Quando Kyungsoo si sveglia il giorno successivo, però, loro non vanno al mare. In effetti, non c'è più nessun 'loro'.
Non ci sono più note gialle sui muri, nessuna parola sull'ultima pagina dell'album, nessuna posizione compromettente o hamburger sul tettino della macchina. C'è solo Kyungsoo che si affretta sugli scalini diretto alla fabbrica, che mangia zuppa ad un tavolo vuoto, che aspetta le sette per uscire sul terrazzo con gli occhi fissi sul balcone di fianco e una strana sensazione che qualcosa manchi.
Mentre intona una melodia sotto le luci indistinte del palco, fissa una sedia vuota dall'altra parte del locale e si domanda cosa significhi quel vuoto che si sente dentro, e perché tutte le note gli fuoriescono nell'ottava sbagliata. Minseok prova a sistemargli il volume per nascondere gli errori. Ma rinuncia dopo la pausa, "Che ti prende?"
"Non lo so," farfuglia Kyungsoo. Oggi non è successo nulla fuori dall'ordinario. Tutto è andato secondo le note appuntate sull'album.
"Dov'è lo scrittore? Kim Jong-in?"
"Lo scrittore?" è quello che Kyungsoo voleva domandare, ma gli esce solo un sussulto di panico inspiegabile e un dolore troppo grande per poter essere descritto. D'istinto, recupera l'album, sfoglia di nuovo le pagine, di nuovo, e di nuovo ancora con quello stesso gemito tremante, "Non conosco nessuno scrittore."
Un mazzetto di margherite pressate scivola fuori dalla copertina posteriore dell'album. Kyungsoo si spezza. E non c'è nessuno a sorreggerlo questa volta.
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Si sveglia un giorno di ottobre per dipingere di verde le pareti, di quel colore di erba sintetica che non muore mai. Ottobre secca il mondo ad ogni tramonto, finché non puzza di foglie decomposte e promesse dimenticate. Con ottobre arriva anche quella pioggia incessante che lava via le impronte e porta nuovi clienti al locale.
Si sveglia in un giorno di novembre con la neve accumulata fuori dalla finestra. Un impulso familiare di soffocare il viso nel cuscino e piangere come se non ci fosse più un domani si incaglia nelle budella. Novembre porta con sé giorni che svaniscono nell'aria sottile e notti che diventano l'inizio della fine e la fine dell'inizio. Nei giorni di novembre i domani smettono di arrivare. In un giorno di novembre si domanda da quant'è che vive così, e quanto ancora continuerà a vivere così, quanti domani restano prima che il tempo lo lasci andare.
Si sveglia in un giorno di dicembre - mancano quattro giorni al Natale - quando qualcuno gli bussa alla porta. Il buio ha ingoiato l'appartamento mentre si dirige lungo il corridoio per aprire, le dita che tastano il muro mentre schiava la porta e la apre e...
"Hyung," ansima il ragazzo sull'uscio. Quello che si imprime dentro Kyungsoo è una fusione di labbra cineree e occhi gonfi, un tremolio sotto ad un camice d'ospedale, nulla che gli ha salvato i capelli dall'essere bagnati di neve e ciabatte di plastica ai piedi. Il ragazzo forse sta provando a sorridere, le tracce di quello sforzo gli tirano tristemente i lati della bocca, ma tutto svanisce quando prova a muovere la mascella di nuovo, "Hyung," ed escono solo singhiozzi, "Hyung, hyung..."
Un'enorme e inesplicabile corrente calda di sollievo lava l'interno di Kyungsoo, sebbene non sia abbastanza per non fargli gracchiare, esitante, "Chi sei?"
Una pausa.
"Ovvio, ovvio che avresti dimenticato. Che stupido che sono..."
Trattenendo il respiro, Kyungsoo guarda con curiosità - o forse con un'indefinibile empatia - qualcosa sgorgare dagli occhi già arrossati del ragazzo. Ed è terrificante come quella costruzione perfetta di ossa si possa spezzare al rallentatore con quella facilità. Il ragazzo si abbandona ad un tremito alla volta, dipanandosi sulle cicatrici, e si abbandona ad un eruzione di singulti silenziosi. Gli avambracci asciugano le lacrime e l'intero petto è scosso da un dolore inconsolabile. Alla fine ingoia tutto, rumorosamente.
Fa un piccolo gesto di saluto con la mano, e sembra così fragile, "Scusami per il disturbo. Ho solo pensato... in caso ti fossi ricordato... ma, è solo che... non importa. Ora me ne vado..."
Non si sente altro se non il silenzio dei fiocchi di neve che collidono tra loro e il luccichio di piccole sfere di luci - come fossero lucciole - quando Kyungsoo passa un braccio attorno al fianco dell'altro. Non pensa davvero alla sua fragilità quando lo spinge dentro l'appartamento. In effetti, non è nemmeno sicuro del perché stia dicendo queste cose, "No, sta nevicando. Ti presto una giacca. Altrimenti ti prenderai un raffreddore."
"Un raffreddore," lo imita il ragazzo, e la sua risata suona come la cosa più triste su questo versante dell'universo, "Mi prenderò un raffreddore."
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Lungo il percorso verso l'ospedale, il ragazzo si presenta col nome di Jong-in. Nel sedile posteriore del taxi, riferisce a Kyungsoo quattro fatti. Uno: è uno scrittore. Due: si sono già incontrati. Tre: lui sta morendo. Quattro: si è auto cancellato dall'album di Kyungsoo per quello.
"Mi avevano detto che mi restavano più sei mesi. Dodici, se mi fossi comportato bene," dice Jong-in, gli occhi riflessi nel tramonto fuori dalla finestra, "Quindi io ho voluto giocare a fare l'eroe. Mi sono fatto dimenticare, per salvarti da tutti gli ieri e lasciarti a tutti i tuoi domani ma... poi mi sono preso una polmonite. Non erano più sei mesi. Ma quattro settimane. Forse tre. E mi sono sentito perso. Essere bloccato negli ieri mentre tu avresti continuato ad andare avanti senza di me non mi sembrava più così allettante e... davvero, mi dispiace. Ti ho mentito. Non sono un eroe. Solo un codardo."
Le loro ginocchia si toccano. Kyungsoo non si sposta, "Io... ti piaccio?"
"Mi piaci?" gli fa eco il ragazzo, e ride di nuovo quando dice, "No, voglio solo essere in tutti i tuoi domani. Voglio che tu ti ricordi di me."
Kyungsoo sa la verità, e può dire che anche Jong-in la conosca. I desideri sono solo desideri, e le preghiere solo preghiere. La città che vola oltre il finestrino potrebbe anche brillare per il Natale e il calore dell'imminente nuovo anno, ma tutto quello non cambia il fatto che troppo è troppo. Certe cose sono solo impossibili da realizzare.
"Cioè, tu non devi ricordarmi per forza. Non mi illudo. Davvero, puoi anche lasciarmi lì all'ospedale e... è solo che... io volevo solo rivederti un'ultima volta, e l'ho fatto quindi ora... mi dispiace molto averti disturbato," ride Jong-in, e ogni volta che ride, Kyungsoo ha l'impressione che gridi, "Starai pensando che sono un pazzo o qualcosa del genere, sono apparso alla tua porta di colpo in quel modo."
"Non penso che tu sia un pazzo," lo interrompe Kyungsoo, e la tensione si allenta un po' quando gli esce un sorriso, "Penso che tu sia un idiota a scappare dall'ospedale vestito così quando fuori nevica."
La macchina si ferma. Ad entrambi gli ci vuole un po' per rendersi conto che sono già all'entrata, e che il tempo per Kyungsoo di lasciare andare l'altro è giunto. In quell'ultimo secondo sono tutti sorridenti ed educati e imbarazzati mentre si inchinano, come se si fossero incontrati per la prima volta e gli occhi rossi di Jong-in non significhino nulla.
"Allora," dice Jong-in, senza tremare con la giacca di Kyungsoo sulle spalle, ma continuando a parlare, "È che, è che io ho un'altra domanda, posso?"
"Sì?"
"Puoi dire il mio nome? Un'ultima volta."
Kyungsoo si schiarisce la gola e prova a dire quelle sillabe ma, non sa perché, gli si bloccano ai lati della gola. Non esce nulla. Allunga una mano per toccarsi il collo e si accorge di star tremando e che c'è qualcosa che non va nel proprio corpo. Il mondo gli crolla addosso al rallentatore e il proprio cuore gli sta davvero facendo male in petto.
"Jong..." Kyungsoo ingoia l'esitazione e si concentra sulle singole sillabe, "Jong-in"
"Grazie, grazie," e il secondo grazie gli è uscito a voce bassa, come se avesse altri significati nascosti. Forse significa qualcosa come: "Grazie per avermi incontrato, trovato, tirato fuori dai rottami spezzati. Grazie per avermi dato la vita, le lacrime, i desideri, decine e decine di note gialle che mi illuminano la stanza anche quando le serrande impediscono alla luce del sole di filtrare. Grazie per avermi insegnato con quanta luminosità possano brillare le lucciole."
Ma Kyungsoo non sente nulla di tutto quello. Tutto quello che sente è Seoul all'alba, i soffi del vento e il respiro di Jong-in che ansima per un po' d'ossigeno.
"Di niente," risponde freddamente. È un giorno freddo. Jong-in non trema più mentre esce dall'auto, richiude la portiera e guarda indietro.
Abbassando il finestrino, Kyungsoo si domanda perché ha la sensazione che il mondo stia collassando. Fuori, con il vento che gli irrigidisce le ossa e gli spezza il respiro, Jong-in gli sorride mite. Kyungsoo annuisce. Qualche sbuffo di neve scende dal cielo e scompare.
"Bene."
"Okay."
Hanno rinunciato alle parole, perché c'è una mutua comprensione che non ha bisogno delle parole. Le parole sono come piccole comete, che si lasciano alle spalle un regno di lacrime ed esitazione. Non possono permettersi le parole. Non ci sono lacrime o comete o esitazione in quello scambio tra lo sconosciuto e una memoria, ma solo sbuffi di neve. Kyungsoo allunga imbarazzato una mano oltre il finestrino. Jong-in la prende, ridendo per qualcosa di divertente che Kyungsoo non capisce, e poi si volta e si incammina. Le gambe sono troppo magre, la schiena troppo incurvata, la testa è tenuta alta in maniera troppo pietosa a dispetto delle dita tremanti.
Kyungsoo si rivolge all'autista con un sorriso di due tonalità più luminoso del normale, "Mi riporti a casa, per favore."
Prova a fingere che sia tutto normale, perché lo è. Dopotutto lui non conosce quel Jong-in. Non capisce il significato dei domani o degli ieri e, oltretutto, è già in ritardo per il lavoro. Con un profondo respiro di inverno pungente, Kyungsoo si dice che non vuole affatto affrettarsi, che non ci sono affatto delle lacrime che sta trattenendo, che gli stanno velando la vista anche se...
Scendono, inesorabili, una ad una, come sta succedendo a Jong-in. Kyungsoo grida così forte da non riconoscere la propria voce.
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In piedi in fondo alla stanza, Kyungsoo raccoglie il rimasuglio di parole lasciato dai dottori. Un qualcosa riguardo al trattamento d'ossigeno che non è abbastanza, riguardo antibiotici ma il fegato non resiste, riguardo il tenerlo sotto osservazione ma non è che cambi nulla, al massimo si può abbassare la febbre in una vasca di ghiaccio ma i suoi polmoni non si salveranno comunque. Lui non capisce nessuna di quelle enormi parole, composte da più sillabe come symbocort o teofillina o cortisone, ma capisce il suono della lancetta dei secondi tra le linee, il bip incessante dei monitor, le scuse senza senso, "Non c'è altro che possiamo fare."
"Non voglio morire," dice Jong-in, la voce attutita sotto la maschera dell'ossigeno. Kyungsoo si infila nella fessura accanto al suo letto e studia le vene di plastica che fuoriescono dalle caviglie di Jong-in. Sembra così piccolo, pieno di quei bordi emaciati.
"Non morirai. Hanno detto che starai bene."
"Bugiardo," ride Jong-in, voltando la testa dall'altra parte, e in quel momento Kyungsoo si rende conto che invece non sta realmente ridendo. Che sta piangendo. "Tra tre settimane ci sarà un'altra persona in questo letto. Quattro, al massimo. Ho la polmonite. Oltre alla fibrosi ho una cazzo di polmonite."
"Starai bene," insiste Kyungsoo, sebbene Jong-in si sbagliava sulle settimane perché gliene restano al massimo due. "Non hai niente che non va."
"No," Jong-in chiude forte gli occhi. Kyungsoo non sa che altro fare se non alzarsi e passargli le dita sul petto.
Jong-in sobbalza, "E ora?"
"Ora scrivo una nota per Dio. Devo farlo. Non può portarsi via questi polmoni. Tu ne hai bisogno," decide Kyungsoo, continuando a imprimere linee invisibili sulla sua carne, "Ne hai davvero bisogno."
Cade il silenzio, e una volta caduto non si rialza più. Il mormorio di Jong-in è solo un fantasma dietro al ronzio dell'aria condizionata.
"Quando ho sentito per la prima volta che sarei morto, ho pensato... finalmente, grazie... ma ora, ora io... io voglio solo un altro millisecondo... io voglio passare più tempo, con te, hyung... non ti ho ancora amato, non ho ancora finito..." e chiude gli occhi poco prima che Kyungsoo abbia la possibilità di prendergli la mano e dirgli che hanno abbastanza tempo. Che non c'è fretta, che andrà tutto bene, perché ora lui tornerà a casa e scriverà tutto: Kim Jong-in, ala sinistra, stanza 2-20, Ospedale Centrale di Seoul, condurre il taxi sull'entrata a sud, non è ancora finita. Così domani potrà tornare, e anche il giorno dopo, e quello dopo ancora...
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"Mhn, possiamo provare a tatuare il mio nome... sulla tua faccia," dice Jong-in, facendo un profondo respiro nella cannuccia che ha in bocca. Poco prima, l'infermiera lo aveva sistemato su una sedia a rotelle, dicendogli che andava molto meglio e che poteva uscire dalla camera. Prova a passeggiare lungo il corridoio, gli ha detto. E quindi eccoli, due piccole figure avvolti in spessi strati di lana e cashmere, che respirano l'aria stagnante di corridoi infiniti.
I passi costanti dei talloni di Kyungsoo sono qualcosa di confortante, o quasi, un testamento della loro esistenza: sono ancora insieme, entrambi; si stanno facendo strada verso un altro giorno.
"Ma io non posso vedermi la faccia però."
"Beh, non possiamo farlo sulla mia. Sembrerei... orrendo con il mio stesso nome sulla... faccia," ridacchia Jong-in, annaspando per più aria e allontanando la mano preoccupata di Kyungsoo, "Cioè, la stampa già pensa... che sono un narcisista. Immaginati se... scoprono che ho un fottuto tatuaggio..."
Non dicono altro, continuano a guardare il passaggio degli altri pazienti. Accolgono una quiete che non temono più, sebbene alla fine Jong-in domandi, "Andrai... al locale questa notte?"
Kyungsoo fa spallucce, "Forse oggi no."
"Hai detto... la stessa cosa... ieri," sorride Jong-in, gli occhi un po' melanconici sotto i gemiti occasionali della maschera dell'ossigeno, "Domani, va al locale. Tu... devi cantare. È quello che... fai. Canti. Vivi la tua vita."
"Sto vivendo con te," protesta Kyungsoo, "Posso cantare anche ora."
"No, non renderti ridicol-"
Ma Kyungsoo canta lo stesso, la melodia congelata esce delicata e traslucida sebbene l'atmosfera soffocante, disfacendo un poco per volta lo sguardo torvo di Jong-in. Esitanti, le dita di Jong-in iniziano a battere il tempo sul bracciolo della sedia a rotelle.
Non gli ci vuole molto prima di rendersi conto che Jong-in non sta semplicemente tenendo il tempo, ma ha iniziato a creare un ballo magico in aria. E mentre Kyungsoo gli si accovaccia di fronte, gli occhi in contatto, tutto diventa perfettamente in sincronia, e la punta delle dita di Jong-in svolazzano sulle proprie nocche. Leggere e disinvolte.
"Arabesque," sussurra, le parole emergono come una foschia bianca sulla plastica. La mano fa un piccolo saltello. "Grand jeté," e un giro di bacino, unghie che ruotano e scavano il palmo e fanno ridere Kyungsoo, "fouetté en tourant," sull'orlo del palmo e sul dorso, "Ecco un sissonne, un, due, e..." entrambi smettono di respirare un secondo, quando le dita di Jong-in attraversano il polso di Kyungsoo, su per l'avanbraccio, il braccio, la spalla, la clavicola, il collo, il labbro inferiore, si fermano.
Si scambiano un sorriso, nel quale Kyungsoo imprime un bacio sulle sue dita, fondendosi facilmente sebbene la carne sia fredda, violacea. Il rossore di Jong-in è quasi troppo luminoso contro lo sfondo bianco del suo camice. Kyungsoo pensa che forse sta brillando, forse come un piccolo insetto infuocato.
Col tempo la canzone finisce, e l'infermiera li richiama in camera perché l'aria non filtrata non fa bene ai suoi polmoni. Niente fa bene ai suoi polmoni.
"Notte, hyung," respira Jong-in mentre lo portano via per la dose giornaliera di morfina. Gli occhi stanno per chiudersi, e Kyungsoo sa che si sta aggrappando ai secondi quando dice, "Ti amo."
"No, Jong-in. Dimmi che ci rivedremo domani."
"Hyung, potrei non sopravvivere alla..."
"Dimmi. Solo. Che tu," e la voce di Kyungsoo vacilla di colpo, le parole e i pensieri collassano all'improvviso. Gli torna in mente il modo in cui le dita di Jong-in hanno iniziato a ballare così esperte sul proprio braccio, così naturali, come se fossero nate solo per fare quello, e sembra tutto così surreale a questo Jong-in che giace eterizzato sotto lenzuola bianche e lampade fluorescenti, questo Jong-in che probabilmente non ballerà più, "...domani. Domani..."
Jong-in poggia una mano sul collo di Kyungsoo, lo tira un po' più a sé, e gli asciuga le lacrime col pollice, "Okay. Ci vediamo..."
I fili di fluido che scorrono nelle vene di plastica lo portano via prima dell'ultima parola.
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Non ci sono più ieri, e, gradualmente, nemmeno più oggi e nemmeno domani. Il tempo è agli sgoccioli. Le ombre stanno diventando troppo lunghe, la luce brilla troppo debolmente, la canzone sul monitor sempre sull'orlo della fatica. Ridacchi continuano ad uscire da sotto le ciglia di Jong-in, gonfiandosi lentamente in risate rauche. Troppo forti. Troppo di fretta. Ride come se temesse di non avere più la possibilità di ridere ancora. Come se temesse che tutta la luce si spegnerà se non continuerà ad illuminare il display. Quindi Kyungsoo gli passa il braccio attorno al proprio fianco - quando nessuno li vede - e preme le loro fronti insieme. Gli dice che è tutto okay. Che non c'è bisogno che rida così forte. Che capisce, qualunque cosa voglia dirgli.
"Sto vivendo con del tempo preso in prestito... quanto pensi che durerà?" riflette un giorno Jong-in mentre l'infermiera poggia un enorme tubo di metallo sulla sua schiena. Fa un respiro profondo e trattiene il fiato mentre il sangue e il pus fluiscono in un contenitore di plastica.
"Non lo so," risponde piano Kyungsoo.
"In quei momenti in cui inizi... a pregare... ce la farò per l'inverno? ...faremo il kimchi insieme?"
"Vuoi del kimchi?"
"E poi vuoi di più... ce la farò a... baciarti sotto al vischio? E... ce la farò... per l'anno nuovo? Perché voglio, voglio davvero mangiare... le tortine di riso, con te. Ce la farò... per i nostri compleanni...? Voglio vedere... quel neo che hai sotto l'orecchio... quando mi chino su di te... e ti sussurro all'orecchio... ti faccio vedere... vere luc... ciole..."
"Smettila, Jong-in, ce la farai a fare tutto. Ce l'abbiamo già fatta per il vischio, oggi," insiste Kyungsoo, indicando le scatole incartate dall'altro lato della stanza, "Abbiamo il Natale. E se ce l'abbiamo fatta per il Natale ce la faremo anche per l'anno nuovo e per i nostri compleanni, e posso mostrarti il neo ora se -"
"E non è mai abbastanza, perché... più ho... di te, più io... realizzo che mi manca ancora così tanto... così tanto di te... di noi..."
