Capitolo Tre

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I giorni passarono e sempre più persone vennero uccise, ma mi stufava dover avere sempre i pantaloni macchiati di sangue, così decisi di comprarne un paio di pelle, in modo tale che indossando giacca e pantaloni di pelle, sarei riuscito a rimuovere le macchie di sangue più facilmente, usando della benzina.

Uccidere era diventata la mia abitudine, anche se assassinare le persone a coltellate era piuttosto ripetitivo e noioso, così ho iniziato a inventarmi metodi nuovi.
Alcuni erano stati bruciati vivi con della benzina, altri operati senza anestesia, altri ancora erano stati forzati a mangiare le loro stesse viscere oppure sminuzzati in tanti piccoli pezzi per poi essere dati in pasto ai cani randagi.

Non ho mai ucciso innocenti, ma solo criminali che meritavano di morire.

Questo, faceva di me un eroe?

Sono andato avanti per molto tempo e mentre spendevo parte del mio tempo in questo modo, il resto lo trascorrevo con Susan.
Fin quando, un giorno, non decisi di portarla fuori a cena.

Avevo iniziato a lavorare in un ristorante e la paga era buona, così mi permisi di portarla in un posto di lusso, per una cena a lume di candela, poi, mi dichiarai.

«Susan, siamo stati insieme per ormai un anno e io so che tu sei l'amore della mia vita e che non potrei vivere senza di te. Vorrei chiederti una cosa...».

Mi inginocchiai e aprii una piccola scatolina che estrassi dalla tasca, mostrando un anello.

«Vuoi sposarmi?».

Lei era felicissima e con le lacrime agli occhi, mi rispose.

«Certo che ti voglio sposare».

Lasciammo il ristorante dopo cena e non ero mai stato così felice in tutta la mia vita, fin quando un dannato non le sparò fuori dal ristorante.

Stavo esplodendo di rabbia e ira, ma non potevo lasciare Susan da sola, sanguinante e morente, così l'ho portata all'ospedale più vicino.

Il dottore disse:

«Adesso è un momento delicato, nel peggior dei casi potrebbe non risvegliarsi».

Lasciai l'ospedale a tornai in strada a cercare il tizio che le aveva sparato. Avevo memorizzato molto bene la sua faccia e non doveva essersi allontanato di tanto.
Girando un paio di strade, quelle più frequentate dalla malavita della città, lo trovai.
Lo colpì duramente alla testa quando era di spalle e poi, urlai di rabbia.

«Ti ucciderò bastardo per quello che hai fatto a Susan, pagherai con la vita!».

L'uomo morì, nell'istante stesso in cui terminai la frase.

Tornai all'ospedale, dove il dottore mi disse che Susan era appena rinvenuta. Decisi così di parlarle.
Quando sono entrato nella sua stanza, lei disse:

«Liu? Sei tu? Sono contenta che tu sia arrivato. Spero di riuscire a resistere. Ti amo... non voglio morire, ma se ciò dovesse succedere, voglio che sia tu a prendere la mia via... lo so che cosa facevi, so di tutti i criminali che hai ucciso e penso che questa sia una missione davvero nobile e perciò, non fermati Liu, ma continua con ciò che facevi».

Abbiamo parlato per un'ora, in cui ci siamo detti tutto quello che c'era da dire, anche se, non mi andava l'idea che stavo per perdere l'unica persona importante che mi era rimasta.

Il medico non tardò ad arrivare, per avvisarmi.

«Signor Woods, le sue ferite sono gravi e dobbiamo operarla».

Diedi il consenso.
Lei fu portata in sala operatoria e le tre ore che seguirono dall'inizio dell'intervento, sembrarono non passare mai.
Avrei voluto asportarmi gli occhi per la disperazione, continuando a sperare che Susan sarebbe riuscita a sopravvivere all'intervento.

Un volta che tutto finì, lo stesso medico tornò da me per dirmi:

«L'operazione è andata bene, i suoi parametri vitali sono stabili e domani, dopo l'anestesia, si risveglierà.
Con calma, tra due settimane, potrà essere dimessa dall'ospedale».

Quelle parole mi fecero prendere un colpo per la gioia e mi sentì così in pace, di sapere che Susan ce l'aveva fatta.

Ma i nostri problemi non erano finiti.

Il giorno seguente, rimasi tutto il tempo nella sua camera d'ospedale finché lei non si svegliò.
Quando mi vide, la prima cosa che disse, mi spezzò.

«Chi sei tu? Dove sono mamma e papà?».

Lei, non ricordava più nulla di me. Quelle parole mi riempirono di tristezza, ma volevo che lei ricordasse tutto.
Così, quando lei recuperò, la riportai nell'ospedale dove lavorava come infermiera e dove ci siamo incontrati la prima volta.

«Tu sei Liu? Sei cambiato un po' da come ti ricordavo». Disse sorridendo, spostandomi una ciocca di capelli dal viso.

«I tuoi capelli erano più corti».

Poi, la portai nella mia vecchia casa e si ricordò anche di quando eravamo stati lì.
Nel corso della settimana, la portai in diversi posti, al fine che riuscisse a recuperare la memoria, finché non tornammo al ristorante dove mi ero dichiarato.

«Liu, adesso ricordo tutto... qui è stato dove mi hai chiesto di sposarti!
Grazie di essere stato con me fino ad adesso».

Mi abbracciò.

«Tu hai fatto lo stesso per me, ti amo Susan».

La baciai, ma quando ci separammo, lei iniziò ad avere delle convulsioni e la cosa mi spaventò al punto, che decisi di riportarla in ospedale.

Non sapevo quanto sarebbe andata avanti, ma io la amavo troppo per lasciarla da sola quando lei aveva bisogno di me.
Ero fuori dalla porta, ad aspettare che venisse qualcuno a darmi sue notizie. Poco dopo, infatti, venne un medico nuovo che non avevo mai visto prima e disse in tono neutro:

«Mi dispiace Signore, ma la sua ragazza non ce l'ha fatta».

Quella frase mi avvolse di tristezza e odio, così che balzai sul medico per spezzargli il collo.
Non avevo più ragione di contenermi. Iniziai una vera e propria carneficina dentro quell'ospedale, uccidendo uomini, donne, bambini e malati...

Li ho uccisi tutti. Non potevo sopportare di vederli in vita e di sapere morta la mia Susan.
No, lei non poteva morire in questo modo, non avrei permesso che ciò accadesse, anche se era inevitabile.

I miei vestiti e le mie mani, ora, erano intrise del sangue di innocenti... e il mio sguardo era cambiato.
Afferrai un bisturi e cominciai a incidere sul petto, un cuore, con dentro le iniziali di Susan e l'ora della sua morte, il giorno del nostro anniversario e la data in cui ci eravamo incontrati.

Poi, presi del filo di sutura e un ago, iniziando a cucire le estremità della mia bocca, formando una specie di sorriso lungo il viso, in modo che nessuno potesse vedere la mia sofferenza interiore.

A opera conclusa, tornai a casa.
Presi i miei vestiti e le cose che utilizzavo per uccidere le mie vittime; poi, me ne andai, per non fare mai più ritorno.

Ora vivo uccidendo persone felici, anche se, una volta che sarò morto non potrò comunque rivederla... però uccidere mi consola.
E anche tu, se un giorno, mi dovessi vedere... scappa.
Non mostrarmi la tua gioia, altrimenti morirai di una morte atroce e spietata, e nessuno potrà più riconoscere il tuo corpo sfigurato.

Homicidal Liu [Ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora