Prologo

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Chiamatemi Alisea. È un nome che deriva dai venti alisei, regolari in direzione e costanti in intensità: mi chiamarono cosí perché io avrei dovuto essere esattamente come quei venti.
Non ricordo molto della mia famiglia, tutte le figure del mio passato sono ovattate, lontane, come se quelle immagini del libro della mia memoria non le avessi davvero vissute ma solo sognate tanti anni fa. Ricordo che mio padre abbandonó me e i miei fratelli quando eravamo ancora molto piccoli, e mia madre dopo che ebbe cercato di crescerci da sola ed ebbe fatto molti sacrifici per svariati anni, perse il lavoro e si ammaló di schizofrenia. La gente del paese, ritenendola un pericolo per il benessere dei cittadini la fece rinchiudere in un manicomio e da allora non l'ho più rivista.
Avevo solo quindici anni.
Mio fratello maggiore era qualche anno prima partito per l'Europa in cerca di fortuna, Kate la mia sorella sedicenne, decise di anticipare le nozze col suo fidanzato. Infine il reverendo Robertson riuscì a trovare una famiglia adottiva per i miei fratellini Brian e Susy.
E io? Dove sarei finita io?
Il reverendo non era riuscito a trovare una famiglia che mi volesse, probabilmente ero troppo grande e la gente aveva paura che il mio mantenimento costasse di più.
Tutti coloro che si erano tanto considerati amici di mia madre mi volsero le spalle.
Ero sola, non avevo nemmeno un tetto sotto la testa, poichè la mia vecchia casa era stata requisita per saldare dei debiti di mia madre.
Mi sentivo rifiutata.
Decisi di andarmene. Non sapevo neanch'io dove. Presi le poche cose che avevo e seguii il vento.

E il vento mi portò da lui.

Hank Mclaughlin non era quello che si poteva definire una brava persona, ma io allora non potevo saperlo.
Forse per caso o forse per destino le nostre vie si incrociarono.
Hank era un uomo sulla trentina, aveva uno sguardo intrigante, due occhi blu, un sorriso sornione sulle labbra e dei capelli biondi lunghi fino alle spalle. C'era qualcosa in lui che sapeva affascinare la gente. Ogni suo movimento sembrava studiato per far cadere chiunque ai propri piedi.
E io ero un'ingenua.
Bastarono poche sue parole per sentirmi di nuovo qualcuno. Finalmente c'era una persona che mi dava importanza, che mi considerava e non mi faceva sentire messa da parte. Non era un uomo dolce, ma mi apprezzava e ciò era tutto quello di cui avevo bisogno. Mi sentivo talmente felice che quasi non esitai quando mi chiese di lavorare per lui nel suo nuovo saloon.
Partimmo insieme alla volta di Sandy, una cittadina nello Utah, dove Hank aprì il suo saloon.
Ma la felicità presto svaní.
Ero giovane, inesperta, e non avevo idea di che cosa volesse dire essere una delle ragazze del saloon. Hank mi fece firmare un contratto: gli appartenevo.
Quello non era solo un lavoro: da allora per gli altri non sarei più stata Alisea, ma una delle ragazze di Hank. Fu proprio quando Hank prese la mia verginità che capii di aver perso definitivamente la mia identità: ora ero sua.

Quando accettai quel lavoro non sapevo neanche cosa fosse il sesso. E ora invece venivo considerata una donnaccia, non potevo entrare in una Chiesa o parlare normalmente con altre donne, perché non si addiceva a una brava ragazza chiacchierare con un prostituta.
Quello eravamo: prostitute. Nessuno si interessava alle persone che eravamo, la gente si fermava solo alla nostra professione. Ed era proprio quello che voleva Hank: non potendo fare amicizia con nessuno noi ragazze potevamo contare solo su di lui. Aveva fatto in modo che noi dipendessimo da lui.

E io ci ero cascata. Gli avevo venduto la mia libertà.

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