'apparizione che siede dall'altra parte del locale. Che si disintegra lentamente in piccole particelle di polvere e luce.
Ci sono momenti in cui, mentre canta, Kyungsoo si rende conto del pugno aperto e poi serrato di Jong-in. Il morso lascia il segno sulle proprie labbra, sugli occhi abbattuti e le spalle abbandonate. Tutto si frantuma non con un rumore, ma con un inevitabile ansimo nell'aria. Gentile, costante, inevitabile.
E in ultimo, la frase nell'album che descrive Jong-in come un ballerino diventa una bugia, perché Jong-in non balla più. E non è nemmeno uno scrittore. Non è più l'uomo della pagina. Non sembra più nemmeno umano, forse è un cadavere che non fa altro che ripetere alla fine di ogni giornata, "Hyung, ti ricordi quando..."
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Kyungsoo oscilla tra l'essere soffocato o scaldato da una notte di mezza estate quando mette piede in ascensore. Lo sconosciuto già all'interno annuisce in un saluto terso. È il 12 luglio, in un momento in cui il mondo vive sotto la luce traballante dei lampioni, le urla ubriache e le sporadiche risate notturne.
Appena tornato dal locale, Kyungsoo prova a contrastare il cocktail di fumo metallico e lo spesso odore dell'alcool che gli è rimasto impregnato nei capelli. Gli ultimi riccioli di sassofono si annidano sulle dita e il beat del cinquillo persiste sotto la sua pelle, ma niente di tutto ciò può colmare il vuoto che aleggia tra lui e lo sconosciuto.
Lo sconosciuto, con una sigaretta spenta tra i denti, si volta per primo. La scarsa luce dell'ascensore lo illumina di un giallognolo malaticcio e lo avvolge di un pesante velo di torpore. Kyungsoo si domanda - il cinquillo che continua a pulsargli nelle vene - se la pelle di quell'uomo sia fatta di plastica così come sembra.
"Caldo. Il tempo. È caldo," dice, porgendo una mano che Kyungsoo afferra con esitazione. La sua stretta è stranamente fredda, le dita lunghe e le unghie tagliate corte, la pelle coriacea è tesa sulle congiunture scarne delle dita. Ma più di quello, Kyungsoo nota che sta tremando. I suoi denti stanno battendo e a mala pena riesce a incrociargli lo sguardo.
"Uhm," mormora Kyungsoo. Vorrebbe chiedergli se sta bene, perché sta tremando in quel modo, ma tra gli scricchiolii dell'ascensore che sale e lo scoppiettio della lampadina fluorescente sopra le loro teste, la voce di Kyungsoo gli esce più acuta di quanto dovrebbe essere, "Sì. Fa caldo questa notte."
Lo sconosciuto non dice altro. Si appoggia invece alla parete dell'ascensore e lo fissa, gli occhi che scorrono dall'alto in basso lungo la sua figura. È il tipo di sguardo che lo fa stringere nella giacca, sebbene il sottile strato di cashmere non lo possa nascondere molto dallo sguardo indiscreto dell'altro. Il tempo si blocca finché le porte non si aprono, e Kyungsoo rilascia l'aria dai polmoni senza essersi reso conto di averla trattenuta per tutto il tempo.
Solo dopo aver raggiunto il proprio appartamento ed aver notato che l'altro l'ha seguito per tutto il tragitto, Kyungsoo si rende conto che forse si sono già incontrati.
"Ti conosco?" chiede infine, l'eco della voce turbata risuona lungo il corridoio.
Lo sconosciuto si è fermato sulla porta accanto e ha iniziato a far roteare attorno all'indice un mazzo di chiavi. Una lama di luce lunare filtra dalle ringhiere e fa luccicare qualcosa sul suo vestito. Kyungsoo nota un paio di gemelli, lucidi e costosi, troppo costosi per qualcuno che abita in questo tipo di posto.
"Tu che dici?" le labbra dello sconosciuto si increspano lentamente in un ghigno.
Kyungsoo inizia a pizzicare ansiosamente i fili all'interno dalla tasca. Non si ricorda di aver visto il volto di quella persona nel proprio album di fotografie. Ma forse ha saltato una pagina. Potrebbe essere successo. Fa per recuperare in fretta la borsa ma la risata sguainata dell'altro lo blocca, "Allora non ricordi. Proprio nulla?"
"Che? Cosa dovrei ricordarmi?"
"Niente. Davvero, niente," ride lo sconosciuto, o forse singhiozza, mentre si appoggia alla porta dell'appartamento di fianco e scivola giù, giù, giù. Anche nell'oscurità, il barlume di paura che luccica dal suo sorriso storto è visibile. Lo rende più giovane di quanto sembri, in una maniera quasi triste.
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L'anguria sa di finestre sudice e l'aria di qualcosa di invisibile, di una melodia indistinta che si decompone nelle vene. Kyungsoo fatica per deglutire. Tutto è impercettibile oggi, traballante sul bordo dell'esistenza.
"Jong-in" dice, scavando attentamente col dito per raggiungere i semi neri, "Perché sei così silenzioso?"
"Lo sono sempre stato," risponde Jong-in.
Sono seduti a gambe incrociate sul davanzale di Kyungsoo, con i muri ammuffiti dietro le spalle e una campagna di edifici eterei che si estende a vista d'occhio di fronte. Kyungsoo ha l'impressione di trovarsi sul set di un film fatto di polvere e sogni infranti. Ci deve essere un mondo vero là fuori, dove la risata non sembra una cosa impossibile da vedere sul volto di arida desolazione di Jong-in.
"No, non è vero."
"Non puoi saperlo. Non te lo ricordi."
"Perché sei così arrabbiato?"
"Non lo sono."
"Lo sei."
Jong-in morde con rabbia un pezzo di anguria. Rivoli di succo gli corrono giù dai lati della bocca e lui li asciuga malamente con il dorso della mano. È arrabbiato - così tanto da essere evidente, pensa Kyungsoo, e forse è più che arrabbiato. Aspettando pazientemente, Kyungsoo raccoglie il suono di Jong-in che morde, mastica, ingoia, annaspa per un po' d'aria. Ma Jong-in non spezza la routine, continua solo a mangiare sempre più velocemente.
"Ascolta, cosa ho detto di sbagliato? Jong-in, io voglio avere una relazione con te ma tu non puoi essere sempre così -"
"No, hyung. Io posso, perché noi non abbiamo nessuna cazzo di relazione," sbotta di colpo Jong-in, fragile e freddo, "E non avremo mai una relazione. Lo capisci, vero? Puoi provare quanto ti pare ma non c'è modo per cui ti ricorderai di me. È così e basta."
Kyungsoo non vuole piangere, ma un singulto gli spezza la facciata inespressiva e rovina tutto. Jong-in si arrabbia ancora di più, "Tu non hai motivo per essere arrabbiato. Tu ti svegli ogni mattina e sei tutto felice e contento ma io?"
"Mi disp-"
"Io ti amo, maledizione, ma mi devo ancora presentare ogni cazzo di mattina e capisci come devo sentirmi? No, non puoi capirmi, perché tu non mi ami davvero. Senza tutte le mie note gialle non ci sarebbe nulla. Non c'è proprio nulla. Sono solo uno sconosciuto per te, e questa relazione è solo una farsa. È solo un altro romanzo. Una fabbricazione. Tutto. Io non sto nemmeno scrivendo un cazzo di libro, lo sto vivendo."
E dopo una lunga pausa, "Mi dispiace," si srotola infine, da uno dei due. O forse da entrambi.
"Due notti fa, sono venuto nella tua stanza e ho tolto tutte le note che riguardavano noi, e ieri, ho provato a vedere se ti ricordavi di quella notte in cui si siamo incontrati per la seconda volta... bastava anche solo un piccolo barlume nei tuoi occhi... ma ovviamente..."
Jong-in allaccia le dita a quelle dell'altro, sbavature appiccicose di anguria macchiano i suoi palmi sudati. "I fatti sono questi. Io sto per morire. Un giorno ti dimenticherai di noi. E poi, il giorno dopo, ti dimenticherai di me. Ma non per via dell'amnesia. Ma per colpa del tempo. Perché è questo quello che fa il tempo. Si porta via i ricordi pezzetto dopo pezzetto. Prima quelli più insignificanti, e poi quelli importanti... e poi col tempo, prima che te ne accorga, non ci saranno più, e ti renderai conto che manca qualcosa solo quando -"
"No, no, Jong-in, non andrà così... la mia testa è difettosa ma il mio cuore," Kyungsoo preme entrambe le loro mani sul proprio petto, e inspira profondamente, come se l'aria potesse riempire la distanza che li separa. Il calore di Jong-in si infiltra sotto la propria camicia e gli alleggerisce lo stomaco, schiudendo le porte di un mondo che gli era sconosciuto, "Il mio cuore funziona bene. Mi ricorderò di te lì. Non mi ricorderò niente di te, ma se tu sei ferito anche il mio cuore lo è. Quando ridi, anche il mio cuore ride. Posso amarti anche senza ricordi, quindi resisti. Ti supplico, resisterai?"
Dopo un lunga lotta, Jong-in riesce a forzare un sorriso ma subito trema, e infine si spezza mentre dice, brutalmente, "Non è un romanzo d'amore questo, hyung. Non funziona così." Quindi inspira, e l'ultima frase non esce come un botto ma più come un sussurro, "Non lo vedi, hyung? La nostra fine è scontata. È sempre stato tutto solo abbozzato sin dall'inizio, da ancora prima che ci conoscessimo."
Sebbene Jong-in aspetti una risposta, sebbene entrambi la stiano aspettando, Kyungsoo non ha nulla da dire. I singhiozzi gli scuotono il corpo in maniera brutale e orribile e non riesce a far fuoriuscire la minima protesta quando Jong-in dice, "Sai... un giorno io non potrò più toccare il tuo viso o parlarti. Starò lì... disteso, mentre ti guarderò piangere con occhi sbarrati, il corpo intorpidito e, e la mia mano attorno alla tua... tu mi terrai la mano come fai ora, ma sarà fredda, e farà male, più di quanto non lo faccia ora. E quando quel giorno arriverà, hyung, promettimi che mi lascerai andare. Tornerai a casa, e toglierai tutte le margherite dai -"
"No."
