That's the family

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«Mescolando acqua e olio e agitando otteniamo un'emulsione. Chi mi sa dire cos'è un'emulsione?» La professoressa si girò per guardare i suoi studenti. Alcuni erano ancora impegnati a scrivere gli appunti sui propri quaderni, lanciando rapide occhiate alla lavagna. Ma al banco dell'ultima fila, accanto alla finestra, un ragazzo non alzava lo sguardo dal suo foglio. Sbuffando, la professoressa lo richiamò: «Forse il caro Robert mi saprà rispondere.» Sentendo il suo nome, il moro lasciò perdere quello che stava facendo. «1914» Disse sicuro. «Prego?» «1914. L'anno in cui è iniziata la prima guerra mondiale.» Gli studenti soffocarono una risata, chi più chi meno bene. Non comprendendo la reazione dei compagni, il ragazzo strizzò gli occhi per vedere cosa era scritto sulla lavagna e troppo tardi capì qual era la materia del corso. «Mary.» La professoressa diede la parola alla ragazza del banco accanto. «Un'emulsione è un miscuglio che si ottiene dalla mescolanza di due sostanze non solubili tra loro.» Disse con nonchalance la bionda. «Sai Robert, forse dovresti prendere ripetizioni da tua sorella Mary.» Il ragazzo la ignorò, tornando col capo chino: non era la prima volta che glielo dicevano, e sicuramente non sarebbe stata l'ultima. Poco dopo ricevette una gomitata dalla sorella. Alzando lo sguardo un po' innervosito, si trovò davanti la faccia a punta dell'insegnante che senza tante storie gli prese il foglio su cui era tanto concentrato. «Mi fa piacere che trovi così tanto interessante la mia lezione da disegnare un... uno slenderman.» Commentò la professoressa con una punta di disgusto. «È un wendigo.» La corresse il moro. «Sai già dove andare, no?» Lo riprese. «Se mi rida il disegno, ci vado subito.» Con un movimento brusco, il foglio ritornò al proprietario che, preparato lo zaino, salutò con un cenno la sorella e uscì dalla stanza. Con passo sicuro si avviò nei corridoi vuoti e silenziosi della scuola. Mentre camminava, osservava il suo lavoro. "È venuto bene. Peccato che il foglio non renda la grandezza." Pensava. In poco tempo, si trovò a destinazione. Sulla porta davanti a lui, brillava una targhetta d'ottone. "Dirigente Vanessa Martin." Bussò un paio di volte e una voce femminile all'interno della stanza lo invitò ad entrare. «Buongiorno Signora.» disse cortesemente. «Robert! È da un po' che non ti vedevo. Iniziavo a preoccuparmi sai?» scherzò la donna. Il ragazzo accennò un sorriso e si mise a sedere sulla grossa poltrona davanti alla scrivania. La donna si tolse gli occhiali, sorridendo. «Cos'hai combinato stavolta?» Robert gli porse il disegno. «Cos'è?» «Un wendigo.» Vanessa lo esortò a continuare. «Wendigo o windigo è una parola indiana che significa "malvagio" o "che divora". Può avere 100 anni. E' un uomo che nel tempo ha subito una trasformazione. Probabilmente prima era un indiano o un cacciatore. Quest'uomo, durante un inverno rigido, è stato tagliato fuori da aiuti o approvvigionamenti. Per sopravvivere è costretto a diventare cannibale. Ciò lo porta  acquisire una grande forza, intelligenza, velocità. Con il passare del tempo diventa una creatura perennemente affamata, che tiene in vita le sue vittime per poterle mangiare quando vuole. L'unico modo per ucciderlo è dandogli fuoco.» La donna lo guardò negli occhi verdi, studiandolo per quanto potesse. «Hai detto che deriva da un uomo no? Non si può invertire il processo?» Il ragazzo scosse la testa. «Tutta la sua umanità è sparita quando ha iniziato a mangiare i suoi simili.» Concluse. La signora Martin, dopo qualche istante di silenzio, ridacchiò. «Certo che hai una gran bella fantasia eh?» Il ragazzo accennò ad una risata, lievemente imbarazzato. "Pensavi davvero che ti avrebbe creduto Rob? Lei non può capirti, le non può sapere. Lei non sa. Continuerà a farlo finché il suo cuore sarà troppo vecchio per sostenerla e si spegnerà circondata dai suoi nipoti. Ed è giusto così." Disse fra sé e sé il giovane. «Non è la prima volta che mi racconti di un mostro... Hai mai provato a scrivere uno dei tuoi racconti?» Chiese Vanessa interrompendo i pensieri dell'altro. «No e sinceramente non ci tengo. Sarebbero piatti e ripetitivi.» rispose amareggiato. «Come puoi dirlo?» Non c'era alcun tono accusatorio o derisorio. Erano domande puramente curiose. Da quando quel ragazzo era entrato la prima volta nel suo ufficio, si era sempre preoccupata che stesse bene. Per quanto ne sapeva, non aveva una situazione familiare felice. «Lei leggerebbe le storie di persone che cacciano per tutta la loro vita fantasmi, demoni e wendigo?» ribatté. «Per tutta la vita?» chiese dubbiosa. «Tutta.» La serietà del ragazzo la scombussolò. In fondo erano solo storie, no? Tossì, più per prendere un momento che per altro. Porse il foglio a Robert, poi si alzò e si avviò verso l'uscita. «Vieni con me.» Mentre la signora Martin si muoveva agilmente tra i corridoi, Robert le stava dietro senza problemi: lei poteva avere i tacchi, ma lui era alto un metro e ottanta. Finalmente, arrivarono davanti ad una porta di vetro opaco. Prima che la dirigente la aprisse, a Robert sembrò di scorgere qualche macchia gialla sul vetro. Nell'aula, gli studenti erano disposti a semicerchio e tutti puntavano verso il busto di un uomo. Ricordava dai libri di storia che quello era Caio Giulio Cesare. O almeno un'imitazione del busto reale. «Signora Martin! Che piacere vederla qui!» Una signora stravagante con i vestiti sporchi, probabilmente della stessa tinta che aveva sporcato anche la porta,  li raggiunse. Era la professoressa Agustin, l'insegnante di arte. «Mi hai portato un nuovo studente?» le chiese sorridente. «Si, credo di sì. Che ne dici Robert, ti va di provare?» propose dolcemente al   ragazzo. «Vieni figliolo, fammi vedere cosa sai fare.» Dopo qualche istante di riflessione, Robert si avvicinò all'insegnante che non esitò a mettergli il braccio tozzo intorno alla vita.

It's a family businessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora