Il trillo della suoneria del cellulare fece trasalire Amber, immersa nella lettura. Non le sfuggirono gli sguardi severi che le rivolsero gli altri avventori della biblioteca cittadina di Nassau. Si affrettò a frugare nella sua borsa per rispondere al telefono che aveva scordato di silenziare.
«Amber, dove sei?» esclamò esasperato suo fratello Caleb, appena lei rispose.
«Sono in biblioteca a studiare, lo sai. Che c'è?» rispose lei, sottovoce, mentre si avviava verso l'uscita per non disturbare i presenti.
«C'è che ti stiamo aspettando per pranzare, è tardi. Non avevi appuntamento con il tuo relatore oggi?»
Amber controllò l'orologio, era quasi l'una. Caleb aveva ragione: era tardissimo, considerato che alle due doveva essere all'università per presentare al suo relatore il secondo capitolo della tesi, che doveva ancora finire di scrivere.
«Per gli Dei! Hai ragione! Arrivo subito.»
Chiuse la chiamata e tornò a sedersi al suo posto. Rielaborò rapidamente sul suo portatile quello che aveva appena letto e ci aggiunse una rapida conclusione. Certo, avrebbe potuto fare di meglio, ma non ne aveva il tempo. Il professor Stone si sarebbe dovuto accontentare. Era già disumano da parte sua aspettarsi un capitolo di almeno trenta pagine in una sola settimana e pretendere che fosse pure scritto bene era pura utopia.
Spense il pc e, raccolta la sua roba, uscì rapidamente dalla biblioteca, incamminandosi a passo spedito verso casa.
Era giunta appena a metà strada quando un ragazzo alto e dai capelli a spazzola sbucò correndo da un vicolo alla sua sinistra, finendole addosso. Caddero entrambi a terra e Amber dovette trattenere un'imprecazione per l'improvviso dolore al fondoschiena.
Stava per inveire contro di lui, quando il ragazzo, che si era già rimesso in piedi, le porse la mano.
«Scusami. Non ti avevo vista», disse, facendo saettare lo sguardo tra il viso di Amber e il vicolo dal quale era appena spuntato fuori.
Amber, nell'afferrare la sua mano, si accorse subito della strana voglia che lo sconosciuto aveva sul polso. Due piccoli cerchi concentrici dai contorni estremamente regolari, quasi disegnati, troppo definiti per essere considerati una macchia naturale. Non sembrava un tatuaggio, il colore era troppo vicino a quello della sua pelle, le due tonalità quasi si equivalevano, nessuno avrebbe scelto un colore simile, pensò Amber. Non presentava nemmeno alcun segno di ustione, quindi quel simbolo non poteva essergli stato marchiato a fuoco sulla pelle in qualche assurdo rituale iniziatico. Sembrava in tutto e per tutto una voglia, ma con contorni che sembravano definiti con la precisione di un compasso.
Non ebbe il tempo di pensarci oltre, perché non appena si fu rialzata lo straniero la superò e riprese a correre infilandosi in un altro vicolo.
Pochi istanti dopo, un altro uomo rischiò di travolgerla nuovamente, uscendo dalla stessa stradina da cui era fuggito il ragazzo.
«Salve, signorina. Ha per caso visto passare di qui qualcuno qualche istante fa? Sa dirmi dov'è andato?» chiese trafelato, guardandosi intorno.
Amber, ancora confusa, gli indicò istintivamente la direzione opposta rispetto a quella presa dal giovane sconosciuto. Non sapeva per quale motivo aveva preso le sue difese, non lo conosceva e non sapeva se quell'uomo avesse delle valide motivazioni per inseguirlo, ma per qualche strana ragione quell'insolito ragazzo le ispirava fiducia.
Improvvisamente, si ricordò dell'appuntamento con il relatore e si mise a correre verso casa, senza più pensare a quegli strani incontri.
Mah, il mondo è pieno di gente strana, concluse.
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La Fenice Atlantidea
ParanormalDai tempi della distruzione di Atlantide, nelle vene di Amber scorre un grande potere, ormai latente da quasi cinquecento anni. Un potere destinato a consumarla, che ora sta per risvegliarsi nuovamente, segnando la fine di un'altro ciclo. Amber dovr...