"Quando lo celebriamo," lo interrompe Kyungsoo, "Celebreremo tutto insieme, okay? Okay? Ma, non piangere, Jong-in..."
"Sei tu che stai piangendo, hyung," ridacchia Jong-in, rivoli di liquido gli scorrono dalle grinze degli occhi. Kyungsoo non sa se quelle sono lacrime che stanno cadendo su di lui, o lacrime che stanno uscendo da lui.
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Non può parlare più, gli spiega la capo infermiera in un sussurro, come se stesse rivelando un terribile segreto, i suoi polmoni non gli forniscono più ossigeno sufficiente per farlo ed è meglio non agitarlo. Ma a Kyungsoo non importa, perché non ha bisogno di sentirlo parlare. Non ha bisogno di toccare Jong-in, né di vederlo. Ha solo bisogno di stargli accanto. Di sapere che Jong-in continua a respirare e che lo può sentire quando canta per lui, che le sue labbra possono tremare appena ad ogni stupida battuta che Kyungsoo gli lancia addosso.
Kyungsoo non capisce quanto possa davvero conoscere quella persona, o perché le ginocchia gli vengano a mancare ogni volta che legge il numero della stanza di quello sconosciuto. E poi, non capisce anche molte altre cose. E dal numero di domande che Jong-in gli passa - graffiate malamente su piccoli post-it gialli - sembra che nemmeno Jong-in capisca.
"Un giorno guarderai al balcone accanto al tuo e non vedrai più nessuno stronzo rollarsi sigarette. Durante quei giorni, ti sentirai triste?"
Kyungsoo alza gli occhi dalla nota, battendo le ciglia riluttante, "Sono già triste. Mi manca vederti su quel balcone," e non gli sfugge lo shock che si registra nell'espressione di Jong-in.
"Come fai a sapere che sono io quella persona?" scrive Jong-in, così in fretta che la scrittura è illeggibile ma Kyungsoo capisce lo stesso cosa gli stia chiedendo, perché si sta facendo la stessa domanda.
"Me lo sentivo," sorride Kyungsoo, ed è così felice che finalmente sia riuscito a carpire qualcosa dalla memoria. Forse c'è speranza dopo tutto. Forse domani Jong-in riavrà i suoi polmoni e Kyungsoo la sua memoria, e il giorno dopo potranno ancora parlare di cosa hanno fatto domani. Parleranno di note idiote, con mani tremanti, occhi lucidi.
Questa notte va a casa col nome di Jong-in sulle labbra. Ripetendolo come una preghiera, ancora ed ancora finché non gli diventa naturale come respirare, lo porta nei propri sogni, prega Dio un milione di volte di lasciargli ricordare il suo nome. Per favore, di lasciargli almeno avere Jong-in, di lasciargli avere quel dolore durante il sonno senza portargli via il suo Jong-in. Non vuole sapere nulla, né il loro passato, né il futuro né i loro vizi e virtù. Vuole solo un nome. Un qualsiasi piccolo pezzo di Kim Jong-in.
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Quando Kyungsoo si sveglia, trova un intero assortimento di post-it accartocciati e appiccicosi nelle tasche, pieni di scarabocchi illeggibili di penna e matita. Sono scritti da un'allenata sebbene tremante mano, con linee curve e che a malapena sono leggibili. Liscia la prima nota sul palmo della mano, stirando con attenzione i bordi.
"Credi che ci sia un dio?"
"Se ci fosse un dio, pensi che mi concederebbe del tempo extra? Non troppo. Solo un'altra settimana, o anche solo un giorno. Qualsiasi cosa. Andrebbe bene anche solo un'ora. Un secondo. Voglio più tempo. Voglio solo più tempo."
"Stai piangendo."
"Avrei dovuto smettere di fumare prima, eh?"
"Smettila di essere così coraggioso, hyung."
L'ultima nota è verde e con i bordi consumati, le orecchie sugli angoli e scolorita, chiaramente molto più vecchia delle altre. La scrittura è più decisa, incisa con così tanta forza che le parole sono fisicamente impresse nella carta. Eppure, è così distinguibile che ne riconosce la grafia: "Il mio nome è Jong-in. Sono lo scrittore che vive nell'appartamento accanto. Ci vediamo domani, hyung. Non dimenticartelo!"
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Qualche volta, quando Kyungsoo guarda Jong-in sul letto d'ospedale, non è sicuro se stia guardando un riflesso o l'originale. È come se il tempo lo avesse scolorito dall'esterno, rendendolo trasparente, e ora non resta che un'ombra. Kyungsoo vorrebbe parlargli, ma l'infermiera dice che è improbabile che Jong-in capisca, quindi non può far altro che guardare il 'Jong-in' scarabocchiato sul dorso della propria mano e associarlo al 'Kim Jong-in' scritto sulla cartella clinica appesa in fondo del letto.
I secondi si riflettono in caleidoscopiche anime che aleggiano sulle lenzuola, e Kyungsoo le conta una per una, mentre Jong-in si muove nel letto. Flebilmente, gemiti fischiati si gonfiano tra loro mentre alza un braccio, e Kyungsoo lo afferra prontamente con entrambe le mani.
I primi mormorii di Jong-in sono quasi indistinguibili a causa dello sgorgare dell'aria nella maschera di plastica, e continua a ripeterli con accurata determinazione finché Kyungsoo capisce, "Sarai qui domani?"
"Perché?"
"Vieni domani, il tredici," dice il ragazzo, negoziando per ogni sillaba con profondi respiri d'aria, "Il nostro compleanno... doman... in media... il dodici... il quattordici... il tredici..."
Kyungsoo esita. Jong-in gli fa l'occhiolino. Tutto finisce troppo facilmente, ma loro continuano a trattenerlo insieme con una sottile stringa di speranza. Kyungsoo non va a casa oggi. Prega le infermiere di farlo restare per la notte e grazie ad un qualche miracolo loro acconsentono, sebbene gli dicano di fare silenzio, perché Jong-in ha bisogno di riposo. Perché Jong-in si sta attaccando alla vita attraverso niente se non una sottile stringa di speranza.
Prova a restare sveglio tutta la notte, per essere il primo a guardare Jong-in negli occhi domani mattina e dirgli, "Buon compleanno, a Kim Jong-in e Do Kyungsoo," senza dover prima leggere alcuna nota. Domani ha bisogno di salvare Jong-in. Deve salvarlo. Ricordarsi di lui.
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La luce penetra nel sogno di Kyungsoo, riflettendosi in qualcosa di freddo e salato, e forse compaiono anche dei talloni che scavano nel morbido avvallamento tra l'oceano e la spiaggia. Si volta, e la sabbia umida muta in freddo lino.
Quando apre gli occhi, il cocktail di ali di gabbiano e sfumature di blu viene rimpiazzato da una fragile linea verde che si staglia su un monitor nero, da una piccola finestra in fondo a una stretta stanza d'ospedale, da mattonelle di plastica. C'è plastica ovunque. Non è la sua stanza, e non ha la minima idea del perché si sia svegliato accanto al letto di uno sconosciuto. Ci sono delle parole scritte sul dorso della mano, ampie, scolorite, "Ricorda a Jong-in: il nostro compleanno domani (13 gennaio 2014)."
Kyungsoo si alza, la schiena che gli scricchiola e il collo indolenzito per essere stato tutta la notte appoggiato al letto, e in quel momento si rende conto che lo sconosciuto nel letto lo sta guardando, con un barlume di sorriso posato sul suo debole volto.
"Sì?" Kyungsoo batte le ciglia. Lo sconosciuto non risponde, sebbene, forse, i lati dei suoi occhi tremino appena. Forse i suoi pollici si contraggono. Kyungsoo guarda la cartella clinica in fondo al letto. Kim Jong-in.
C'è un omogeneo flusso d'aria che entra ed esce dal bizzarro apparecchio di metallo accanto al letto. Kyungsoo segue con lo sguardo i tubi di plastica che entrano ed escono dal naso di Jong-in. Sta per fargli una domanda, forse riguardo a quello strano messaggio sulla mano, quando qualcosa gli viene in mente e butta fuori un, "Buon compleanno, a noi."
Lo sconosciuto di nome Kim Jong-in sembra prendere un ultimo respiro d'aria. Le sue mani si contraggono nella presa di Kyungsoo e, lentamente, torna a dormire.
Kyungsoo inizia a pensar che sia naturale, che lo sconosciuto è probabilmente solo stanco, ma il bip costante del monitor dalle sottili linee verdi fa partire uno strano allarme, forte e rumoroso, e una scia di dottori e infermiere irrompono nella stanza e lo spingono lontano, troppo lontano, mentre provano a risvegliare lo sconosciuto. E lui capisce che qualcosa non va. Che è tutto sbagliato. Sbagliato, "Kim Jong-in, ore del decesso nove e ventisette, tredici gennaio, anno duemila e quattordici. Lunedì." È tutto sbagliato.
E solo quando Kyungsoo esce dall'ospedale, allora le lacrime gli sbattono in faccia, rompono la sua guardia e gli disintegrano irreversibilmente l'intero corpo in centinaia di pezzetti. Non ha idea del perché la fine del mondo sia giunta in una così bella giornata di gennaio, o perché stia piangendo in mezzo alla strada come se un domani non esisterà mai più. Perché il nome sul dorso della propria mano stia bruciando più di qualsiasi addio.
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È venerdì mattina presto, seconda settimana di luglio, è un orario in cui il mondo vive sotto la luce traballante dei lampioni, le urla ubriache e le sporadiche risate notturne. Ci sono solo loro in ascensore a quest'ora.
Appena tornato dal locale, Kyungsoo prova a contrastare il cocktail di fumo metallico e lo spesso odore dell'alcool che gli è rimasto impregnato nei capelli. Gli ultimi riccioli di sassofono si annidano sulle dita e il beat del cinquillo persiste sotto la sua pelle, ma niente di tutto ciò è abbastanza per distrarlo. E oggi il corpo si sente così vuoto, come se qualcuno lo avesse squarciato nel sonno e gli avesse rubato qualcosa dal cuore e poi avesse rimesso tutto insieme come prima.
Lo sconosciuto, con una sigaretta spenta tra i denti, si volta per primo. La scarsa luce dell'ascensore lo fa sembrare stanco, e magro, e brutto. Kyungsoo si domanda - il cinquillo che continua a pulsargli nelle vene - se la pelle di quell'uomo sia fatta di plastica così come sembra.
"Sei tu Do Kyungsoo?" chiede lo sconosciuto, non appena l'ascensore si apre.
"Sì," risponde Kyungsoo, uscendo esitante con l'altro che lo segue, "Ci siamo già incontrati?"
"No, non davvero," sorride lo sconosciuto, allungando una mano, "Sono Oh Sehun. Ed ero l'editore di Kim Jong-in."
Qualcosa dentro Kyungsoo si muove, ma non è abbastanza. "Piacere di conoscerti."
"Sono piuttosto impegnato, quindi te la faccio breve," dice Sehun, tirando fuori qualcosa di voluminoso dalla borsa e porgendolo a Kyungsoo. È un taccuino, realizza Kyungsoo, uno vecchio e con le orecchie sulle pagine, completamente macchiato da inchiostro liquido e grafite, "È l'ultimo romanzo di Kim Jong-in. Scritto di suo pugno e tutto il resto. Per te."
Alla fine Sehun scompare lungo il corridoio e Kyungsoo si ritrova seduto sul balcone, con la luna che gli graffia il taccuino poggiato sul ventre. Lo sfoglia fino ad arrivare all'ultima pagina, solo per controllare che non sia una storia triste, perché a lui non piacciono i finali tristi.
"Il mio nome è Jong-in. Sono lo scrittore che vive nell'appartamento accanto. Ci vediamo domani, hyung. Non dimenticartelo!"-FINE
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Anterograde Tomorrow
Fiksi Penggemar{KaiSoo - traduzione} « Kyungsoo è bloccato nelle ore mentre Jong-in implora i secondi. Perché il tempo si ferma per qualcuno che non può ricordare e corre per qualcuno che non può sfuggire alla morte. » ___________________________________