«Se c'è una cosa che non sopporto, quella è la tua testa».— Ieri sera, Mia madre
Dal corollario del lavativo
CARO DIARIO UN CORNO, INSOMMA!
Eccola: ecco che sentivo l'invadente situazione di allarme, dovuta al fatto che fosse giunta l'ora del pasto (di cena, per l'esattezza), pervadermi. Vedi, vecchio mio, il fatto in sé era questo, stammi a sentire: io avevo commesso un errore madornale.
Sì, proprio così...
Avendo alzato il mento, ho involontariamente fatto in modo che il mio sguardo incrociasse il movimento impercettibile delle lancette stanti sull'orologio a pendolo in cucina, che, ahimè, segnavano le ventuno e sette minuti; non è che mi fossi messa io nelle chiocche il fatto che alle nove dovessimo cenare - tutto al contrario, era una petizione di mio padre, che tornava affamato a quell'ora da lavoro (svolgeva la nobile professione d'avvocato).
E ti devo confessare ch'è stato proprio tale orario, unito a quel mio perenne, strisciante, stato d'angoscia, ad ingenerarmi la necessità del rituale.
(Rituale? quale rituale?)
Quello dell'imbandire il tabernacolo, ma certo!La scontata azione dell'imbandire il tabernacolo costituiva, quantomeno nel mio caso, l'ansiolitico perfetto per aiutarmi a comprendere come affrontare il fatidico momento della comitatio, della convivialità, dello stare a tavola, dove tutto — ma proprio tutto, duelli oculari compresi, — sarebbe potuto accadere.
Vedi, l'ordine delle cose era il seguente: in primis, avevo il compito di disporre le tovagliette in base al numero dei commensali (ch'erano, di norma, quattro); in seguito, dovevo ripiegare i fazzoletti come fossero tante microscopiche barche a vela alla destra di ogni scranna; poi, dovevo sovrapporvi le posate (solo coltello e forchetta, attenzione!, ché il cucchiaio era bandito in casa mia); e, infine, dovevo recuperare dalla credenza i piatti fondi e i bicchieri IKEA rigorosamente impilati, e sistemarli in corrispondenza di ciascun banchettante.
Dovevo essere svelta, meticolosa, impeccabile. Perfezione maniacale, la definivano ingenuamente i miei. Ma, in fondo, che ne potevano sapere, loro...?
(Non credere che non mi sentissi come un sacerdotale alle prese con l'esorcismo del demone del controllo; ma era ormai una prassi consolidata, quella dell'apparecchiare la tavola, e sapevo che, semmai avessi trovato paletti in quel percorso pretracciato, sarei finita, senza dubbi, in bianco. Che fosse un modus vivendi del cazzo, il mio, n'ero consapevole, ma lo sentivo pur sempre come il modus vivendi fatto ad hoc per me, vecchio mio — oh, potrebbe essere che adoperi troppo "latinorum" per i tuoi gusti... be', non m'interessa).
Comunque, dicevo, tutto è cominciato lì, a tavola, perché esisteva soltanto una cosa ad avere incredibilmente senso nella vita di Meryl Thredson (mia madre), oltre alla salvaguardia dei fenicotteri: il cibo, nonché ciò che io reputavo quanto di più sgradevole, fastidioso e sporco ci fosse al mondo [una piaga della società fecciosa quasi quanto gli imbattibili ciclisti].
Che, se te la vuoi immaginare, casa mia era un po' come l'Isola che non c'è, dal momento in cui era popolata da adulti-eterni-fanciulli, che proprio non volevano crescere; adulti pieni di ombre e di complessi negativi insiti alla loro persona, convinti che quello del Peterpanismo fosse il miglior sistema per combattere l'abbrutimento e l'insensibilità stanti alla base della società cinica e moderna in cui vivevamo.
(E, dimmi, vecchio mio: a tuo parere, la loro poteva essere considerata una strategia vincente, o, più semplicemente, un inefficace travestimento da vili?)
