Capitolo Ventisei (passato)

3 1 0
                                    

Lei

Passò un mese e mezzo da quando avevo resuscitato Diocle, lo stavo studiando e da quello che avevo capito io e lui eravamo legati, se lui aveva degli sbalzi di umore anch'io ne risentivo. Adesso riuscivo a tenerlo permanentemente nel mondo dei vivi e non aveva più intenzione di scappare (anche se sapevo sempre dove fosse, lo legavo ancora).

Non mi fidavo di lui, inoltre se faceva chiasso bastava una botta in testa e stava calmo. Al massimo se avesse avuto in mente di svignarsela l'avrebbero sbranato i lupi fuori in giardino.

In questo momento mi trovavo in classe durante l'intervallo stavo mangiando il mio panino con il salame, quando un gruppetto delle mie compagne si misero a parlare vicino al mio banco.
«Che cosa ha regalato tuo papà per l'anniversario di matrimonio?» chiese la bambina con i capelli biondi di cui non mi ricordavo il nome.
«Delle rose rosse e mia mamma un bel orologio, siamo andati a mangiare al ristorante e per poi passare in pasticceria a gustare una buonissima cioccolata calda» rispose l'altra bambina.

Genitori? Una parola per me misteriosa, mia mamma era praticamente assente e invece mio padre era un bastardo narcisista. In un certo senso è come se non li avessi mai avuti. Perché non provare ad averli?
Non riuscivo a evocare mio zio, si vede che non ero ancora pronta per questo passo. Ma resuscitare due estranei non doveva essere difficile, in fondo erano come quelle box misteriose che vendevano nei negozi, solo che quando aprivo una di queste scatole ci trovavo dei morti casuali. Esercitandomi sarei riuscita a resuscitare con più precisione.

Tornai a casa, finalmente la primavera si stava risvegliando e le temperature si erano leggermente alzate. Mi cambiai e andai a fare i mestieri, oggi era il mio turno nel lavare i vetri nei corridoi laterali della grande villa. Ero sulla sedia intanto stavo pulendo i vetri in maniera scrupolosa così Licerio non mi avrebbe fatto una delle solite scenate, quando all'improvviso sbam... un ragazzino mi venne addosso. Caddi di faccia sul pavimento, mi alzai arrabbiatissima e dolorante.

«Ehi coglione! Guarda dove metti i piedi!» gli urlai in faccia.
Aveva un paio di anni in più di me era alto e aveva i capelli scuri, sul suo volto era presente un'espressione da puzza sotto il naso.
Se ne stava andando ignorandomi, quando si arrestò sentendo le mie imprecazioni e si girò lentamente.

«Modera le parole plebea, sei tu che eri in mezzo alla mia strada. Inoltre sei solo una cameriera in questa casa, cerca di ricordartelo» disse con saccenza.
Lo presi per la camicia e gli urlai davanti al viso.
«Plebea a chi? Vedi cosa ti faccio...» stavo per tirargli un pugno, quando comparve Licerio e mi fermò. Mi guardò in modo truce come se sperassi di prendere fuoco.

«Mi scuso, per il suo comportamento padroncino» si inchinò davanti al ragazzo.
«Spero che non succeda più una cosa del genere, adesso falla sparire dalla mia vista» rispose il ragazzino in modo minaccioso per dare un calcio al maggiordomo prima di andarsene.
«Sì subito padroncino» affermò Licerio trascinandomi fuori dalla casa per un orecchio.
Appena fuori dal retro della casa mi diede uno schiaffo.

«Ma sei impazzita per caso? Stavi per dare un pugno ad uno dei figli del padrone» mi urlò a un palmo dalla faccia.
«E allora? Questo gli da il diritto di trattarmi come una pezzente?» risposi al maggiordomo.
Mi arrivò un altro ceffone, contemporaneamente il lupo gigante comparve del nulla  balzandogli davanti a Licerio ringhiando minaccioso.

«Sono loro che ti danno da mangiare. Inoltre se non fossi arrivato, lui ti avrebbe uccisa. Addestrano i figli come i lupi solo per far fuori chi intralcia il loro cammino. E io non voglio scavare una fossa dove mettere il tuo corpo, comprendi ciò che dico» anche se cercava di essere freddo, leggevo il panico nei suoi occhi scuri. Era la prima volta che qualcuno si preoccupava per me non mi dispiaceva affatto come sentimento.

Anima AngelicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora