Parte 1

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I. Prometto che ci rivedremo

Ero seduta per terra, con le mani dietro alla schiena e mi sentivo impotente, incapace di muovermi... sentivo un peso grandissimo al cuore e non potevo fare a meno di piangere. Lui era da parte a me e mi fissava intensamente. Sentivo gli occhi di quelle persone malvagie su di me, che sghignazzavano come corvi.

"Prometto che ci rivedremo...", mi sussurrava lui.

"Questo non lo puoi sapere. Io ti amo... ti prego non lo dimenticare mai!", dissi con le lacrime agli occhi.

"Piccola... ti amo anch'io."

Il suo sorridere a fior di labbra mi dava pace... prese il mio viso fra le sue mani; toccò leggermente le mie labbra con le sue... sentii che il mio cuore si stava sciogliendo.

"Sono passati i cinque minuti che vi avevamo concesso", esclamò uno di loro...


II. 88. Questo era il mio numero

Molto tempo fa, prima che io nascessi, la vita sulla mia isola era bellissima... la gente rideva... ballava... regnava l'amore e c'era felicità, ovunque...

Ma un giorno una popolazione che veniva da lontano prese il comando della nostra isola...ci sottomise e ci obbligò a lavorare senza sosta. Ci fecero costruire muri, ponti, case e molto altro. Una volta che fummo abbastanza forti per poter svolgere qualsiasi duro lavoro, tutta la nostra popolazione fu chiamata in un unico e solo modo:

SCHIAVI.

Ogni schiavo aveva un proprietario, quest'ultimo aveva il diritto di vita e di morte sul prigioniero. Poteva sfruttarlo e non doveva pagarlo.

Gli schiavi erano una merce e venivano venduti, esportati, barattati, umiliati; erano vittime, prive di ogni diritto.

Non importava se erano piccoli, giovani, vecchi, adulti o ammalati: tutti erano costretti ai lavori forzati, vittime di traffici sessuali o segregati come sguatteri.

Dovevano vivere in luoghi orribili, in celle, nelle quali avevano il diritto di mangiare solo una volta al giorno: pane e acqua, questo era l'unico nutrimento.

Gli schiavi, o la popolazione, da quel giorno non avrebbero mai più avuto un nome... ma un numero! Un numero marchiato con il fuoco sulla loro pelle.

88. Questo era il mio numero.


III. "Il capo" della gabbia

Ero una schiava. Avevo sempre le mani annodate dietro alla schiena e dovevo fare quello che il mio padrone voleva... altrimenti venivo picchiata...

Il sovrano del popolo invasore stava al centro di tutti e di tutto.

Purtroppo, io dovevo ubbidire proprio a lui, solo ed esclusivamente a lui. Io gli facevo del bene, ma sapevo che lui mi odiava. Faceva di tutto per rendermi la vita impossibile.

Proprio per questo, venivo rinchiusa in una cella, con altri nove schiavi. Uno di loro, lo detestavo più degli altri...

Occhi gialli, carnagione molto scura e capelli corti. Si comportava come se fosse "il capo" della gabbia.

Ricordo e ricorderò per sempre le sere passate lì dentro. Mi usavano per i loro scopi personali, non avevo pace.

Un giorno le cose si erano davvero messe male. Mi avevano preso le gambe e le braccia e me le tenevano bloccate al suolo, in modo che ero incapace di muovermi. Urlavo, nella speranza che qualcuno venisse ad aiutarmi, ma fu tutto inutile.

Schiava 88Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora