Can't sleep

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Can't sleep

Tarjei non dormiva da tre giorni.

La prima notte rimase sveglio a fissare il soffitto, scoprendosi e tirandosi le coperte fin sopra le orecchie ad intermittenza, chiedendo al suo cervello perché non lo facesse dormire. Perché? Cosa c'è stavolta? Cosa c'è di sbagliato? E' tutto normale, niente sussurri nei corridoi, niente vergogna quando mi guardo allo specchio, niente corse all'ospedale nel mezzo della notte, perché non mi lasci dormire?

A Tarjei sembrava tutto normale, ma il materasso era fatto di pietre e poi lo risucchiava all'interno per quanto era morbido e la luce dei lampioni era troppo forte e poi la stanza era troppo scura e le auto che passavano sulla strada erano troppo rumorose e poi c'era troppo silenzio e i suoi occhi non riuscivano a chiudersi e sentiva prurito ovunque e ... e non era giusto. Non era giust0 che non potesse dormire, andava tutto bene, tutto splendidamente, tutto era al suo posto, tutto era ... tutto era ... tutto era così tremendamente vuoto. Vuoto, vuoto, vuoto.

Il suo letto era vuoto, il suo petto era vuoto. Il suo letto era freddo e fatto di pietre ed era vuoto.

La seconda notte respirò a fondo, e cercò delle risposte. Perché non riusciva a dormire? Il suo letto era vuoto. Lo era anche prima? No ... sì, ma non se n'era mai accorto. Perché non se n'era mai accorto? Perché nessuno l'aveva mai riempito. Cos'era cambiato? Che adesso sapeva cosa si provava a dormire in un letto che non era vuoto. Come avrebbe potuto riempirlo? Come ... non sapeva la risposta.

No, la sapeva.

Eh.

La terza notte ne aveva abbastanza. Erano tre giorni che non dormiva, che non faceva nulla, tranne camminare in giro con le palpebre pesanti e le borse viola sotto gli occhi che gli chiedevano se avesse fatto a botte e rispondeva che il cuscino era fatto di pietre e probabilmente ci aveva sbattuto la faccia. Aveva le risposte, ne aveva abbastanza, le aveva tutte.

Nemmeno sapeva cosa aveva infilato nello zaino che si mise sulle spalle. Un paio di magliette, dei jeans, i libri per scuola, lo spazzolino. Un biglietto sotto la tazzina da caffè di sua madre, il cappuccio della felpa tirato sui capelli, la porta di casa chiusa alle sue spalle. L'autobus era vuoto, il conducente assonnato, la notte buia, il vento freddo. Il suo cervello non riusciva a formare frasi di senso compiuto da più di tre parole ciascuna e gli andava bene così.

"Tarjei?"

"Non riesco a dormire."

Il cervello di Tarjei non riusciva a formare frasi compiute da più di tre parole ciascuna, ma per descrivere Henrik ne usò almeno dieci al secondo. Capelli arruffati, sguardo allarmato, mani calde, braccia accoglienti, brividi.

Il suo letto non era fatto di pietre, non era freddo, non era vuoto.

La quarta notte, dormì.

Quando si svegliò, Henrik gli stava accarezzando i capelli. Tarjei sorrise, pensò che era davvero un bel modo per svegliarsi dopo tre giorni senza aver dormito. Strofinò il naso contro il suo collo, strinse la sua maglietta fra i pugni chiusi. Henrik affondò le dita fra i suoi capelli.

"Che è successo, baby boy?"

Tarjei mugolò.

Non lo sapeva.

"Il mio letto è fatto di pietre."

"Hai controllato?"

Tarjei annuì: la prima notte, aveva alzato le coperte. Il suo materasso era fatto di pietre a forma di piume, della consistenza delle piume. Ma erano pietre.

Only fools fall for youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora