22 giugno 1988
«Vita in te ci credo, le nebbie si diradano, e oramai ti vedo, non è stato facile...»
I piatti abbandonati nel lavello, che cadono e sbattono tra la schiuma e per poco non si scheggiano.
Lo straccio preso per asciugare e poi buttato di fretta sulla spalla.
Gli zoccoli di legno e il loro sfiorare il pavimento in un ronzio infinito, quasi non si poggiano i piedi sulle vecchie piastrelle immacolate. Se non fosse per quel rumoraccio che racconta di quel peso poggiato di fretta, sembrerebbe solo un infinito volteggiare sul filo del cotto appena lucidato.
Le mani che finalmente trafficano frenetiche sulla vecchia radio, mani che scostano i capelli che ricadono sul viso, sfuggiti a quella crocchia improvvisata tenuta su solo da una penna mezza mangiucchiata.«Vita io ti credo, tu così purissima, da non sapere il modo, l'arte di difendermi...»
Il volume che si alza.
La voce che esce fuori di fretta, impaziente.
Voce che li anticipa, quei suoni... che nemmeno la aspetta, quella musica.
Voce stridula che neanche canta.
Voce che quasi urla tanta è la voglia di farle uscire le parole.
Parole sentite come poche.«...Anche gli angeli capita a volte sai si sporcano, ma la sofferenza tocca il limite, e così cancella tutto e rinasce un fiore sopra un fatto brutto...»
Incurante del ritmo, dell'intonazione, i fianchi che dondolano come animati da una melodia mai sentita; il ticchettio di uno zoccolo che fa a botte con la radio; lo straccio preso a mo' di microfono e la voce che cresce, cresce e cresce.
«...Siamo angeli con le rughe un po' feroci sugli zigomi, forse un po' più stanchi ma più liberi, urgenti di un amore, che raggiunge chi lo vuole respirare...»
Il portone che all'improvviso si apre e poi sbatte, il fiato che si spezza in gola, il cuore che trema e le mani che premono sul petto, che provano a placarlo, quel muscolo impazzito.
Lo straccio che scivola via dalle mani.
«Mamma!»
Perso il microfono, perso il ritmo, perse le parole.
«Bell' e mamma! Sei tu! Mi hai fatto spaventare!»
E il cuore non trema più, di fronte a quel bambino che la fissa con quegli occhi tanto belli e tanto grandi, grandi quanto il mare, azzurri quanto il cielo che si perde in mezzo a quel mare.
«Vieni qua, amore mio, dammi un bel bacio!»
Si gonfia quel cuore. Più lo guarda più si gonfia. È così bello, con quella testa piena di capelli, di quei ricci disordinati, così neri, così folti.
Quant'è bello il suo bambino.
«Che stavi facendo, mamma?»
La voce del suo ometto che viene fuori lontana, come un flebile fruscio trascinato dal vento, tanto lo stringe forte tra le braccia, così tanto che quasi lo soffoca.
A volte il troppo amore quasi soffoca.
«Stavo lavando i piatti. Ho preparato i biscotti con le gocce di cioccolato, vai a chiamare a tuo fratello così vi preparo la merenda.»
«Ma non stavi facendo i biscotti, mamma! Stavi strillando tanto forte quando sono entrato! Sembravi una delle galline di nonno Lele!»
E una risata li fa tremare forte tutti e due mentre se ne stanno ancora stretti in quell'abbraccio.
«Non stavo strillando, amore di mamma, e non sono una gallina! Stavo solo cantando.»
«Non sai cantare tu, mamma!»
Le labbra imbronciate, l'espressione intensa, concentrata mentre pensa, riflette su tutto quel cantare.
«Lo so, a mamma, lo so che non sono proprio capace di cantare, ma quella canzone mi piace assai e proprio non ci riesco a trattenermi.»
«Perché ti piace assai, mamma?»
Perché?
Nemmeno lo sa il perché.
È così e basta. È una di quelle cose che senti a prescindere, che non hanno un senso. È come quando ti innamori a prima vista, follemente, senza via di scampo.
Un colpo di fulmine quella canzone. L'ha sentita e se ne è innamorata, tanto che quasi l'ha consumata, quella cassetta, a furia di farla girare e girare avanti e indietro nello stereo.
Quasi.
«Perché è bella.»
«Perché è bella, mamma?»
E deve trovarla una risposta a quel perché altrimenti, lo sa, quel perché si moltiplicherà e moltiplicherà all'infinito, senza tregua.
«Perché racconta della vita, degli errori, degli sbagli. Dice che tutti possono sbagliare, anche gli angeli e...»
«Gli angeli? Come quelli che stanno in cielo con Gesù?»
«Sì, amore mio, come quelli che stanno su nel cielo assieme a Gesù.»
«Ma gli angioletti non sbagliano mai!»
«Gabriè, a mamma, tutti quanti possono sbagliare. Tutti...»
Tutti, anche chi non vorrebbe prima o poi, purtroppo, ci inciampa in qualche sbaglio.
«E che fanno gli angeli quando sbagliano?»
«Non lo so, a mamma, io non lo so...»
Pensa un po', riflette e poi comincia a canticchiarsi nella mente le parole di quella canzone che lei tanto ama.
«Questa canzone dice che basta un fiore, dice che un fiore riesce a risolvere tutto...»
«Solo un fiore?»
«Sì, amore mio, solo un fiore.»
«Aspettami qua, mamma, vengo subito!»
E sguscia via, il suo meraviglioso ometto, da quell'abbraccio che ancora li teneva uniti. Come un fulmine, apre la porta e se la richiude alle spalle con un tonfo che fa tremare la terra, le pareti e un po' anche il cuore.
Il tempo di avvicinarsi alla radio -che ora ha cominciato a parlare di un amore tormentato, già finito-, di giocare con le manopole per abbassare un po' il volume e il portone si riapre e poi si chiude, ancora.
«Gabriè, che hai combinato?» sibila furente quella voce.
«Mamma, ti ho preso un fiore solo per te!»
Una margherita stretta tra le mani, lo sguardo impertinente, il sorriso sdentato...
«Gabriè! Che hai fatto? Parla!»
Lo sguardo impertinente che si abbassa fino ai piedi sotto il tono feroce di quella voce, la margherita che comincia a dondolare tra le mani, il corpo che ciondola, indeciso, da un piede all'altro.
«Gabriè!»
«Ho fatto a botte con Salvatore...»
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Le cicatrici che non ho disponibile in libreria e negli store online
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