Il guardiano del museo

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Il cuore del guardiano del Louvre iniziò a martellare più veloce che mai quando, lasciando l'ala Richelieu per dirigersi in quella centrale Sully, sentì un urlo agghiacciante che gli fece venire i brividi freddi, rizzandogli i peli delle braccia e dietro la nuca. Una donna aveva urlato proprio lì, un urlo acuto in preda ad un dolore straziante o a causa di un terrore accecante, nel museo deserto, alle ore 3:17 della notte.

Nonostante il cuore continuasse a battere in preda allo spavento improvviso, il custode prese la ricetrasmittente, cercando di chiamare i suoi colleghi, ma in risposta, la radio restò muta. Decise allora di iniziare a investigare da solo e cominciò a correre verso l'ala Denon, da dove era sicurissimo l'urlo fosse stato generato. Non poteva trattarsi dell'ala Richelieu, che aveva appena lasciato alle sue spalle durante il suo giro di ronda, ala che aveva trovato completamente deserta, a parte le statue e i quadri europei che la arredavano. Scattò velocemente attraverso il Padiglione dell'Orologio ed entrò nella sezione dedicata alle opere greche e romane.

Le statue, bianche come fantasmi, che durante il giorno erano piene di fascino e bellezza, alla penombra creata dalla torcia gli sembravano figure spaventose, deformi, alcune menomate delle braccia che, non appena superate, credeva avrebbero preso vita e si sarebbero messe ad inseguirlo e se si fosse fermato, lo avrebbero afferrato e ridotto in pezzi. Poteva sentirli, correre dietro di lui. Per fortuna, una volta girato a destra e arrivato alla sezione delle arti decorative europee post 1500, si lasciò dietro quei fantasmi bianchi e veloci, intrappolati nella loro area.

Il guardiano a quel punto iniziò ad ansimare, era stanco ma decise di non fermarsi a riposare, voleva trovare quella donna. Una dipendente del museo? Improbabile, chi lavorava lì dentro sapeva bene di avvisare sempre i custodi, per motivi di sicurezza. Era una ladra? Quasi improbabile anche quello, il museo era disposto di misure di sicurezza molto professionali, ma qualcuno potrebbe essere riuscito ad entrare e forse qualcosa era andato storto.

Era nell'ala Denon adesso.

Smise di correre e iniziò a camminare piano e senza far rumore.

L'unico suono udibile, era quello del suo cuore. Lo sentiva pulsare dappertutto: nelle orecchie, nel petto, nelle vene. Aveva paura. Qualsiasi cosa fosse successa a quella donna innescava la sua fantasia, come fecero i fantasmi greci. Aveva visto qualcosa che l'aveva spaventata? qualcuno l'aveva aggredita? ammazzata?

Si trovò vicino al banchetto dei souvenir.

Guardò dietro al bancone, nessuno. Si guardò intorno, ma vide solo quadri e statue.

Quella era la sua ala preferita: Raffaello, Caravaggio e Piero della Francesca risiedevano lì, con i loro San Giorgio e il Dragone, la Morte della Vergine e il Ghirlandaio, tra le opere più belle e famose.

E poi, c'era lei. La Gioconda. L'enigmatica Monna Lisa. Quando la notte passava davanti a lei, non poteva evitare di sentirsi ammaliato, stregato dal quel sorriso, che forse non era un sorriso. Poteva stare ore e ore a guardarla, mentre lo seduceva. Lei era uno dei motivi principali per cui amava il suo lavoro. Poterla vederla ogni notte da solo, senza rumori, senza turisti. Solo loro due. Lei era famosa, una star.

Ed è proprio verso la sala 5 che si diresse, girando a sinistra, perché se qualcuno era entrato per rubare proprio lì, nell'ala Denon, sicuramente avrebbe cercato di prendere il quadro più ambito e celebre del museo.

La sala 5 non era la più grande e ampia, ma era una delle più importanti e popolate durante gli orari di visita. Era anche abbastanza spoglia, ma la mancanza di quadri e statue non penalizzava la qualità dei quadri posti al suo interno, alcuni dei quali del pittore Mantegna.

E poi da sola, ad occupare tutta una parete, protetta da una teca di vetro e da una sbarra a semicerchio per tenere lontani i visitatori, c'è la Signora.

Ed è proprio verso di lei che si diresse il guardiano. Si guardò intorno e sul pavimento, per cercare qualsiasi indizio, qualsiasi strumento, che dei ladri avrebbero potuto lasciare in giro. Di donne, nessuna traccia.

