Quarta manche

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Giallo

Le navi mi piacciono.
Amo osservare la loro forma sinuosa quanto amo ammirare il viso di una bella ragazza. Adoro i loro alberi, per me le più belle torri che mai un castello possa avere. La notte, quando gli incubi mi riempiono la mente di nera paura tanto che non mi riconosco più dal buio attorno a me, penso a come è bello essere cullati dal perpetuo ed accattivante dondolio delle barche sospinte dalle onde, al ritmo dei tuoi sogni sempre più vicini.
Ma fra tutte le imbarcazioni che mai suscitarono in me questo interesse quasi morboso, la Cuate ha certamente il diritto di essere prima. Non so il perché. Non mi stancavo mai di contare e ricontare tutte le sue vele, di accarezzare il suo legno ogni qual volta si avvicinasse al porto e pure di invidiare con tutto me stesso i fortunati marinai che potevano vantarsi di navigarci sopra.
Dopo un mese di frustrazione pura mi adoperai per salire a bordo e rimanerci. Non fu difficile, se vogliamo dire il vero: io sono un tipo simpatico e il lavoro come mozzo mi costò solo una risata ben piazzata del Capitano.
E dunque ora ero qui, sopra il galeone che era riuscito ad incantarmi. Meta? Probabilmente l'ultima. Il capitano, ormai vecchio, aveva deciso già da quando la nave di Colombo aveva fatto ritorno narrando la sua impresa, che lui avrebbe ricalcato le gesta dell'italiano. La sfida era naturalmente impossibile, così tutti dicevano, ma nessuno mai riuscì a far cambiare idea al vecchio e alla fine tutti, i "nessuno" incapaci, si arresero. Per me andava bene, comunque: meno gente sgomitava per salire, meno gente era salita. Io, poi, non temevo certo per la mia vita: tanto me la cavo sempre, qualunque cosa accada.
Stavo ammirando il mare luccicare sotto il sole luminoso, i raggi inghiottiti e rigettati dalle onde. Nella mia mente ne descrivevo ogni minimo luccichio, come avessi avuto una penna in mano e un foglio da inchiostrare.
Mi piace raccontare la mia vita come fossi in un libro: credo sia questo il mio trucco "essere il protagonista del mio racconto" di modo che andrà sempre tutto per il meglio alla fine. Sono lo scrittore di me stesso. Un amorevole scrittore che non scrive per amore della fama ma per amore dei personaggi, per la gioia di dare la vita.
E dunque ero totalmente assorto nell'ammirazione del paesaggio, ogni senso preso d'assalto da mille nuove ed attese sensazioni. Certo non mi interessava nulla del mondo intorno.
A François, lo scapestrato marinaio francese di forse cinque anni più vecchio di me invece, interessava. Il signorino mi aveva già puntato da quando mi aggiravo intorno all'imbarcazione, alla "sua Cuate" come diceva quando il Capitano non era in giro. Oggi aveva optato per tentare di uccidermi spingendomi giù dal parapetto al quale mi stavo mollemente tenendo per osservare la terra scomparire.
Il mio cuore perse un battito allo spintone che mi percosse. O forse due battiti. O tre. Credo avesse già deciso che ero finito e che non valeva la pena di lavorare un attimo in più. Lo sorpresi, però, poiché riuscii a rimanere aggrappato ben stretto, evitandomi così una terribile morte per annegamento. Dietro di me sentii François sghignazzare un "accidenti, s'è salvato". Presi un profondo respiro. Strinsi con tutte le mie forze il legno, cercando di convincermi a non attaccare l'armadio umano dietro di me, e mi diressi alla cucina dove lavorava il mio unico vero amico su quella bellissima bagnarola: Miguel, l'aiuto-cuoco.
Lo salutai con un cenno e mi sedetti accanto a lui, per terra. "Non hai dormito nemmeno stanotte, eh?" Domandai, accennando alle sue evidenti occhiaie che rendevano i suoi occhi scuri ancora più cupi e grandi di quanto già non fossero. Mentre annuiva sbadigliando le ossa delle braccia tese a stiracchiarsi si misero belle in mostra.
"Dovresti mangiare un po' di più... sei uno stecco... e dì di no almeno una volta a Diego -il cuoco, per inciso-, quello non ti farà dormire per l'intero viaggio se non ti decidi! E poi solo per fare la sentinella e controllare che nessuno faccia nulla... tu chi sei per farlo? Solo un aiuto-cuoco!". Mi prendono sempre questi discorsi. Mi accaloro sapendo che qualcuno soffre dei soprusi.
"Tullio... Non ti preoccupare per me..." borbottò Miguel, lanciandomi uno sguardo coi suoi occhioni. Io sbuffai appena ma decisi di evitarmi un umore nero, così mi sforzai di prenderla sul ridere e allungai delle labbra poco convinte fino a dove ebbero la forza di spingersi, arrampicandosi faticosamente fino alle mie guance.
Miguel scoppiò in una risata che mi ferì un poco: "Quel tuo sorriso, Tullio, quel tuo sorriso!"
"Quale sorriso?" Domandai, fingendo di non sapere la risposta. "Ma sì! Il tuo sorriso! Alzi come le labbra sui canini..." spiegò, in difficoltà. Io amnuii, condiscendente: tutti coloro che mi conoscevano prima o poi facevano la loro "stupida considerazione" che mi irritava non poco. Se non altro la cosa si ripeteva al massimo un paio di volte, poi chiudevano un po' il becco. "Sembri un vampiro così, Tullio!"
Così decisi di lasciare Miguel alla sua magrezza e andai sottocoperta, non scordando di lanciare un occhiata di odio al mio simpatico francesotto, François.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 22, 2018 ⏰

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