Capitolo Ottavo

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365 giorni dopo l'abbandono.

Drew Wyatt

Non mi rendo conto subito di cosa stia succedendo. Non avrei nemmeno mai pensato che una domanda potesse causarle questo tipo di reazione.

Cooper è pallida e ha gli occhi sgranati, persi nel vuoto.

Le stringo la mano che trema, cercando di tranquillizzarla. «Cooper, va tutto bene?» La mia voce lascia trapelare tutta la mia preoccupazione, nonostante i miei più generosi tentativi per evitarlo. «Cos'hai? Parlami, Cooper.» continuo, accarezzandole la mano.

Lei deglutisce, poi chiude gli occhi e li riapre dopo qualche secondo, tenendoli puntati sulle nostre mani intrecciate.

Sospiro, buttando fuori tutta la tensione.

«Scusami...» sussurra con voce roca, «Non so cosa mi sia preso.» I suoi occhi fanno fatica ad alzarsi dalle nostre mani, come se avesse paura di incrociare il mio sguardo.

Conosco quella paura: l'ho vista nei miei occhi molte volte durante la mia vita. È il passato che torna a farti visita, quando meno te lo aspetti.

Le persone cambiano e si modellano in base alle esperienze che compiono. La nostra vita, il nostro passato è ciò che ci cambia realmente. E molte volte gli eventi che innescano i cambiamenti non sono per niente positivi. Ecco perché cadiamo nel terrore quando ci fanno una domanda o trasaliamo dalla paura quando incrociamo lo sguardo di qualcuno di familiare.

«Non devi scusarti. Se vuoi parlarne, io sono qui...» sussurro dolcemente, «Sappi solo che qualunque cosa sia che ti tormenta, non può più farti del male, okay?» Le sfioro una guancia, poi dolcemente le faccio alzare il mento. I suoi occhi ritornano su di me e per un attimo mi perdo nel piacere di guardarla.

Sento che qualcosa è cambiato tra noi e, per quanto lottiamo per negarlo al mondo e a noi stessi, non c'è più rimedio né un tasto per cancellare tutto questo. Sento di essere il primo a essere entrato nella sua vita e ad averla vista con tutte le sue paure e i suoi difetti, così come lei è stata la prima ad avermi risvegliato da una vita piatta.

I suoi occhi per tutto questo tempo hanno urlato a bassa voce una richiesta d'aiuto e finalmente brillano nella gioia di essere stati ascoltati.

«Devo andare...» mormora, dopo un caloroso silenzio.

Inspiro profondamente. «No, non devi.» sussurro, lasciandole la mano, poi mi passo le dita tra i capelli. «Non farò domande se necessario, ma resta. Me l'hai promesso!» continuo, cercando di essere meno disperato possibile.

La vedo sospirare e lottare contro due pensieri opposti. Sposta lo sguardo nel vuoto dietro di me, un paio di volte, ma, quando poi torna a guardarmi, so quale decisione ha preso.

«Va bene... Resto.» dice con tono di voce piatto. È ancora molto scossa, lo sento.

Scivolo giù dal cofano e dall'auto tiro fuori la mia giacca nera. «Tieni.» mormoro, porgendogliela. «Inizia a fare freddo.»

Lei annuisce e la indossa, poi se la stringe al petto e resta in silenzio.

«Allora,» dico, appoggiandomi di nuovo al suo fianco: i nostri corpi stavolta sono più vicini tanto da sentire il calore della sua pelle contro il mio braccio. «Fammi qualsiasi domanda.» mormoro ancora, cercando di distrarla.

Ci impiega qualche minuto, ma alla fine cede. «Tu perché sei partito?» chiede con voce più chiara di quanto mi aspettassi. Il suo sguardo però è fisso su un piccolo giardinetto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 14, 2017 ⏰

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