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Elsa.

Qualcosa mi dice di ribellarmi ma sono completamente immobilizzata.

Le palpebre pesanti come macigni sembrano voler intrappolare i miei occhi dietro un mondo di sogni in bianco e nero. Io non ho mai paura, non è così che mi hanno addestrata.

Io non ho mai paura.

Sento delle voci e un ronzio persistente come di una ventola, vorrei urlare per far capire loro chi comanda. Sono io l'essere imbattibile in questa stanza, sono io l'essere più forte. Eppure non riesci a muoverti.  Solo questo mi sussurra una vocina dentro alla mia testa, mostrandomi le mie evidenti debolezze.

Non sei una macchina perfetta, non lo sei mai stata.

Con uno sforzo immenso dettato dalla rabbia riesco ad aprire gli occhi, spalancandoli nel buio. Nonostante io abbia la memoria annebbiata mi sembra di riconoscere questo posto; in fondo i laboratori dell'E.V.A. Company sono tutti dannatamente simili. Riesco a scorgere nell'ombra un tavolaccio di acciaio ben pulito, su cui sono riposte in ordine alcune cartelle. Sulla prima pagina di ognuna c'è la fenice, il simbolo della compagnia. Immagino che sia sera, o notte inoltrata, non ci sono finestre che possano darmi un'idea e gli orologi appesi hanno tutti un'ora diversa, per confondere chi non conosce il posto. Fottute leggi di sicurezza. Però non c'è nessuno in giro, quindi deve essere passato l'orario dei lavoratori standard.

Se sei fortunata incontrerai qualche genio dell'ingegneria in giro a quest'ora. La mia vocina sarcastica si fa sentire di nuovo.

Non so esattamente perché io sia legata su una barella, ma i monitor intorno a me mi danno un senso di tranquillità: non ti preoccupi di intubare qualcuno se lo vuoi far crepare. O almeno questo era quello che pensavo, come a consolarmi. Una maschera sulla bocca mi fornisce continuamente ossigeno, mentre mi impedisce di parlare normalmente. Non riesco a ruotare il collo e tutto quello che vedo copre un raggio di qualche metro al massimo.

Ho fame.

Sto cercando con tutte le mie forze di ricordare da quanto sono in questo stato. Ma il mio ultimo ricordo è di Natale. L'ultimo Natale con Francis.

La porta si apre e con la coda dell'occhio posso vedere qualche uomo in giacca e cravatta portato a spasso da un paio di tecnici con la divisa della conpagnia: camicia azzurra e pantaloni color cachi.

Stanno parlando a voce abbastanza alta ma sono troppo distanti perché io possa capirli. Mi sembra di riconoscere uno degli uomini, ma la testa mi pulsa e non mi permette di concentrarmi. Sembro appena uscita
da una sbronza epica.

"Questo è il nostro progetto meglio riuscito." Sento uno degli uomini in divisa finalmente. "Purtroppo il dottore non ne ha capito le potenzialità quando era il momento." "Ed ora ce la ritroviamo fra i piedi."

Quella voce, l'avevo già sentita. Appartiene ad uno degli incravattati, uno poco più alto degli altri e magro come un chiodo.

"Cosa ne dobbiamo fare?" Il dipendente sospirò quasi sconfortato. "Dobbiamo provare a riavviare il sistema, sennò saremo obbligati e a spegnerla." L'uomo magro se ne uscì con una risata aspra e nasale: "Milioni di euro buttati nel cesso! Dimenticatevelo, in un modo o nell'altro la useremo."

Il gruppo si spostò verso l'uscita e se ne andarono, lasciandomi sprofondare nel mio buio.

***

"Riavvia."

Nella mia testa questa parola risuonava insistente da alcuni minuti. Evidentemente erano riusciti a violare i sistemi e ad entrare nel sistema centrale e probabilmente ora stavano per mandare all'aria tutto il lavoro del Dottor O'Connell. Loro non avevano mai capito gli scopi del progetto ELSA, non avrebbero mai potuto perché non avrebbe fruttato miliardi, anche se avrebbe potuto cambiare il mondo come lo conosciamo.

Diedi inizio alla procedura di sicurezza. Era una scappatoia che Francis mi aveva dato in casi di emergenza come questo.

Se qualcuno avesse contro la mia volontà cercato di riavviare o riprogrammare il sistema centrale, io avrei avuto non più di tre minuti per salvare in una memoria interna i dati relativi alla medicina e quelli personali. Insomma potevo salvare i miei ricordi, tutto ciò che avevo imparato durante i lunghi anni di preparazione. Avrei salvato la mia anima in qualche modo.

"Inizia procedura di salvataggio." La voce nella mia testa parlava chiaramente.

"Trasferire ricordi su memoria interna, prego inserire password."
"Marmellata di ciliegie."

Era un momento delicato, e dovevo essere concentrata perché tutto si svolgeva nel più completo silenzio del mio profondo e non potevo sbagliare. Un solo errore avrebbe rappresentato la fine di ciò che ero.

Uno dei due tecnici dell'E.V.A. si mise a brontolare. "Non riesco a resettarla, il dottore ci aveva messo impegno per renderla inaccessibile." L'altro si grattava la testa poco vicino mentre ricontrollava alcune scartoffie con dei numeri e informazioni sul progetto ELSA.

"Ecco qui." Urlò esultante un tecnico. "Pochi secondi e sarà come nuova!"

L'altro si pulì gli occhiali e si avvicinò al compagno abbandonando i fogli a caso su un ripiano.

"Inizio riavvio. Prego attendere." La voce metallica del computer mi mise fretta,  avevo non più di trenta secondi per terminare la procedura di sicurezza.

"Inserisco tutti i dati nella cartella segreta 'NASCITA'. Procedo?" "Procedere." "La procedura necessiterà di qualche secondo, non riavviare il sistema."

"C'è stato un errore, non è possibile riavviare." I tecnici ricominciarono a sbuffare stressati. Cosa c'era che non capivano in quella fottuta macchina?

"Tutti i dati sono stati correttamente salvati." La voce nella mia testa mi fece tranquillizzare. Ero salva. Ora avrei cancellato tutto dalla mia memoria, qualcuno sarebbe venuto a salvarmi. Non mi avrebbero mai abbandonata qua, non loro. Sono tutto per me.

"Inizio riavviazione automatica."

I tecnici si guardarono tra di loro con aria interrogativa. Non avevano capito nulla, ma straordinariamente la macchina era di nuovo vuota. Ne avrebbero fatto ciò che volevano.

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