Prologo: Nel vuoto

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9 Caliduvia 399 A.N.

Era la notte delle notti.
Il forte bagliore emanato dal fuoco, appiccato in ogni angolo della città, rischiarava tutto ciò che si ergeva attorno al castello della Luna Crescente.
Gli abitanti tentavano, in ogni modo, di salvare le proprie vite da quell'inferno terrestre, chi gettando acqua sulle vive fiamme che infestavano le abitazioni, tentando di domarle, chi scappando il più lontano possibile, in cerca di un posto sicuro in cui rifugiarsi.
In ogni dove vi erano decine e decine di corpi morti stesi a terra, alcuni a causa di delle frecce infuocate scoccate dai soldati nemici, altri a causa dello stesso fuoco, che si era impossessato dei loro corpi, facendoli brillare intensamente per qualche istante, prima di spegnerne per sempre l'anima.
Di tutta fretta, l'esercito locale venne diviso in tre, e i diversi gruppi ottennero un compito diverso; i primi due si diressero verso le porte della città, situate in due punti opposti: vista la struttura di Rasagnell, la capitale del Regno della Luna, circondata da mura impenetrabili, fu facile prevedere le azioni degli aggressori, già all'opera per distruggere le enormi entrate.
Appena i battaglioni mandati per la difesa giunsero alle loro postazioni, videro enormi assi di legno creparsi, per poi staccarsi dalle altre e cadere a terra, lasciando faccia a faccia i diversi eserciti.
La guerra fu violenta.
Militarmente impreparati e colpiti nel cuore della notte, senza preavviso alcuno, i soldati del Regno della Luna furono sfiancati, sconfitti, uccisi; ma gli aggressori, purtroppo, non si limitarono a quella sanguinosa battaglia.
Anche il terzo gruppo di soldati locali, non mandato allo sbaraglio, ma scelto per mettere in salvo i cittadini, fu colto di sorpresa e distrutto. Poi toccò agli innocenti. Un numero inestimabile di feriti ed un numero ancora più alto di morti, tutto in una sola notte, nella quale la Luna non sembrava mai tramontare.

"Vostra maestà! Vostra maestà!" le urla disperate di un soldato semplice riecheggiarono per tutta la sala. Le mura in pietra, a tratti interrotti da delle profondi nicchie, contenenti ognuna delle sculture in marmo della famiglia reale, trasmettevano un senso di freddo, e la sola cosa che illuminava la sala era un grande lampadario appeso al soffitto. Non vi erano aperture o lucernari, né tantomeno altre fonti di luce: gli angoli erano avvolti nell'oscurità, mentre la parte centrale e il trono sembravano assorbire a sé tutto ciò che veniva prodotto dalle candele.
Il giovane si avvicinò alla scalinata che portava al trono con passo incerto, poi cadde in ginocchio sul tessuto rosso, con motivi orientali color oro, che tappezzava gran parte dell'ambiente: tutte le forze lo stavano abbandonando, non riusciva nemmeno a guardare il suo sovrano in volto. "Siamo rimasti in pochi, all'incirca 200 soldati... tutte le ultime unità si sono riunite nel castello, ma sono troppo forti per noi..." due colpi di tosse, qualche respiro affannoso, poi riprese: "...e sembrano non finire mai, continuano a chiamare rinforzi..."
Il re annuì. "Da' l'ordine" iniziò, alzandosi, "a tutte le truppe di ritirarsi. Ci arrendiamo alle forze nemiche." Gli altri uomini presenti nella sala, a quelle parole, si adirarono, "Come può lei pensare ad una cosa del genere! Arrendersi, ora?!"; "Non ha più senso far morire altri uomini, anche se sono pochi. Non li ho mandati all'attacco solo per vederli morire!" Fu la risposa che venne data dal sovrano; il soldato, colpito dalle misericordiose parole del suo re, si alzò con un bagliore di speranza in viso e corse subito ad avvisare i compagni, impegnati a fronteggiare una minaccia troppo grande per loro e per il loro regno.
"Non possiamo deporre le armi! Verremo uccisi tutti, TUTTI!" commentò nuovamente uno dei presenti. "Se ci uccidessero tutti, non otterrebbero quello che lui vuole."
L'uomo si portò una mano sul petto, poi prese tra le sue spesse dita un piccolo ciondolo argentato, a forma di falce di Luna; "Iginus, vieni." Disse, con una voce più pacata, la testa bassa. La figura di un individuo uscì dall'ombra che regnava nel resto della sala, senza avvicinarsi troppo: era un uomo sulla trentina. Una sottile barba nera attorno al mento e capelli del medesimo colore, coperti dal cappuccio che si andava ad estendere verso il basso, fino a divenire un lungo mantello, che arrivava fino agli stivali logori e di pessima qualità. Teneva tra le braccia un neonato, avvolto in una coperta dai motivi floreali; si limitò ad annuire, poi non fece altro.
Con patto lento, il re gli si avvicinò, mentre pronunciava tra sé e sé un discorsetto agli altri incomprensibile. Gli arrivò di fronte e lo guardò in modo triste, sconsolato, ma allo stesso tempo deciso; "Hai sempre aiutato la mia famiglia come se fosse la tua. Te ne sono riconoscente come nessun altro..." si voltò verso un corridoio che si estendeva a destra della sala, "ma voglio chiederti ancora un ultimo favore. Portalo in salvo, ti prego, è la cosa che più desidero al mondo."
Iginus sobbalzò, "Non posso. Lei, che ha intenzione di fare? E gli altri? Il mio compito è quello di proteggervi. Sarete voi a... a..."
Il portone iniziò a smuoversi, sotto i colpi d'ascia dei soldati nemici, mentre un loro superiore ordinava di aprire. Dopo una sonora risata, il re riprese a parlare "Non c'è tempo per i saluti, mio caro. Vai, ho scelto te e non voglio che tu mi deluda!" detto ciò, diede una piccola spinta all'altro, che rimase a guardarlo mentre si avvicinava all'ingresso. Prima di aprire, prese in mano un'arma, mentre Iginus imboccava il corridoio indicatogli.
"APRITE, O UCCIDEREMO TUTTI I VOSTRI SOLDATI!" gridò il generale, e a quelle parole il re non si attardò a demolire l'entrata con un unico colpo di spada. Tutti rimasero esterrefatti, la sua forza era davvero incredibile; "Ohh, chi abbiamo qua, il nostro caro, vecchio re." Commentò il generale, un Cavaliere Viverna la cui acuminata armatura incuteva timore, entrando nella sala. "Che peccato... tutte le più importanti città del tuo Regno sono cadute, e il tuo esercito di bambolotti è ridotto a pezzi. Non ti rimane che la resa, no? Fa ciò che è meglio per il tuo popolo, vecchio."
Il "vecchio" sorrise, ma riuscì a trattenere la sua risata. "Hai ragione, devo fare ciò che è meglio per la mia gente, per quei pochi che voi barbari avete lasciato in vita. SOLDATI, ALLO SCOPERTO!" dall'oscurità della sala uscirono numerosi soldati, che si lanciarono contro quelli sotto il comando del Cavaliere Viverna, mentre il re ingaggiava un duello singolo proprio con il generale avversario. "Combatterò con loro fino a quando ogni singola goccia del vostro sangue non sarà sparsa ai nostri piedi!"

Iginus continuava a correre lungo quell'infinito corridoio, la sua unica via di salvezza. "Mio signore... non la deluderò." Girò un angolo e si vide di fronte due lottatori, armati di ascia, che si prepararono ad ingaggiare un combattimento: ma non era sua intenzione soffermarsi a lottare, visto il bambino che portava. "Ragnarok!" una potente magia del fuoco, lanciata dalla sua mano, si abbatté sui nemici, che caddero a terra ustionati; continuò a correre, poi vide la luce. La tanto desiderata luce della Luna: si fermò sull'uscio, la strada finiva là. Aveva preso quella sbagliata, ma questo non lo abbatté. Altri soldati lo stavano per raggiungere. Coprì ulteriormente il piccolo con il mantello, poi, pregando tutti gli dei, si lanciò nel vuoto.
"Il giorno dei giorni deve ancora arrivare, ricordatelo al vostro stupido comandante!" furono le sue ultime parole, prima di scomparire nell'oscurità della notte.

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