capitolo quindici

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-Questi corridoi non finiscono mai...- sussurrò Marceline affannata. Le sue forze stavano abbandonando il corpo e ad ogni passo sentiva gravare il peso delle conseguenze sulle gambe che sembravano cederle da un momento all'altro, ma non si dava per vinta e andava avanti speranzosa. Gli occhi le saettavano da un angolo all'altro dei corridoi, le mani scorrevano tremanti sulle maniglie delle porte, l'affanno aumentava ed i suoi polmoni ormai erano pieni di polvere e muffa, le sue ferite infette (forse troppo), e cominciava a pensare che anche se fosse uscita da quell'incubo così reale sarebbe morta non appena rivisto il sole batterle sul viso, sì...secondo lei sarebbe andata così; i dolori delle ossa rotte iniziavano a farsi sentire e forse non avrebbe resistito a lungo, la speranza di uscire e morire con i raggi caldi del sole in volto stava svanendo, così come tutte le altre.
Non arrenderti Marceline le diceva una parte non uscirai da qui viva, moriremo! Arrenditi al nostro destino diceva l'altra. Era tutta una confusione.
Mentre camminava l'orribile vocina di una bambola le fece accapponare la pelle:
-Salvami...-, le aveva detto, -Ti prego...-, l'aveva scongiurata. Marceline ebbe un conato che trattenne a stento; quella bambola era orribilmente realistica, così realistica che a pensarci bene aveva dei tratti troppo umani per essere di pezza o cera, e le si raggelò quel poco sangue nelle vene che le era rimasto.
-Marceline, ti prego...- aveva ripetuto in tono lagnoso, -Posso aiutarti a scappare!-, disse all'improvviso per incitare la ragazza, -Io so dove nascondono l'uscita, devi solo portarmi con te! Ti prego...- lagnò ancora. Gli occhi di Marceline erano spaventati e quella bambolina non le sembrava molto amichevole nonostante le continue preghiere che le aveva rivolto.
-Io ti aiuterò a scappare e tu mi aiuterai a tornare normale!- le propose. Marceline si guardò bene dall'avvicinarsi a quel piccolo mostriciattolo dalle sembianze umane. -Io posso aiutarti, per favore...- la pregò di nuovo, ma la ragazza non osò muoversi dal suo posto. -Cosa mi garantisce che tu non stia mentendo?- le chiese allora. -Hai ragione a dubitare di me, ma anche io sono come te nonostante il mio aspetto, e voglio solo un modo per tornare umana come lo ero un tempo; per quale motivo dovrei mentirti?- le rispose a tono ella. -Ci sono tanti motivi per cui mentirmi...- le disse allora Marceline facendo un passo indietro vedendo che la bambolina, senza che lei se me accorgesse, aveva accorciato le distanze. -Ma Marceline...- cominciò -Io ti voglio bene, non potrei mai farti del male!- la rincuorò. No, doveva esserci qualcosa sotto, per forza. Quale essere trasformato in quel modo aiuterebbe mai un fuggitivo? Per pietà forse, per favere giustizia magari, ma da quelle creazioni non ci si poteva aspettare nulla. -Io ti faccio uscire di qui e in cambio tu mi fai tornare normale!- le ripetè la bambolina con tono allegro. -In che modo dovrei farti tornare normale?-, domandò quindi Marceline. -Donandomi la tua anima, mi pare ovvio!- rispose ella. La sua voce cambiò e da innocente divenne distorta. -Andiamo Marceline, voglio solo aiutarti!- disse ancora -Non accetti l'aiuto della tua amica?!-, le urlò contro di botto mentre la sua voce si faceva sempre più distorta e grossa, metallica, irriconoscibile, del tutto diversa da come si presentava prima.
Marceline tremò spaventata. Certo, aveva una bambola davanti, cosa pensate le possa fare? Ovvio che dare per scontato queste cose è da tutti, ma ricordiamoci che le creazioni di Jason non sono normali.
-Glutton, aiutami a portare la mia amichetta nella stanza dell'armadio!- ridacchiò la bambola e Marceline non capì al primo impatto, ma qualcosa attirò la sua attenzione verso le caviglie e quando si accorse che ciò che la stava circondando non era una semplice calza ma bensì un serpente di pezza, era troppo tardi. Si ritrovò presto ad essere trascinata per i vari corridoi con a capo la bambolina che faceva strada al serpente. A guardarla da fuori sembrava una situazione buffa ma trovarcisi dentro forse no, forse era sin troppo inquietante.
Camminarono a lungo per i corridoi e i dolori di Marceline stavano aumentando velocemente, quando arrivarono forse mancava poco prima che lei crollasse del tutto in preda ad un collasso cardiaco, ma quando vide l'armadio le si illuminarono gli occhi. Certo, se all'interno di quello della sua stanza ci fosse stata Narnia sarebbe stata più sollevata, ma la fortuna mai gira nel senso conveniente e lei si era ritrovata in un mondo orribile che puzzava di morte.
-Lasciatemi...- balbettò.
-Appena saremo nel territorio di Jason io potrò tornare normale, potrò finalmente vivere e respirare come una bambina, giocare, riabbracciare i miei genitori!- si esaltò la bambola. Marceline sembrò pensare alla situazione, a rivivere passo dopo passo quello che era successo. Alla fine si arrese.
-Ti aiuterò ma tu lasciami andare.- disse alla fine con tono risoluto, cercando di non far trasparire il dolore che sentiva.
-Ti sei decisa allora! Glutton, lasciala.- ordinò ella ed il serpente di pezza mollò la ragazza. -Bene, entra nell'armadio.- le ordinò e lei eseguì ma nel buio tirò fuori l'asse del martello che tanto avva tenuto da conto per potersi difendere. La bambola sembrò non essersi accorta di nulla e quando uscirono dall'oscurità una luce verdognola le fece socchiudere gli occhi: erano in uno studio che a prima vista sembrava fatto appositamente per un chirurgo plastico ed era ben attrezzato e dall'altra parte c'era una curiosa porta azzurra.
-Dov'è Jason?- domandò Jack osservando il frammento col quale osservava Marceline. -Non ne ho idea.- disse il giullare in risposta massaggiandosi la testa. -Pensavo fosse nel suo laboratorio.- ringhiò spazientito il primo. -A quanto pare il tuo amichetto vuole tenersi la preda tutta per sé.- ridacchiò Candy. -Cosa intendi, idiota in azzurro?!-  domandò iracondo. -Non ti è passato nemmeno per l'anticamera del cervello il pensiero che Jason fosse troppo obbediente questi giorni?- disse l'altro giocherellando con le proprie mani e facendo finta di esserci arrivato da solo, quando era palese che sapesse tutto fin dall'inizio. -Cosa imtenderesti dire?- domandò Jack furibondo, freddo, in uno stato che fece accapponare la pelle al giullare facendolo diventare cattolico all'improvviso, e pregare Dio di rimanere in vita ancora a lungo.
-Bene Marceline, adesso ti toglierò l'anima dal corpo e il tuo viaggio terminerà qui!- ridacchiò la bambola.
Certo che tutto si aspettava meno che una bambola umanoide che voleva estrarle l'anima dal corpo, piuttosto avrebbe freferito spaccarsi altre due costole e perdere la vita contro Jason che finire tra le grinfie di un essere che risultava il più strambo della situazione (Salvo la creazione felina di Jason). La bambola  girò per la stanza perlustrandone ogni angolo alla ricerca di qualcosa che Marceline non capì bene ma ne approfittò, e la colpì crudelmente sulla testa sbattendola contro il muro e le attrezzature. Quella si alzò brandendo un bisturi. -Tu hai tradito la mia fiducia, tu non meriti di salvarti, TU MERITI LA MORTE RAGAZZINA INGRATA.- le sbraitò contro alzandosi di scatto ad una velocità mostruosa. Marceline allora si sbloccò tuffandosi sulla porta azzurra che tanto agognava di aprire e così fece chiudendosi la porta alle spalle e bloccandola come poteva. Fu allora che si accorse del lungo corridoio che portava ad un'altra porta ancora, un lungo corridoio circondato da bambole di pezza o di cera. L'inquietudine fece tremare il cuore di Marceline, ma lo sbattere della porta alle sue spalle la spinse a continuare sotto gli occhi delle creazioni di Jason, che nonostante fossero così tremendamente umane, avevano un che di spettacolare.
Camminava tenendo ben saldo il proprio bastone tra le mani e quando finalmente raggiunse la porta si sentì più leggera. L'aprì.
-Andavi da qualche parte?- chiese retoricamente Jason. Il suo ghigno esprimeva soddisfazione. -Per di qua non si va- ridacchiò facendo indietreggiare Marceline. Ma qualcosa andò storto ed il primo a rendersene conto fu proprio Jason. Si guardò in torno più arrabbiato che mai ed improvvisamente la sua forma mutò ed i suoi capelli color mogano divennero bianchi ed i suoi occhi brillavano come smeraldi.
La luce tentennò, ed il calore che prima avvolgeva entrambi svanì trasformandosi in aria gelida e pnetrante; le pareti, le creazioni del giocattolaio ed il pavimento iniziarono a congelarsi mostrando una leggera patina fredda che si espandeva a vista d'occhio. La luce tentennò di nuovo fino a spegnersi del tutto e le lampadine esplosero a contatto col ghiaccio. Si alzò un venticello che fece stringere nelle spalle Marceline mentre Jason si guardava attorno. L'ululare deo vento facva sobbalzare la ragazza ogni qual volta lo udiva, ma il giocattolaio sembrò solo che esserne confuso, lo spaesava.
-Vieni fuori stupido Clown! Farò di te una delle mie creazioni più belle, un pupazzo di pezza magnifico, una bambola di cera talmente realistica che dovrai essere rinchiuso in una stanza sicura solo per te!- disse delirante Jason. Una risata agghiacciante eccheggiò nel corridoio quando nell'oscurità si riuscì a distinguere una figura alta che avanzava a passo pesante.
-E dire che mi fidavo di te, Jason!- gli ringhiò contro sbattendo uno dei suoi artigli addosso alle bambole, -Ma adesso sei solo carne da macello come lo è questa stupida ragazzina!-
Ella sobbalzò quando sentii una lama gelida sulla guancia.
-Ti faccio fuori stupida zebra!- dichiarò lanciandosi contro la figura, nell'oscurità totale, venendo al seguito scaraventato addosso alla ragazza sfondando la porta dalla quale era spuntato Jason. Il gelo la raggiunse anche lì.
Ci volle poco ed il peso del corpo del giocattolaio svanì di colpo. Delle urla susseguite da risate isteriche, preghiere e spergiuramenti. Marceline non volle rimanere un secondo di più e con le ultime forze che aveva ancora da giocare si alzò, e brancolando nel buio si accorse di un piccolo bagliore non molto lontano.
-Marceline...- una voce grave la chiamava ed il freddo improvviso alle sue spalle le fece capire chi fosse. Cominciò a correre con tutta se stessa cadendo faccia avanti su di un pavimento sin troppo familiare per lei. Scoppiò a piangere dall'emozione. Era salva!
-Mamma, papà, sono a casa!- aveva urlato in preda alla gioia e alle lacrime scaturite da essa.
Due possenti mani le bloccarono le caviglie tagliuzzandole con i loro artigli. Marceline trasalì dallo spavento. Non era ancora in salvo.

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