(Non replicare, non replicare! Io già la so, la risposta, perché ti anticipo che, prima o poi — come vedremo —, le maschere di cera colano dal volto di tutti).
Di fatti, se ci fosse stata un'inchiesta riguardo il reale motivo della mia instabilità mentale, avrei mollato buona parte della percussione del petto e buona parte del momento Mea Culpa ai miei genitori e ai loro modi di fare incredibilmente fanciulleschi.
Ma adesso cambierò argomento.
Cambierò argomento, ché m'è venuto in mente che, quand'è successa quella cosa, ho iniziato a sudare freddo — e ho cominciato ad avvertire una certa nausea, una certa stizza e un certo sdegno.
(Pensa che m'era addirittura salita la bile in gola, tanto era grande la misura del mio ribrezzo).
La mia mansione, come ti ho anticipato, era quella di ufficiale imbanditrice del tabernacolo, e quest'era vero; ma era compito di mia madre servire le portate. Designava lei la struttura del pasto — quindi l'ordine delle portate, la maniera di recarle e, soprattutto, la loro disposizione sulla tavola.
[La responsabile di tale faccenda era lei. Lei].
Per questo motivo, casa mia assumeva le sembianze di uno stramaledetto simposio ogni sera!
(Che cosa deplorevole, non trovi?...).
Quella volta, ad esempio, campeggiava al centro della tavola la cesta del pane (zeppa di almeno una dozzina di fette da trenta grammi l'una, studiate per un'eventuale scarpetta... e là saranno state quantomeno 75 calorie a porzione); poi ci stavano quattro piatti di spaghetti al sugo in corrispondenza delle postazioni dei commensali (e se mia madre — come immaginavo — aveva calato 360 grammi totali, di pasta, diviso quattro, avrebbero dovuto essere una novantina di gr. a testa... che corrispondevano, come minimo, a 350 calorie per ciascun banchettante!... Santi Numi!); e si concludeva con l'immancabile presenza di acqua minerale (0 calorie) e di un modesto calice di vino (83 a bicchiere).
Cornucopia. Abbondanza. Grasso. Peccato.
Cornucopia. Abbondanza. Grasso. Peccato.«Dov'è che s'acquista il contravveleno istantaneo degli attacchi di panico?».
Ecco cos'ho pensato.
(Ah, e... io, che comunque ti scriverò d'ora in poi con una certa assiduità, vecchio mio, — e che ti assegnerò anche un nome — penso tu abbia afferrato quale sia il mio disturbo, quale gli altri credono sia la mia malattia. E spero vivamente tu sia vaccinato contro di Lei, altrimenti mi vedo costretta a reputarti inutile — pleonastico — e gettarti via, prim'ancora che il mio cuore s'aprisse all'inchiostro).
(Avrai notato che dipendo in maniera imbarazzante dalla vanità estetica dell'utilizzare vocaboli ricercati e dell'aprire parentesi, ma comunque stavo parlando d'altro...)
Ah, sì... ma certo!
Quindi, ti dicevo, eccomi: eccomi giusto al principio del mio calvario (della via Crucis) contro il mio Satana, contro il mio assassino (quello che io reputavo il più attraente e il più spietato — il cibo).+
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nota: quest'è il prologo di From The Dining Table, in cui Noah inizia a dipingere un quadro piuttosto chiaro delle sue manie e dei suoi piccoli rituali, confidandone i più remoti retropensieri al suo nuovo gioiellino (al suo diario) / [ci tengo a ricordare che le varie anticipazioni e le varie premesse le potete trovare al capitolo precedente]; io, personalmente, lo trovo a dir poco agghiacciante; voi, invece, che ne pensate?
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From The Dining Table - (Coming Soon)
Short StorySi dice che fuggire dai problemi non sia un gesto nobile. Peccato... per me è così piacevole! Essendo che c'è sempre un filtro molto patinato nel mostrare il disagio dell'anoressia, Noah Turner, che invece ama entrare nel cuore pulsante delle cose...