"C'è qualcuno?" domandò nel buio il custode, la sua voce echeggiò nella sala vuota e i quadri sembravano fargliela tornare indietro creando uno spettrale coro. "Chiunque abbia urlato, venga allo scoperto con le mani in alto, chiamerò un'ambulanza." Nessuno venne fuori. Nessuno parlò.

Si avvicinò ancora di più alla Gioconda, l'avrebbe superata e sarebbe poi tornato nel corridoio che portava alla sezione dei pittori spagnoli.

Ma avvicinandosi sempre di più alla parete della Monna Lisa con la torcia, incominciò a notare qualcosa nel quadro, qualcosa che stonava. I brividi tornarono a ondate nel corpo del guardiano. Il quadro sembrava diverso. Lei sembrava diversa.

Fu in quel momento che un fruscio alle sue spalle lo mise in allarme, ma era troppo tardi per voltarsi, una fitta gli trapassò il fianco sinistro. Qualcosa di freddo gli penetrò la carne, lacerando la schiena e squartandogli gli organi interni, il rene, l'intestino. Il coltello uscì in modo brutale e il custode, cercando di combattere il dolore che lo stava investendo come un macigno che lo paralizzava da capo a piedi, cercò di voltarsi e usare la pistola verso il suo aggressore, ma la lama tornò crudele e questa volta, colpì il fianco destro.

Poi, il suo assalitore si mise davanti a lui, gli bloccò la mano che teneva ormai senza forza alcuna la pistola e la scagliò lontano.

La lama tornò nel suo corpo ancora e ancora, lacerando il suo stomaco dentro e fuori dentro e fuori. Ogni volta che la lama usciva, sembrava che l'intestino volesse seguirla. Il sangue spruzzava per terra, lo sentiva scendere per i pantaloni, sugli scarponi e sotto i piedi, creando pozzanghere scivolose che rischiavano di farlo cadere.

La mano che fino a quel momento aveva avvolto la torcia, cominciò a morire, ad arrendersi e la lasciò cadere sul pavimento. Questa iniziò a girare senza tregua su sé stessa, non lontano da quel massacro, e poi si fermò, verso la parete più guardata del museo.

Quando la violenta figura decise che era abbastanza, smise di colpire il guardiano, lasciandogli l'oggetto della sua morte conficcata nel torace, incastrata tra le costole.

Afferrò la sua vittima per il colletto della giacca di ordinanza e lo scaraventò verso la barriera che proteggeva la Gioconda. Il guardiano si sentì librare in aria verso sinistra, i quadri nella parete davanti si mossero veloci davanti ai suoi occhi come se stessero anch'essi cadendo e sbatté col fianco sullo steccato, scivolò su di esso e finì riverso a terra, i vestiti ormai pregni e umidi del suo sangue che sentiva diventare freddo.

Non vide più il suo assassino. Forse se n'era andato. Forse era ancora lì, a guardarlo agonizzare fino alla fine.

Il dolore cominciò a scemare, e al suo posto una sonnolenza improvvisa fece capolino.

Era stanco. Voleva dormire. Voleva chiamare aiuto. Non voleva morire.

Cercò di afferrare di nuovo la ricetrasmittente, per cercare di chiamare i colleghi agli altri piani.

Le braccia non risposero alla sua volontà, erano morte.

Solo gli occhi avevano ancora la forza per muoversi.

Quando la stanchezza stava diventando insostenibile, l'unica cosa a cui riuscì a pensare prima di chiudere per l'ultima volta gli occhi, fu il quadro della Monna Lisa, e si ricordò, vagamente, di quel qualcosa di strano che aveva notato prima di venire assalito.

Quel qualcosa, sulla faccia della donna.

Con uno sforzo cercò di guardare verso il quadro, che la torcia, quasi come per fargli un ultimo favore prima di morire, aveva illuminato.

Il guardiano esalò l'ultimo respiro avvolto dal terrore per ciò che vide.

Quella donna che lo aveva stregato per anni, quella donna timida che cercava di nascondere un flebile sorriso, ora aveva il volto sfigurato dal terrore, gli occhi erano sbarrati, come se il suo peggiore incubo si fosse materializzato davanti a lei e quella bocca misteriosa, oggetto di moltissime teorie e studi, ora era spalancata in una smorfia che solo il più agghiacciante degli urli potrebbe creare.

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