Chocolate dei The 1975 suonava nelle mie cufiette, accompagnandomi in quella che era la mia corsa mattutina. Le scarpe nere erano sporche, data l'attenzione che ponevo nel beccare giuste le pozzanghere. Faceva fresco, forse troppo. Naturale, erano le sei di mattina, ma non potevo farci niente: ogni scusa era buona per osservare Milano sotto le chiare luci del mattino.
Mi raccolsi i capelli rossi in una coda e feci un bel respiro. Ancora 5 minuti e potevo tornare a rilassarmi a casa. Non dimenticai però la mia tappa caffè, fondamentale per un buon giorno.
"Il solito, eh Eva?"
Mi chiese Paolo, il proprietario del caffè in cui andavo quasi tutte le mattine. Gli sorrisi.
"Ma certo, che domande! Cos'è la vita senza un caffè speziato?"
"Onestamente, non so come fai a berlo. Esclusa te, non ce lo chiede mai nessuno" fece una smorfia divertita.
Gli diedi un pugno sul braccio, pur sapendo che i miei gusti erano ampiamente discutibili.
Mi sbrigai a bere il mio caffè, poi camminai fino a casa. Mi precipitai sotto la doccia, felice di essere in orario, per una volta! Eh si, lo sarei stata se non mi fossi fermata mezz'ora davanti all'armadio. Mia madre bussò alla porta e entrò.
"Ti sbrighi?" chiese sistemandosi la giacca "Sai, ho un lavoro che mi aspetta"
"Cosa mi metto? Non ho niente di carino.." bofonchiai.
Rise, si sporse verso l'armadio e ne cacciò fuori un paio di jeans neri con lo strappo su un ginocchio e una normalissima T-Shirt bianca.
Una volta in macchina accesi la radio, ma lei la spense subito dopo.
"Allora? Raccontami" disse.
La guardai perplessa. "Raccontarti cosa?"
"Raccontami come va, che programmi hai questa settimana.. insomma, sono tua madre ma non vuol dire che non possiamo essere anche amiche!"
Eccola, stava per iniziare: lei vuole essere una brava madre per me, vuole che le parli, lei mi capisce bla bla, insomma, lei tutto!
Non mi lamento devo dire, è molto comprensiva e buona, ma per il bene di sua figlia poteva anche tenersi il marito invece di buttarlo via come uno scarto. Poteva pensarci due volte prima di tradire papà. So che non posso pretendere la perfezione, anzi, è una cosa che succede più spesso di quanto si pensi ma almeno poteva nasconderlo meglio.
"Non so cosa raccontarti mamma, non ho programmi apparte le verifiche e interrogazioni, ma sono sicura che non siano un argomento valido. Con Adam tutto bene, diciamo."
"Come diciamo?" chiese.
Ci avrei scommesso.
"Ma niente ma', tutto bene."
Che fatica! Per fortuna eravamo arrivate davanti al liceo. Le diedi un bacio veloce e scesi dalla macchina.
Quel triste edificio grigio attendeva di essere animato da noi bestie adolescenti, tutti scorrazzavano qua e là senza sosta. Chi fuma e chi suona la chitarra. Appena entrai notai Emma e la raggiunsi.
"Ma buongiorno!" disse appena mi vide. Le feci l'occhiolino.
"Hai fatto matematica?" sbuffai. Scosse la testa.
"uff, quella ci ammazza!"
Matematica, spagnolo, arte.. e finalmente la pausa. Non si può dire che detestavo la scuola, no, ma nemmeno l'amavo. Era una fatica.
Emma mi chiese di accompagnarla alle macchinette, più un ordine che una domanda.
Non voleva prendersi niente ovviamente, ma se avesse potuto si sarebbe presa quel bellissimo ragazzo del quinto anno. Inutile dire che non se la filava proprio, ma neanche un po'.
Era succeso qualche mese fa che le si era incastrata la merenda nella macchinetta e lui, da bravo ragazzo, trovò il modo di tirargliela fuori. Buffo come lei lo guardava e come lui non disse una parola. E davvero, neanche una. Così lo soprannominai l'uomo merendina.
