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Un giorno

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Un giorno. Tre autunni.

La ragazza da dietro il bancone sorrise porgendo il caffè fumante a Justin. Fu un sorriso carico di lussuria: era carina ma per niente il tipo di donna che Justin avrebbe guardato. Inoltre, non era intenzionato ad intraprendere alcuna conoscenza e questa storia andava avanti ormai da tre anni.

«Ecco a te» disse chinando il capo di lato. Aveva i capelli corvino tenuti nascosti da un capellino verde, in tinta con la divisa. Gli occhi invece erano di un intenso azzurro, peccato per la visiera che non lasciava trasparire la loro bellezza.

«Ti ringrazio» rispose Justin afferrando la tazza di coccio. Notò che sul caffè aveva aggiunto della panna, nonostante non l'avesse richiesta. Inarcò le sopracciglia e andò a sedersi con lo sguardo della ragazza puntatogli addosso. Fece finta di niente.

Si sedette attorno ad un tavolo vuoto, poggiò la tazza sul ripiano di legno e fissò il centrotavola che consisteva in una lanterna verde con una candela circolare accesa al suo interno. Era un locale accogliente, una caffetteria dove trascorrere del tempo in compagnia o nel caso di Justin in solitudine, assalito dai pensieri. Si guardò intorno e notò che vi erano molte persone sedute da sole, magari con in mano un libro o il PC. Lui posò la chitarra a terra ed estrasse il taccuino: aveva intenzione di concludere quella canzone entro la fine della settimana. Purtroppo nell'ultimo periodo dovette far fronte ad un blocco che lo costrinse a mettere da parte la musica per un po'. Incapace di continuare a comporre, si dedicò interamente all'arte del poltrire. Già, perché bisogna essere bravi nel farlo e non impazzire. Trascorrere intere giornate chiuso in casa, senza interagire con nessun essere umano che non sia tua sorella o tuo cognato e, nel migliore dei casi, i tuoi nipotini. 

Sorseggiò il caffè pulendo poco dopo le labbra con un tovagliolo: odiava la panna ma non se la sentì di reclamare. Sapeva che la ragazza l'aveva aggiunta con le più buone intenzione. Prese a far battere la gomma al di sopra della matita sul tavolo fissando le parole sulle pagine bianche: a volte sconnesse, altre invece lasciate lì a caso nella speranza che la frase giusta arrivasse. Suonare non era il suo lavoro, eppure si sentiva in dovere di comporre almeno un pezzo ogni due settimane. E li teneva tutti al sicuro gli spartiti, lontano da occhi indiscreti. 

Massaggiò una tempia con la mano libera e senza che se ne rendesse conto, iniziò a disegnare un albero dalla folta chioma. Le sopracciglia corrugate erano la testimonianza che si stava impegnando, eppure quando percepì delle voci acute si costrinse ad alzare lo sguardo. Non era mai stato un ragazzo che si lascia trasportare da ciò che accade intorno, sapeva come mantenere la calma e lasciare che la curiosità svanisse. 

«Ci stavo riuscendo!» esclamò un ragazzo, entrando nel locale. L'arrivo del gruppo di amici ruppe l'atmosfera di tranquillità che si era venuta a creare, quello che Justin cercava ogni qual volta metteva piede fuori casa. A volte dimenticava però che il mondo esterno era un gran casino.

La Timidezza Delle Chiome  ➳ j.bDove le storie prendono vita. Scoprilo ora