Eppur cos'è umano? Cosa distingue la mia mente dalla loro? Quando l'uomo è diventato troppo macchina per essere ancora considerato uomo e quando la macchina si è evoluta a tal punto da spingere gli uomini a creare movimenti per il riconoscimento della loro vita? L'uomo ha forse cercato di elevare la macchina a specie per poi abbatterla perché insicura della propria natura, perché ormai incapace di capire che cosa li rendesse vivi, che cosa li rendesse superiori?
Mi sveglio, sento il sudore colare sul mio volto e bagnare i miei vestiti logori, ma la mano di lei mi conforta. Sente ciò che sto provando, perciò poggia il suo palmo sulla mia guancia destra accarezzando il mio volto ricoperto dalla barba. Mi guarda con i suoi verdi occhi dolci, chissà i creatori a chi si saranno ispirati per darglieli. Decido di alzarmi dal mio giaciglio improvvisato, rimetto tutti i miei averi nelle ampie tasche interne del mio giaccone e infine mi muovo. Lei mi è accanto, mi segue in ogni mio passo, ma non mi rivolge la parola. Mi dona sorrisi, ma non un sussurro. Non è muta, ma ora non c'è posto per le parole, poiché il cammino è lungo e non c'è tempo da perdere. Mentre esco da un grattacielo abbandonato recante la sigla ATTI sopra l'entrata, un freddo glaciale mi colpisce con forza. Il giaccone e strati di ogni capo possibile mi tengono al riparo dall'assideramento, ma l'aria mi spinge e ostacola il proseguimento del mio viaggio. Attorno a me giacciono come addormentati uomini o forse macchine. Chi può dire cosa siano? Forse loro sono gli uomini che diedero la caccia alle macchine durante la Grande Purga della Falsa Vita oppure sono le macchine stesse che fuggirono e il cui dolore squarciò il silenzio. Indistinguibili nell'aspetto, ma considerati diversi per motivi che non tutti capirono e ancor meno vollero capire quando premettero il grilletto.
Affondando i miei stivali nella neve persisto verso la mia destinazione anche se non la vedo. So che è là e non sono l'unico a sentirlo. Improvvisamente vedo altri come me, il loro passo lento quanto il mio, ma deciso a raggiungere la meta. Lei è sempre qui con me, mi guarda e poi indica gli altri, mi fa notare la loro presenza. Io le sorrido. Le sciarpe che mi coprono le impediscono di vedere la mia bocca inarcarsi per mostrarle la mia gioia nel continuare a vederla, ma lei lo sa. Ci siamo conosciuti molto tempo fa e da quel momento non ci siamo mai lasciati.
Alcuni uomini o macchine mi guardano, mi rivolgono dei cenni e poi continuano a camminare lungo le strade innevate e disseminate di corpi immobili, macerie di un passato ignobile e cadaveri di veicoli distrutti. Mi sfugge una risata pensando al tempo in cui vivevamo in pace, quando la guerra era diventata solo un concetto appartenente alla simulazione in campo ricreativo, quando nessun batterio patogeno o virus era più in grado di toccarci, quando il mondo era diventato perfetto. La nostra società era al culmine, un impero ramificato in tutta la galassia governato dai Maestri dell'Ambra, menti illustri la cui combinazione di competenze era in grado di fornire conoscenza di ogni tipo per ogni argomento pensabile da una mente umana, sintetica o aliena.
Eppur cos'è umano? Questa fu la domanda che una delle menti si pose, quel seme scuro piantato in un campo bianco che ben presto scavò le proprie radici sempre più a fondo, diffondendo quell'oscurità che andò ad intaccare l'intero campo, finché le parole scure non furono semina per i campi degli altri Maestri. I campi marcirono, il Sole calò, lo specchio si ruppe, l'uomo sentenziò. La macchina venne cacciata, non importava il fatto che un proiettile nel loro petto facesse fluire verso l'esterno sangue come il loro e infine la vita.
Non importava e fu proprio questo a dannarli. Mentre prima l'incapacità dell'uomo di distinguere il proprio simile dalla macchina fu fonte di pace, da quel momento fu fonte di morte. Tutti rivolsero le proprie armi contro gli altri, la perfezione ormai distrutta mentre le altre specie della galassia ci guardarono, dagli alti individui dorati ai chitinosi insetti ciclopi. Qualcuno intervenne, altri continuarono a guardare. Alla fine tutto fu inutile, l'umanità aveva raggiunto il punto massimo del grafico della propria esistenza e da lì ci fu solo discesa verso l'annichilimento.
Torno ad osservare la strada davanti a me mentre qualche lacrima bagna i miei occhi ricordando gli eventi. La meta è vicina, ho attraversato questi resti di un popolo morto per vederla. La torre che si erge ad alcuni chilometri da me è immensa, il nero lucido delle sue mura è un inconsapevole monolito di arroganza nei confronti del bianco da cui è circondato. Quando la raggiungo sono di nuovo solo con lei, tutti gli altri sono spariti nel nulla. Una grande porta si apre appena mi avvicino, permettendomi di addentrarmi in questo organismo di corridoi neri tanto quanto le mura. Il silenzio è uno stridio oppressivo, nessun rumore riesce a penetrare le pareti e persino i miei passi vengono attutiti in maniera innaturale. Volgo il mio sguardo verso l'alto, so di dover raggiungere la cima.
Lei indica davanti a me, c'è un'ascensore. Forse è sempre stato lì, di questo non ne sono completamente certo. Le porte dell'ascensore si chiudono appena entro insieme a lei, poi iniziamo a salire senza che io abbia inserito alcun comando. È un'ascesa e mentre ci innalziamo comincio a sentire di nuovo il confortante fischio del mio respiro.
Siamo arrivati, l'ascensore è aperto e mi trovo dove devo essere. Questo è il luogo dove il mio viaggio termina. Mi avvicino ad un enorme macchinario dotato di braccia meccaniche. Lo osservo mentre rileva la mia presenza e pronuncia strane parole che non riesco a comprendere. Mi giro un'ultima volta verso di lei, ma anche lei è sparita. Ormai sono arrivato, non ho più bisogno di far finta che sia ancora con me. Le braccia meccaniche si piantano nel mio corpo, il dolore mi pervade e vedo il mio sangue e altri fluidi riempire lunghi tubicini collegati al macchinario. Quest'ultimo, fino a un momento prima nero come le mura, si accende e presto mi rivela le forme di tanti neonati già completamente formati.
Eppur cos'è umano? Io sono nato come macchina, eppure sono umano poiché questi nuovi uomini sono nati da me. Un ciclo infinito di iterazioni della definizione del mio essere. Una domanda che ha piantato un seme scuro nel campo bianco poiché era la sola domanda a cui nessuno ha saputo trovare risposta.

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Eppur cos'è umano
Science FictionUomo e macchina. Macchina e uomo. Due concetti si mescolano nel viaggio di un uomo.