CAROL

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Jason si svegliò in un bagno di sudore. I vestiti incollati alla pelle, avvolta dall'afa che lo soffocava e gli impediva di respirare regolarmente.

Tossì più volte poi tentò di capire dove fosse guardandosi attorno. Aveva il collo dolorante ed ogni movimento gli costava fatica, mentre sentiva grondanti gocce salate scendergli giù per tutto il corpo.

Si accorse di avere i polsi legati dietro alla schiena. Gli arti bruciavano, parevano conficcarsi in essi centinaia di spilli ad ogni minimo spostamento.

Ingoiò aria. Non aveva più saliva, era completamente disidratato, tanto che sentiva la ruvidezza della sua lingua scontrarsi contro il palato.

Un'improvvisa ondata di luce lo abbagliò come il flash di una fotocamera.

Per un attimo la sua mente tornò indietro parendo una pellicola riavvolta.

...

Due occhi azzurri colmi di lacrime che lo supplicavano, sangue dappertutto, grida e la sua stessa voce che giungeva alle orecchie come una risata sadica e soddisfatta.

Scrollò la testa e tornò in quella stanza buia, illuminata solo da quel flash infiltratosi dalla porta appena socchiusa.

Era un incubo quello che gli era appena passato per le pareti cerebrali?

Troppo vivido per essere solo frutto della propria mente e in effetti, più ci pensava e più si rendeva conto che quelli erano ricordi, qualcosa accaduto realmente e di cui lui era il responsabile.

Gemette nello spirito quando come un puzzle, ogni tassello, piano piano tornò al suo posto, ricomponendo il viso di una ragazza.

Jason scoppiò in un pianto disperato. Ricordò il coltello che maneggiava con fierezza su quel corpo martoriato, ricordò le strazianti grida e le suppliche di quella persona che senza pietà aveva trafitto al petto.

Si sentì impazzire. Lanciò un urlo in cui sfogò tutta l'angoscia, poi un altro e un altro ancora.

Calò il capo, lasciandosi cadere i capelli zuppi negli occhi.

"Carol..." riuscì a sibilare tra le labbra aride.

"Sì, tesoro. Sono qui."

Una voce. La sua voce. La voce di Carol, la sua ragazza.

Jason alzò di scatto la testa spalancando gli occhi. Le iridi azzurro-grigio, per un attimo furono colpite dalla luce proveniente dalla porta, ora spalancata.

Una figura nera, in contrasto al bianco abbagliante, venne verso di lui con passo sinuoso e sicuro.
Riconosceva la sua sagoma, era certo che fosse lei, anche se sarebbe stato umanamente impossibile, dopo quello che le aveva fatto.

"Carol...!" tentò lui di alzare la voce e farsi sentire.

"Ciao, come stai?" disse lei accarezzandogli una guancia dopo che lo ebbe raggiunto.

Lui chiuse gli occhi sentendo il suo contatto, poi li riaprì e mise a fuoco il suo viso. Era proprio lei. L'ultima volta che l'aveva vista era intrisa di sangue, i capelli lunghi e biondi, erano striati del rosso del suo stesso liquido caldo e denso. L'espressione terrorizzata, gli era rimasta particolarmente impressa mentre chiedeva al suo assassino, lui, di risparmiarle la vita.

"Carol..." l'unica parola in grado di pronunciare in quel momento.

"Non stai un granché." constatò lei scrutandolo. Lo aggirò e si mise dietro di lui, slegandogli i polsi.

Restò interdetto. Lo stava liberando? Questo significava che si fidava ancora di lui?

Con forti fitte, tentò di smuovere i muscoli doloranti. Il viso era lo specchio della sofferenza che provava. Lei lo invitò ad alzarsi e lui, con tutto l'impegno che poté metterci, riuscì a far forza sulle gambe tremanti e mantenendo un equilibrio piuttosto precario, si alzò.

Istintivamente, la cinse per i fianchi e l'attrasse a sé, desiderando abbracciarla. Si accorse subito della freddezza e rigidità di quel corpo che tanto voleva stringere.

"Jason, hai bisogno di una doccia." disse lei ridendo. Continuando a ridere, lo prese per la mano e lo guidò verso la scalinata che portava di sopra. Solo una volta fuori, capì che era stato nella cantina di casa sua.

"Come... Come hai fatto a trovarmi?" sussurrò lui dopo aver faticosamente risalito i gradini. Lei lo fece sedere e gli porse una bottiglia d'acqua.

Il ragazzo bevve avidamente fino a che non l'ebbe quasi svuotata.

"Come ho fatto?" ripeté le sue parole. "Non è stato troppo difficile. Basta avere qualche conoscenza e il gioco è fatto."

"Che tipo di conoscenza?" chiese perplesso.

"Le domande dopo. Ora datti una lavata."

Jason uscì dal bagno qualche minuto più tardi. Davvero non riusciva a capire come Carol potesse essere ancora viva. Si era salvata comunque. Era questo che contava.

Lei lo vide e gli andò in contro. Portò le braccia al collo di lui e sorrise guardandolo negli occhi.

"Ora va meglio!"

Lui non poté fare a meno di ricambiare con la stessa espressione di lei. Dopotutto l'amava, l'aveva sempre amata.

Salvo quel raptus di gelosia che si era trasformato in follia e l'aveva portato a compiere l'inverosimile, lei era la sua vita. La sua ragione di vita.

Ricambiò l'abbraccio mentre la ragazza avvicinò le labbra in cerca del suo contatto. Lui non esitò un solo istante e accorciò gli spazi tra le loro bocche, incollando le sue carnose, a quelle altrettanto morbide di lei.

Si sentì rinascere dopo quel bacio infinito e appassionato. Sfiorò il corpo, palpandone ogni centimentro ed iniziò a spingerla verso il divano dove la fece sdraiare e le salì sopra. In un istante si ritrovò a desiderarla e le sue mani seguirono la sua brama, spingendolo a levarle i vestiti di dosso. Lei non oppose resistenza, iniziò anzi a gemere e contorcersi di piacere.

Lui si bloccò fissandola. Era passato un tempo non indifferente dall'episodio che lo aveva trasformato in un assassino, eppure non c'era giorno che ciò non lo facesse soffrire e tormentare per il rimorso.

"Cos'è successo esattamente?" disse lui con l'espressione perplessa.

"Dobbiamo parlarne proprio adesso?" rispose lei attirandolo nuovamente a sé.

"Aspetta. Perché non hai chiamato la polizia? Mi hai legato di sotto... Che intenzioni avevi e soprattutto: che intenzioni hai con me?"

"Caro, da quanto tempo vivi qui indisturbato? Sono mesi, no? Puoi star tranquillo che nessuno ti troverà e di certo non sarò io ad aiutarli a cercarti."

"Sì ma..."

"Niente ma."

Le braccia della ragazza, scivolarono intorno al collo di lui.

"Ora fammi tua. Mi sei mancato troppo..."

Non se lo fece ripetere due volte.
Infine si addormentarono sul divano, stretti una all'altro come avevano sempre fatto.

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