Quarantatré - Mihangel.

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«Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra!».

Lorenzino prende a ridere, mentre io abilmente crollo giù, facendo ben attenzione a non fargli del male. La sua risata è contagiosa, ridacchia di buon gusto e dalle sottili labbra si intravedono i primi piccolissimi dentini.

«Allora, a papino?» - Marco, il compagno di mia sorella, fa il suo ingresso nella mia cameretta, adagiandosi al letto. «Quand'è che cominci a camminare un po'?» - continua, prendendo fra le braccia il piccolo.

Quando me ne libero, ne approfitto per allungare il braccio verso il comodino ed afferrare il mio cellulare. Al di sopra dello sfondo - una delle rare foto mie e di Alisya - la scritta "11.30 – dom 7 ago" si illumina, facendomi sbuffare. E' ora di andare.

«Marco io vado...» - mormoro distrattamente, dopo aver infilato ed allacciato le scarpe. «Quando Madda e mamma tornano dal supermercato, di' che non ci sono per pranzo.» - continuo, scappando letteralmente dalla stanza e lasciando mio cognato e mio padre da soli nell'appartamento.

A due a due scendo le scale e, arrivato al piano terra col fiatone, «Cazzo!» - sussulto, battendomi una mano sulla fronte, non appena mi ricordo che oggi, fra le mille cose da fare, devo anche accompagnare Alisya all'ospedale per togliere i punti dalla fronte.

Mi mordo l'interno della guancia, intanto che chiudo il portone di casa e i ricordi di sabato – non ieri, ma quello scorso – tornano alla mente come una cascata impetuosa.

Sfilo il telefono dalla tasca, continuando a camminare, ed eseguo la medesima azione che ho compiuto fin troppe volte negli ultimi otto giorni. Rileggo il messaggio di Nina, quello che lessi la settimana scorsa, prima di vedere Alisya sul letto d'ospedale, la notte in cui è stata aggredita.

"Ecco cosa succede, quando rifiuti gli ordini del capo".

Che stronza.

No...

Che stronzo, io.

Mi reputano troppo affettuoso con Alisya, e troppo poco con Nina, la quale, secondo loro, dovrebbe essere la mia 'vera' fidanzata. Oh, andiamo, ma di cosa si sta parlando? Vera fidanzata, falsa fidanzata...

Chiudo la portiera della macchina, allacciando prontamente la cintura. «In che cazzo di guaio mi sono cacciato!?» - la mia domanda, a cui non ci sarà risposta, riecheggia nella mente e nell'abitacolo da oramai troppi giorni.

Giorni fa i coniugi Frisoni, forzati ad uscire allo scoperto dato ciò che è accaduto ad Alisya, informarono i miei genitori della situazione attuale.

«Oramai siamo vicini alla verità.» - affermò Mauro Frisoni, guardando con un velato sorriso mia madre e mio padre, seduti attorno al tavolo; io li guardavo un po' distante, poggiato all'anta della porta da cui erano entrati pochi minuti prima i genitori di Perla. «Anche e soprattutto grazie all'aiuto di vostro figlio e di Luigi – il nostro infiltrato – stiamo raccogliendo preziose informazioni.».

«Sì, ma ormai è da un mese e mezzo che...» - principiò a parlare mia madre, con un tono a dir poco innervosito, nell'invano tentativo di ricordare il momento in cui i carabinieri, bussando quella notte alla porta di casa nostra, avevano riaperto una ferita che si pensava rimarginata da tempo - «Cioè, io non ci sto capendo davvero nulla di tutta questa situazione, mio figlio... figuriamoci se mi aiuta a comprendere qualcosa! Può aiutarmi lei in qualche modo, non lo so, vi chiedo aiuto davvero col cuore in mano...» - continuò, prendendo a singhiozzare e facendomi alzare gli occhi al cielo.

In maniera svogliata e beffarda al contempo, mi avvicinai al divano e presi posto su di esso, volendo con grande curiosità ascoltare quello che di lì a poco i Frisoni avrebbero detto. Fu Daniela a prendere parola. «Signora, ci rendiamo conto che la situazione è abbastanza complessa da capire e, anzi, ritengo giusto scusarmi, ma se non vi abbiamo messo subito al corrente è perché certe cose è meglio non saperle, non solo perché non sono accertate, ma anche perché è sempre più sicuro non essere a conoscenza di troppo. Insomma, la situazione è questa...» - emise un sospiro e prese una mano di mia mamma fra le sue, dopo aver spostato il centrotavola in cristallo che le divideva.

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