Capitolo 3

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Giunti che fummo al molo, vidi una falce e tre vanghe, nuove in apparenza, sul fondo della barca nella
quale stavamo per imbarcarci.
— E questo che vuol dire, Jup? — chiesi.
— Sono una falce, massa, e tre vanghe.
— Verissimo; ma che ci stanno a fare?
— Son la falce e le vanghe che massa Will ha voluto che gli comprassi in città; e quanti quattrini mi sono costate!
— Ma che cosa, in nome di Dio, vuol fare il tuo massa Will di una falce e di tre vanghe?
— Questo poi non lo so, e il diavolo mi porti se lo sa nemmen lui. Ma è tutto lo scarabeo...
Vedendo che non c'era da ottener molta soddisfazione da Jupiter, il cui intelletto sembrava essere interamente assorbito dallo «scarabeo», scesi nella barca e alzammo la vela. Con un buon vento in favore, presto entrammo nella piccola baia a nord del forte Moultrie, e una camminata di un paio di miglia ci portò alla capanna. Erano circa le tre del pomeriggio quando arrivammo. Legrand ci aspettava con viva impazienza. Egli mi strinse la mano con un'ansia nervosa che mi fece impressione e rinvigorí i miei nascenti sospetti.
Era pallido di un pallore spettrale e i suoi occhi infossati brillavano di una fiamma non naturale. Dopo qualche domanda sulla salute, non trovando altro da dirgli, gli chiesi se il luogotenente G... gli avesse reso lo scarabeo.
— Oh, sí, — rispose, arrossendo improvvisamente — l'ho riavuto la mattina dopo. Per nulla al mondo mi separerò piú da quello scarabeo. Jupiter ha ragione!
— In che cosa? — chiesi con un triste presentimento. — A dire che è veramente d'oro.
Lo disse con tanta serietà da far pena ad ascoltarlo.
— Questo scarabeo è destinato a far la mia fortuna —
continuò con un sorriso di trionfo — e a reintegrarmi nel patrimonio della mia famiglia. C'è quindi da stupirsi se lo apprezzo tanto? Poiché la fortuna ha pensato bene di farmelo cadere nelle mani, non ho da far altro che usarne convenientemente per giungere all'oro di cui è l'indizio. Jupiter, portamelo qui.
— Che? Lo scarabeo, massa? Io non voglio disturbarlo, io; è meglio che lo prendiate da voi.
Con aria grave e solenne Legrand si alzò e preso l'insetto di sotto a una campana di vetro, dove lo teneva, me lo porse.
Era uno scarabeo magnifico, sconosciuto allora ai naturalisti, e pertanto, dal punto di vista scientifico, di gran pregio. A una estremità del dorso, aveva due macchie nere e rotonde, e una terza macchia di forma allungata all'altra estremità. Le elitre erano durissime e lucenti, e sembravano di oro brunito. Il suo peso era molto notevole, e, tutto considerato, non c'era da far troppo carico a Jupiter della opinione che ne aveva, ma che Legrand la pensasse allo stesso modo, ecco quel che non potevo capire.
— Vi ho mandato a chiamare — disse Legrand con un tono enfatico quando ebbi finito l'esame dell'insetto — per domandarvi consiglio e aiuto nel compimento di ciò che vogliono il Fato e lo scarabeo...
— Mio caro Legrand, — esclamai interrompendolo — voi certo non state troppo bene, e fareste meglio a prendere qualche precauzione. Andate a letto, e io starò con voi qualche giorno fino a che non vi sarete rimesso. Ora avete la febbre e...
— Tastatemi il polso — egli disse.
Glielo tastai, e, a dire il vero, non trovai il piú leggero sintomo di febbre.
— Ma potreste essere malato senza avere febbre. Permettetemi, una volta tanto, di farvi da medico. Prima di tutto, mettetevi a letto. Poi...
— V'ingannate, — egli interruppe — io sto come meglio non posso sperare di stare nelle condizioni d'eccitamento in cui mi trovo. Se veramente mi volete vedere guarito, curate la mia esaltazione.
— E come si può fare questo?
— È facilissimo. Jupiter e io partiamo per una spedizione nelle colline della terraferma ed abbiamo bisogno dell'aiuto di una persona della quale ci si possa fidare completamente. Il solo di cui abbiamo fiducia siete voi. Che la nostra impresa riesca o fallisca, l'eccitamento che ora vedete in me, cesserà.
— Desidero vivamente di servirvi in qualunque modo, — risposi — ma volete dire che quest'infernale scarabeo abbia qualche rapporto con la vostra spedizione nelle colline?
— Senza dubbio.
— E allora, Legrand, mi è impossibile di prender parte a un'impresa cosí assurda.
— Me ne dispiace, me ne dispiace molto... perché bisognerà provare da noi soli.
— Da soli! È impazzito di certo!... Ma vediamo... quanto tempo vi proponete di star via?
— Probabilmente tutta la notte. Partiamo subito e in ogni modo saremo di ritorno al levar del sole.
— E mi promettete sul vostro onore che, appagato questo capriccio e sistemato a vostra soddisfazione, buon Dio!, l'affare dello scarabeo, ritornerete a casa e seguirete esattamente il mio parere come se fosse quello del vostro medico?
— Sí, lo prometto; e ora andiamo perché non abbiamo tempo da perdere.
Accompagnai il mio amico col cuore grosso. Ci mettemmo in cammino alle quattro, Legrand, Jupiter, il cane e io. Jupiter prese falce e vanghe; insistendo a volerle portare lui piú pel timore, mi parve, di lasciare qualcuno di quegli istrumenti nelle mani del suo padrone, che per eccesso di zelo e di compiacenza. Era di un umore infernale, e le parole «dannato scarabeo!» furono le sole che gli uscirono dalle labbra lungo la strada. Da parte mia io portavo due lanterne cieche, mentre Legrand si era contentato del solo scarabeo che portava attaccato all'estremità di un pezzo di spago facendolo girare intorno a sé con un'aria di magia. Quando osservai quest'ultimo, evidente sintomo dell'aberrazione mentale del mio amico, riuscii appena a rattenere le lagrime. Tuttavia giudicai che, almeno pel momento, fosse meglio dargliela vinta, sino a quando non potessi adottare qualche misura piú energica con probabilità di successo. Intanto provavo, ma inutilmente, a interrogarlo
sullo scopo della nostra spedizione.
Ora che era riuscito a persuadermi di accompagnarlo,
sembrava poco disposto a intavolare discorso su soggetti di minore importanza e, ad ogni mia domanda, rispondeva invariabilmente: «Vedremo!».
Traversammo con una barchetta il canale alla punta dell'isola, e arrampicandoci sugli spalti della riva di terraferma, ci dirigemmo a nord-ovest attraverso una regione orribilmente selvaggia e desolata dove non era traccia di piede umano. Legrand procedeva per primo, con decisione, fermandosi solamente, di tempo in tempo, per consultare certi segni che parevano essere stati fatti da lui stesso in precedenti escursioni.
Andammo avanti cosí per circa due ore, e il sole era al tramonto quando entrammo in una regione infinitamente piú sinistra di quante ne avevamo viste sino allora. Era una specie di altipiano in costa alla cima di una collina pressoché inaccessibile, coperta di boscaglie dalle falde alla vetta e cosparsa di enormi blocchi di pietra che sembravano giacere alla rinfusa sul suolo, e parecchi dei quali sarebbero certo precipitati nelle valli sottostanti se non fossero stati trattenuti dagli alberi a cui si appoggiavano. Profondi burroni si aprivano in varie direzioni dando alla scena una solennità ancora piú tetra.

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