"Forse se gli parli si ricorda che esisti" le dissi.
"La fai facile solo perché tu il ragazzo ce l'hai" mi guardò un po' arrabbiata.
"Ce l'ho perchò ho avuto il coraggio di parlarci" le feci la linguaccia.
Anche Adam era del quinto anno, ma non era in classe con l'uomo merendina. Adam faceva l'artistico. Non stavamo insieme da tanto, cinque mesi, forse. E' stata una fatica da parte mia, lui non aveva intenzioni nei miei confronti. Io già da subito, lui già da mai. E tutt'ora sembra così.
Dopo le lezioni mi avviai verso il parco, sapevo di trovarlo lì, sullo skate. Difatti era lì seduto sulla scalinata, lo skate sotto i piedi che si muovevano di continuo, una canna in mano. Mi misi di fianco a lui e appoggiai la testa sulla sua spalla.
"Ehi" sussurai con le labbra schiacciate sul suo collo.
"Ehi" rispose.
Le sue dita lunghe giocavano con quella sigaretta senza alcun timore.
"Com'è andata oggi?"
"Bene, perché me lo chiedi?" chiese un po' scontroso.
Alzai la testa e lo guardai in faccia, era una di quelle giornate.
" Dovresti smetterla di fumare questa roba, ti rende più insopportabile di quanto già sei. Volevo solo sapere, mi interessa."
Fece una risatina, non bella però.
"E va bene, ne parliamo questa sera. Passa da me, se puoi, mamma non c'è"
Gli lascai un bacio sulla guancia e mi diressi verso la fermata del mio autobus cercando di trattenere le lacrime. Non era una novità la sua indifferenza, erano parecchie le giornate così, ma non potevo pretendere che cambiasse. Io volevo stare con lui e così avevo scelto di sopportare quel carattere chiuso e cocciuto.
Tutte mi invidiavano, stavo con uno del quinto e non uno qualunque: Adam. Vorrei sapessero che non è come lo vedono loro. Che se potessi scegliere di non provare nulla per lui, lo farei senza dubbio.
Il pomeriggio lo dedicai ai compiti e alle serie tv. Non vedevo l'ora che bussasse alla mia finestra per potergli dare il bacio che quella mattina non gli avevo dato. Ed eccolo, incappucciato e con il naso rosso. I capelli ricci che gli scendevano da sotto il berretto, le labbra screpolate. Apriì la finestra e lui entrò senza esitazioni, era una routine a cui ci eravamo abituati. Una volta dentro si tolse le scarpe e si butto sul mio letto. Mi misi affianco a lui, con la testa sul suo petto. Il suo cuore aveva un battito strano, lo pensavo ogni volta.
" A volte ho l'impressione che non vuoi stare con me, sai.." bisbigliai, consapevole della discussione alla quale avevo appena dato il via.
Volevo sentirmi dire che ci tieneva, che gli piaceva stare in mia compagnia, ma non fu così. Non è mai così. Si mise seduto, le gambe incrociate e il tatuaggio sulla caviglia bene in vista. A vederlo così mi venne in mente la prima volta che l'ho baciato. Era la festa di capodanno, eravamo brilli e seduti sul pavimento del soggiorno di Amelia, una bottiglia che girava aveva appena indicato che avrei dovuto baciarlo.
In quel momento però, non c'era aria dei sentimenti di quella notte. Era freddo, non fece altro che dirmi quante ragazze gli andavano dietro, mi ricordò che poteva sostituirmi da un momento all'altro. Il che era vero, ma non capivo cosa aspettasse a farlo.
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Febelius
RomanceEva ha 17 anni, frequenta il liceo linguistico a Verona dove vive con sua madre. Da qualche mese sta con il ragazzo più desiderato della scuola: Adam. Il destino però le riserva molte sorprese, che potrebbero far vacillare tutte le sue sicurezze.