"Perché, ascolta, hyung. Non ti meriti..." il pomo d'Adamo si alza, si blocca, e non vuole più tornare giù. La voce si spezza. Kyungsoo si rende conto di colpo che anche Jong-in sta piangendo. Che ha pianto per tutto il tempo, forse anche da prima che lui si svegliasse, "Vedi, le margherite appassiscono..."
"No," Kyungsoo gli afferra entrambe le mani, raccoglie tutte le ossa sbriciolate e i tendini sfibrati e, senza fiato, mormora piccole preghiere sulle sue nocche deboli, "No, no, no."
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Tra i mesi e i secondi, Kyungsoo perde la cognizione del tempo che passa e dimentica come leggere le lancette dell'orologio e i calendari. A volte, si dimentica anche la data. Altre volte guarda fuori dalla finestra e si domanda che stagione sia. L'album fotografico non è più aggiornato da tempo e lui non ha idea se ha venti o venticinque anni perché tanto non importa. Lui si risveglierà sempre nello stesso punto, e questo rimarrà così per sempre.
Ma quando Jong-in arriva, tutto si risistema. È l'ultimo mese dell'autunno. 2013. Ha venticinque anni, quasi ventisei, ed è così innamorato che fa male. Fa male perché è già l'ultimo mese dell'autunno, perché l'estate è finita e lui non se la ricorda, perché quello è il tipo d'amore che lo rende avido e arrabbiato e triste per ogni cosa che non può avere.
Il tipo d'amore che lo fa aggrappare a Jong-in alla fine di ogni notte e che gli fa implorare di potersi ricordare di tutti gli oggi, e gli ieri, e...
"Domani," lo interrompe Jong-in. Kyungsoo pensa che odori un po' di iodio o antisettico, come le lenzuola d'ospedale. "Tu ti ricorderai del domani. Io posso ricordare tutti i nostri ieri e tu ricorderai tutti i nostri domani. Sarà fantastico."
Kyungsoo non ha più espressione, "Non ha senso. Come fai a ricordarti del domani?"
"Beh," Jong-in si rilassa tra le braccia di Kyungsoo, si accoccola sulla curva del suo petto e la guancia gli scivola contro quella dell'altro, "Domani mi ricordo che andremo al mare, e?"
"E cosa?"
"E ti ricordi cosa faremo?"
"Jong-in, che diavolo stai dicendo, come fai a ricordarti di qualcosa che non è ancora -"
"Shhh. Vediamo. Io mi ricordo che l'acqua sarà in fiamme per la luce. Il sole sorgerà, tutto viola e rosso tra le nuvole. Tu canterai 'My Lady' e i piedi si sotterreranno nella sabbia mentre mi guardi calciare l'acqua. Io ballerò, e tu canterai. Inciamperò e tu accorrerai per acchiapparmi. Notando poi quanto sei bello, avrò l'impulso improvviso di stenderti in una posizione compromettente. Faremo l'amore proprio lì, così che ci sarà sabbia ovunque e tu ti spaventerai, ovviamente, e farai il bucato quattro volte, strofinando tutto con cura... ma quello succederà dopo, ovviamente... prima ceneremo seduti sul tettino dell'auto, pigri e lenti. Potremo farci degli hamburger, con un sacco di formaggio..."
Kyungsoo si lamenta, "E guarderemo il crepuscolo. Io continuerò a cantare e tu mi prenderai per mano, trascinandomi giù dal lettino. Balleremo insieme. Rideremo. Tu riderai più forte ma io più a lungo. Ci saranno zanzare ovunque, probabilmente. Io vorrò tornare ma tu vorrai restare, perché sei fatto così, e allora io ti costringerò e tu tenterai di resistere ma alla fine mollerai, perché ti darò un pugno. O forse io mollerò, quando mi prenderai la mano e mi spingerai e bacerai davvero intensamente."
Jong-in gli afferra la mano e si avvicina al punto che Kyungsoo riesce ad avvertire il suo fiato sulla lingua, "Così?"
"A che stai pensando ora?"
"A quanto voglio rimanere così."
Ci sono domande che Kyungsoo non gli pone. Non chiede a Jong-in se potranno restare così per sempre, o quanti domani gli restano, perché a volte la verità è troppo accecante. Lui può solo aggrapparsi ai secondi, ad ogni gesto, contatto, ad ogni sillaba. Jong-in gli arriva in secondi. Tutto si misura in secondi.
Se solo i secondi durassero abbastanza.
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Anterograde Tomorrow
Fanfiction{KaiSoo - traduzione} « Kyungsoo è bloccato nelle ore mentre Jong-in implora i secondi. Perché il tempo si ferma per qualcuno che non può ricordare e corre per qualcuno che non può sfuggire alla morte. » ___________________________________