Troppo in fretta (Raul Menendez)

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La notte scende come al solito sulla città e, mentre esco dall'ufficio, il rumore del traffico mi investe.

Mi avvio a piedi verso la mia abitazione ad un paio di isolati da qui, tanto sono abituato a camminare.

Raggiungo in circa mezz'ora il quartiere, che stasera è estremamente silenzioso per chissà quale motivo.

Qualcosa rompe il silenzio, inizialmente un ronzio, poi un sibilo, infine una voce che mi chiama; appoggio la mano sulla fondina della pistola di servizio, estraggo l'arma e tolgo la sicura, addentrandomi nel vicolo dal quale viene la voce.

<<Quella non ti servirà.>>

Un sibilo, seguito dal rumore del vento, spezza di nuovo il silenzio: solo un secondo e la mia pistola non è più in mano mia, ma per terra davanti a me. Distolgo lo sguardo dall'arma e mi guardo intorno, davanti a me una figura, nascosta dalle ombre, lentamente avanza.

<<Chi sei? Cosa vuoi da me?>> Urlo impaurito.

<<La risposta a queste due domande la scoprirai col tempo. Per ora sappi solo che ho bisogno di te.>>

<<Bisogno di me? Come mai? Sono solo un poliziotto, non ho altre capacità.>>

<<Mi serve proprio quello di te: le tue doti investigative, la tua fama in città e i tuoi contatti.>>

<<Ma tutto questo non ha senso!>>

<<Oh sì, ne ha. E presto lo scoprirai. Ora abbraccia il dono che ho intenzione di darti, e servimi.>>

Si avvicina lentamente, io paralizzato dalla paura non muovo un muscolo, mentre la figura si china su di me.

Un leggero dolore al collo, poi il buio; in quell'oscurità gli occhi non funzionano ma gli altri sensi sì: sento il mio cuore battere, il sangue che scorre nelle vene, il suono ripetuto di qualcosa che continuamente cade per terra; sento il vento che soffia, sento che mi sfiora la pelle; sento il bagnato del vicolo attraverso le ginocchia.

<<Ora sei rinato, quando ti risveglierai sarai un'altra "persona".>>

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