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Il soffitto è troppo vicino, le mura troppo strette e l'aria inizia a mancare. Mi sento soffocare dal peso del dolore, dall'angoscia del non sapere, dai rimpianti. Afferro il telefono che, puntualmente, cade a terra. Impreco alzando gli occhi al cielo, mi stendo a pancia in giù sul letto e sporgo col busto in fuori, cercando lo smartphone sotto il letto.

Vado a tastoni e, in men che non si dica, sbatto contro qualcosa che poi si rivela essere una scatola dei ricordi. Tiro fuori da sotto al letto il quadrato verde e, nel vedere la parola 'Ricordi' scritta male, sorrido e penso a quanti anni sono passati dall'ultima volta che l'ho aperta. Soffio e passo sopra la superficie ruvida, la mia mano oramai grande.

Tiro su il coperchio e rido subito appena vedo una mia foto con indosso uno strano mantello e una mascherina, impugnando un mestolo, mentre imito le tartarughe ninja. Prendo in mano la pila di foto e inizio a sfogliarle una ad una: la prima volta al mare, il primo giorno di scuola, la prima foto assieme a Lucky, il mio bellissimo cane Corso. La prima volta alle giostre, io con un enorme palla di zucchero filato in mano, tutta la famiglia al mare. Poso l'ultima foto, guardo nel fondo della scatola e ne noto un'altra; la tiro su e sbarro gli occhi: io sul dondolo della casa sul lago. Mi ricordo quanto mi piacesse trascorrere le vacanze lì. Mi divertivo tanto a fare le escursioni col nonno, a raccogliere i funghi nel bosco, a fare il bagno nel lago. Ma la cosa che mi piaceva di più, era quel posto segreto che nonna Paola mi aveva mostrato: una piccola grotta, nascosta tra la fitta vegetazione del lago, dove di notte veniva illuminata da tante lucciole.

Sospiro e penso a quanto desideravo portarci Beatrice.

«Marco, la cena è pronta!» mi richiama mia madre, dal piano sottostante. Non ho fame, per nulla, ma non voglio subirmi un'altra ramanzina da parte sua. Svogliatamente, abbandono il letto e mi trascino giù per le scale, avviandomi in cucina. Prima di svoltare l'angolo per la sala da pranzo, mi guardo nello specchio ad altezza uomo e faccio una faccia disgustata nel vedermi: "Sono veramente io? Come ho fatto a ridurmi così?" mi chiedo, mentre fisso quei capelli castani spettinati, le occhiaie nere che contrastano gli occhi chiari e il fisico oramai asciutto e malandato. Sembro morto.

«Mamma, ma io sono così?» le chiedo, indicandomi dalla testa ai piedi. Lei, seduta al tavolo, piega la testa di lato e ribatte confusa

«Cosa intendi?»

«Sono così sciatto?» Lei mi fissa con un'espressione tra il divertito e il dispiaciuto e, senza rispondere, si limita ad annuire. Sono sconvolto: non pensavo di essere arrivato a tanto. Non pensavo di essermi lasciato andare in questo modo. Con uno scatto, mi siedo al cospetto della tavola imbandita, mi riempio il piatto di ogni squisitezza presente e mangio con foga. Mangio per fame, per disperazione, per disprezzo verso me stesso. Poi, d'un tratto, mi stoppo e, sorprendendo mia madre, annuncio:

«Vado a trovare i nonni. Voglio andare alla casa sul lago.»

Mia madre sputa l'acqua che stava bevendo e, con gran stupore, mi sorride, mi abbraccia e risponde: «Finalmente.»

Sorrido di rimando e continuo a mangiare, stavolta con più calma. Mi godo il pasto, i sapori, mia madre, il tempo. Parliamo come non facevamo da mesi e percepisco subito il suo dolore svanire, per far largo alla pace e alla serenità che da tempo avevano lasciato casa nostra. A causa del mio cambiamento improvviso, i miei genitori non facevano altro che litigare e, per questo motivo, mio padre se ne andò di casa circa un mese fa. Sapevo già che fossero ai ferri corti, eppure mai avrei immaginato un epilogo simile.

«Mamma, vuoi venire dai nonni con me?» le chiedo, cogliendola di sorpresa. Annuisce, felice come una bambina. Si alza dal tavolo, lo raggira e mi abbraccia forte: mi era mancato il contatto fisico.

Entusiasta poi, mi dice:«Corro a preparare le valige.»

«Anche io. Ma prima, una doccia!» ribatto, per poi ridere assieme a lei. Torno al piano superiore, prendo dei vestiti puliti, entro nella doccia e, mentre l'acqua scorre lungo il corpo denutrito, mi accorgo di quanto mi siano realmente cresciuti i capelli. M'insapono per bene, esco dal box e, spannando il vetro, fisso la mia immagine riflessa e, come se fosse un'altra persona, dico: «Da oggi basta. Da oggi devi riprendere in mano la tua vita. Da oggi si torna a vivere.»

Mi vesto, torno in camera mia, afferrò la valigia verde con cui sarei dovuto andare in Marocco assieme a Beatrice e la riempio di vestiti. Non devo più pensare a lei così insistentemente. Chiudo il rettangolo, mi precipitò giù per le scale dove, ad attendermi, trovo mia madre gioiosa.

«Sei pronta?» le chiedo.

Annuisce e risponde:«Pronta.»
Apre la porta di casa e, in un attimo, siamo in auto, pronti ad andare alla casa al lago.

La ragazza del lago.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora