.Capitolo Due

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Davanti alla scrivania, intrappolato alla sedia da manette e un pentacolo protettivo, c'era un diavolo vestito con un impermeabile di gomma che piagnucolava.

Era un spettacolo piuttosto patetico: del muco gli colava dal rosso naso aquilino e aveva la faccia rattrappita dal pianto.

Mi sedetti accanto a lui. Nella finestra dietro la scrivania vedevo il mio riflesso: avevo la stessa espressione schifata che riservavo alla lettiera di Beril, quando era troppo colma per essere ignorata.

-Hai la faccia di uno che ha succhiato un carretto di limoni- dissi.

Non doveva essersi accorto di me, perché alzò la testa di scatto lanciando uno strillo acuto. Cadde all'indietro e urtò con la schiena contro la parete invisibile del pentacolo protettivo. Ci fu uno sfrigolio, come quando si butta una bistecca su una griglia bollente, poi nell'aria si levò una sfilza di blasfemie miste all'odore di gomma bruciata.

-Che sta succedendo?- Camlo era entrato nella stanza. Reggeva in una mano quello che sembrava un antico vaso da notte in creta.

-Lo dovrei chiedere io! Tu chi cazzo sei?- mi urlò in faccia il diavolo, mentre tentava di spegnere le fiamme dell'impermeabile a forza di manate. Notai che sotto era completamente nudo.

Volevo dargli una risposta che gli facesse capire con chi aveva a che fare: io quelli della stirpe di Lilith li odiavo, li combattevo con ferocia. Volevo che mi temesse, che la mia presenza instillasse in lui un terrore mai provato. La mia vita era consacrata già prima della mia nascita alla lotta contro i diabolici depravati, e lui doveva saperlo.

Volevo una frase ad effetto, ecco.

-Io di lavoro stacco la testa a quelli come te- dissi, abbassando la voce per darmi un tono. Corrugai anche la fronte. Misi la mano sotto il mento, in posa.

E, con mio grande disappunto, nessuno in quella stanza sembrava colpito o terrorizzato.

Camlo fu il primo a interrompere il silenzio.

-Rebecca, ho scoperto una perdita.- disse in tono pratico, sedendosi dietro alla scrivania. Tirò fuori da un cassetto un foglio arrotolato. Lo aprì e dispiegò davanti a me: era una piantina disegnata in inchiostro viola di quelli che sembravano sotterranei.

Camlo indicò una macchia, rossa e vibrante, nella parte sinistra del foglio. Forse era un'allucinazione, ma pulsava come un organo sinistro. -Si è aperta ieri nelle catacombe. Mezzanotte all'incirca, non ti ho potuta avvisare.-

Avvicinai il naso al foglio per osservarla meglio. Non era un scherzo dei miei occhi: si muoveva davvero, i contorni che si espandevano e restringevano simili a onde del mare.

La carta del foglio puzzava di zolfo, lavanda e salvia officinalis. L'odore della magia mi punzecchiò le narici di un fastidioso prurito.

Girai la testa e starnutii in faccia al diavolo.

-Vaffanculo, bitch.-

Bene, abbiamo anche il diavolo cosmopolita.

-Scusa, non l'ho fatto apposta- dissi, per metà mentendo e per metà no. Il diavolo si strofinò la faccia con manica del cappotto. Mi indirizzò così tante maledizioni in lingue sconosciute che il portapenne di Camlo cominciò a vibrare contro il legno della scrivania.

-Dicevo...- disse Camlo seccato, stringendo con la mano il portapenne per tenerlo fermo. -È aperta da meno di dodici ore, ma più tempo passa più potrebbe generare guai. Vai a chiuderla oggi. Io l'ho esaminata stanotte, a distanza di sicurezza: è sotto l'ospedale San Raffaele. Se non lo fai saltare in aria come il club di ieri sera è meglio. Sai, non vorrei che associarmi a te mi rovinasse la reputazione. -

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