2. Anthemis Nobilis

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Non ne ho molte di passioni, ma l'aereo di certo non rientra tra quelle poche che ho. Così, quando mi ero ritrovata davanti il maestoso jet, le gambe avevano preso a fare i capricci e a tremare nonostante io fossi completamente ferma, immobile e piantata a terra.
La valigia rossa pareva essere eccessivamente pesante per poter essere trasportata fino alle scalette e tutto ciò che mi veniva in mente, erano diversi modi per scappare da lì e tornarmene a casa. Non mi ero portata nessun cimelio, nessun piccolo ricordo da coccolare nei momenti di nostalgia, perché difficilmente ci sarebbero stati.
Ma una cosa avevo deciso di portarla, al di fuori di tutto ciò che avevo ritenuto indispensabile: la mia pianta di basilico.
Il basilico, seppur essendo una pianta incredibilmente semplice da far crescere, non aveva mai voluto saperne niente di crescere nel balcone del mio appartamento, nemmeno con tutte le agevolazioni che gli erano state fatte. Avevo fatto in modo che la sua crescita non venisse intralciata da alcun elemento esterno, circondandolo con una retina in metallo per non farlo attaccare dagli uccelli, mettendolo varie volte in vasi diversi e cambiandogli almeno cinque tipi di terriccio, ma nulla. Non voleva saperne di crescere in maniera rigogliosa. Ogni tanto, faceva due o tre foglioline, giusto per prendermi in giro.
Lo avevo messo in una busta rinforzata, avvolto fino a metà da un panno umido. Chissà, nella mia mente speravo che quello fosse un buon modo per mantenerlo in vita.
I lenti passi che facevo verso il mezzo mi permisero di mettere a fuoco la figura piantata sulla porta d'ingresso del jet, un'hostess avvolta da un completo color carta zucchero, la gonna fino al ginocchio in un taglio aderente e dritto.
Alla base delle scalette c'era James, il geometra aziendale nonché grande amico di Mr. Lemaire. Le braccia incrociate sul petto, gli occhiali da sole scuri appoggiati sul naso e le sue solite scarpe da ginnastica bianche. Ne indossava sempre un paio bianche e il più informali possibile, sotto un completo serio e scuro, con tanto di cravatta; la maggior parte delle volte per infastidire il suo amico che, al contrario, al lavoro pretendeva un abbigliamento rispettoso, formale e in ordine.

"Anaëlle, congratulazioni," mi salutò con un ampio sorriso e allargò le braccia, regalandomi un veloce e amichevole abbraccio, "come ci si sente ad essere la nuova prescelta di quest'anno?"

"Bene, direi," strinsi le spalle. Ci si sentiva benissimo, ma la conversazione di due giorni prima non mi era passata di mente e in tutta sincerità, non condividevo a pieno il progetto, "sarà solo tutto più frenetico, immagino."

"Lo sarà quando sarai di nuovo a casa," una mano poggiata sulla mia spalla, in un atto di sincera comprensione, "ma ora non pensarci, ci attende un comodissimo viaggio," esclamò, indicando il mezzo alle nostre spalle.
Aggrottai le sopracciglia nella mia più esatta rappresentazione di qualcosa di totalmente poco piacevole e che mi rendeva contrariata, James prese la valigia e mi seguì su per le strette scalette bianche.

"Siamo lieti di darvi il benvenuto a bordo del Lemaire's jet, le auguriamo un piacevole viaggio. Le basterà premere il campanello al centro dei tavoli, se mai avesse bisogno di qualsiasi cosa, noi siamo a vostra disposizione," queste furono le parole della hostess che avevo visto da lontano, parole programmate, un tono di voce immutabile, lineare.

"Grazie mille, Catherine," entrai all'interno del jet, ma non mi allontanai abbastanza da non sentire le parole di James, "saresti così gentile da indicarmi la strada per il bagno, più tardi?" le guance della giovane si tinsero d'un delicato rosso e con una leggera pacca di James, sparì.

"Credo che il bagno sia quello," alzai un sopracciglio e puntai il dito verso la porta poco distante da noi, la porta a destra.

"Credo che tu sia una guastafeste," rispose lui con una sonora pacca sul capo e quello che somigliava a un ghigno, seguito da una breve risata.
Si tolse la giacca e si mise a sedere davanti a me, il suo portatile aperto davanti agli occhi. Trovavo James una persona incredibile, così diverso da Mr. Lemaire, in tutto e per tutto. Ernest dedicava la sua intera vita al suo lavoro, ne faceva la sua priorità più assoluta e se c'era da invocare qualche santo per riuscire a portare a termine qualche affare, non c'erano problemi. Non lo avevo mai visto fuori dalla sede principale della Lemaire's Enterprises, eccetto per gli eventi a cui doveva partecipare, le conferenze e tutti gli altri impegni di lavoro. Non lo avevo mai incontrato a fare due passi fuori, con un abito informale e un'espressione spensierata, mai.
L'amico era l'opposto e probabilmente lavorava ancora lì solo per la profonda amicizia che lo legava al suo capo.
Passava le sue intere giornate in ufficio a destreggiarsi in serie partite di scacchi con le segreterie e le dipendenti del suo piano, per poi regalare loro 'momenti indimenticabili', come gli piaceva dire. Se c'era l'assoluto bisogno di lui per qualcosa di importante, non si faceva aspettare, pronto due ore dopo con i disegni e gli appunti in mano.
Ma era questo che mi piaceva di James, la sua serenità nei confronti della vita.

Botanical Illustration; HSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora