Sono passati cinque mesi dalla scomparsa di Beatrice. Sono cinque mesi che penso a chi possa averla portata via da me, a dove possa essere in questo momento e a cosa stia facendo. Ma la risposta che riesco a darmi è solo una: è morta.
Sono cinque mesi che riguardo le nostre foto appese nella stanza, cinque mesi dove piango, urlo e mi dispero nel buio della mia camera.
Cinque mesi che non sono più lo stesso: non sono più quel Marco che usciva con gli amici ogni sera, quello che amava giocare a calcio nel parco e che il sabato andava in discoteca. Non sono più quel ragazzo solare di diciotto anni che ero prima della perdita di Beatrice. Non sono più quel Marco con la voglia di vivere la vita, di viaggiare, con la fame di conoscere e vedere sempre cose nuove. Ero così ingordo delle novità che, da oramai sei anni, non vedo i miei nonni materni.Non vedo nonna Paola e nonno Augusto i quali, ogni anno, mi mandano lo stesso regalo di Natale, lo stesso biglietto il giorno del mio compleanno e la stessa foto delle loro vacanze. Già, sono ben cinquantadue anni che passano le loro vacanze alla casa al lago la quale, negli ultimi sette anni, è diventata anche la loro fissa dimora. Erano stanchi della città, erano stanchi del frastuono, dello smog, dei clacson e delle urla dei due condomini del piano di sopra che, ogni sera, litigavano per chi dovesse far prima la doccia, arrivando a rinfacciarsi l'ultimo biscotto rubato e la battutina fatta alla cameriera quindici anni prima.
Sorrido a quel pensiero ma, immediatamente, il mio sorriso viene eclissato dalle lacrime: immaginavo me e Beatrice litigare in quel modo, invecchiare assieme e sopportarci per il resto della nostra vita. Siamo stati insieme tre anni: tre anni fatti di abitudini, di risate, di litigi, di pazzie, di amore. Io non sono solito dimostrare il mio affetto alle persone a cui tengo, eppure, per lei, feci follie. Ricordo quella volta in ci avevamo litigato perché mi ero completamente dimenticato del suo saggio di danza ed ero uscito con Christian, il mio migliore amico, a bere qualcosa. Quando me ne ricordai fu troppo tardi e, prendendo il telefono, trovai un messaggio di Bea che diceva di volermi lasciare. Di colpo, nonostante il caldo afoso che Agosto ci regalava, sentii freddo: iniziai a sudare e a disperarmi. Non volevo perderla, non volevo che quella felicità mi venisse tolta. Non volevo buttare via otto mesi dove lei aveva dimostrato a fatti e parole di tenere a me, facendomi sentire finalmente apprezzato e voluto da qualcuno. E fu lì che, per la prima volta, capii di amarla.
Presi il casco, lo infilai e, senza allacciarlo, montai in sella allo Scarabeo nero e corsi da lei. Il lieve venticello che si creava a causa della mia corsa folle, mi rinfrescava il viso e, tra le macchine paralizzate dal traffico, facevo degli slalom all'Alberto Tomba. Con la coda dell'occhio vidi un fioraio ancora aperto, mi precipitai sul marciapiede col veicolo e quasi rischiai d'investire una signora anziana che mi maledisse. Senza sfilare il casco richiamai l'attenzione dell'uomo filippino e chiesi un mazzo di rose blu: blu come gli occhi di Bea, blu come il ciondolo che portava al collo, blu come il suo colore preferito, blu. Afferrai il mazzo di rose, pagai e mi diressi a casa sua. La chiamai dal sotto della sua finestra, come fanno nei film. Lei si affacciò e, con stupore, chiese:
«Cosa ci fai qui?»
«Sono venuto a prenderti. Io non voglio perderti Bea, non voglio rinunciare a te perché ti amo!» gli urlai, sotto gli sguardi curiosi dei passanti. Quella fu la prima volta che le dissi quelle due parole, fu la prima volta in cui le urlai che l'amavo.
Con un sorriso stampato in volto, corse giù e, tra gli applausi di quei pochi passanti, ci baciammo. Un bacio pieno di amore, un bacio pieno di sentimento, un bacio pieno di paura, disperazione, pazienza, speranza. Un bacio che stava a dire "Resterò per sempre con te."
Eppure, quel per sempre, non è mai esistito. Lei non c'è e non ci sarà più. Tutti credono che prima o poi tornerà, che prima o poi varcherà la porta di casa e, con il suo sorriso che contagia chiunque ha attorno, saluti tutti come niente fosse successo. Tutti continuano a cercarla e nessuno si arrende, nessuno apparte me. Io non ci credo in un suo ritorno, io non credo che la rivedrò ancora, io non credo che lei, un giorno, possa ancora accarezzarmi, abbracciarmi, darmi la mano o baciarmi. Mi sono messo l'anima in pace anche se, raramente, la speranza in me si riaccende, vedendo le persone che mi circondano, impegnate nella ricerca di quella ragazza dai lunghi capelli del color del miele e gli occhi simili a due pozzi d'acqua blu. Prendo in mano il cuscino tondo con sopra la nostra foto, vi tuffo il viso per soffocare i singhiozzi e cedo al pianto. Non riesco ad essere forte, non voglio essere forte.
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La ragazza del lago.
Romance'Devo riconoscerlo. Sei stato il mio addio più faticoso. Sei stato l'addio che non volevo pronunciare. Sei stato l'addio ripetuto tantissime volte: quello gridato, sussurrato, detto con odio, con amore, con tutti i sentimenti possibili. Sei il mio a...